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Qui al sicuro da nonna Oksana

di MARTA BICEGO
La storia di una famiglia che si è (parzialmente) ricongiunta in città 

Parole chiave: Ucraina (22), Guerra (41)
Qui al sicuro da nonna Oksana

di MARTA BICEGO
Una colomba sul tavolino del salotto, da condividere in segno di pace. Qualche cioccolatino, una tazzina di caffè. Oksana sa perfettamente come far sentire gli ospiti a proprio agio. Vive in un piccolo ma confortevole appartamento nel quale, dal 4 marzo, accoglie la nuora Tania e il nipotino Oreste, di un anno e quattro mesi, che hanno raggiunto Verona dopo un’estenuante fuga dall’Ucraina.
«Lei non voleva assolutamente lasciare il Paese, ma ho insistito tanto...», esordisce Oksana. Un sentimento che provano in molti ucraini, dice, quello di non voler partire: preferiscono restare a lottare e resistere. Veronese d’adozione, visto che risiede in città ormai da 25 anni, non ha esitato a spalancare le porte della sua casa anche ad un’altra giovane madre che si è trattenuta qualche giorno e poi ha deciso di spostarsi, con il figlio quattordicenne, nel Vicentino. Gli spazi sono ristretti, bisogna avere un po’ di pazienza e adattarsi alla situazione. Ma una parte di famiglia adesso è riunita: è questo ciò che conta veramente. Però il pensiero rimane altrove: nella cittadina al centro dell’Ucraina in cui il papà di Oreste è rimasto a combattere e dove i genitori di Tania hanno deciso di rimanere, nonostante il pericolo.
Gli occhi delle due donne sbirciano, di tanto in tanto, il telefonino. Messaggi nelle chat e, quando possibile, videochiamate aiutano ad accorciare le distanze, a tenere teso il filo di relazioni lontane; attraverso siti internet ufficiali e filmati realizzati dagli stessi cittadini o dai soldati, si informano sull’evoluzione del conflitto. Non è facile per chi è rimasto là, ma non lo è nemmeno per chi è riuscito a lasciare il Paese. Così le immagini che scorrono sullo schermo diventano fitte al cuore: «Non voglio pensare a quello che sarà. Cerco di non provare odio. E prego ogni giorno Dio», continua Oksana, che qualche anno fa ha abbracciato la religione cattolica, tanto che il piccolo Oreste riceverà presto il battesimo.
Si identifica in chi è stato costretto a sradicarsi dalle proprie origini. «Quando ho lasciato l’Ucraina, non c’era lavoro. Lo stipendio veniva pagato ogni sei mesi con scatolette di cibo», ricorda, aggiungendo di avere una laurea in ingegneria navale, rimasta purtroppo soltanto sulla carta. «A scuola studiavamo la storia di Roma e l’Italia rappresentava per me una sorta di sogno», confida. L’idea era quella di restare il tempo necessario per guadagnare la cifra per acquistare una casa per sé e il figlio. Alla fine, da Verona, non è più ripartita. Anzi. Le relazioni si sono rinsaldate, in particolare da quando, otto anni fa, è stata colpita da una forma rara di ictus dal quale, per fortuna, si è ripresa. Da allora, si è messa a guardare il mondo con sguardo differente: «Faticavo a camminare, a salire il gradino del marciapiede. Però guardavo sempre verso il cielo, in l’alto, e fotografavo tutto quello che mi colpiva. Poi ho capito perché», riconosce, riferendosi alla rinascita che l’ha accompagnata, nel corpo e nella fede. Per condividere la bellezza che osservava nella quotidianità, ha raccolto le immagini che realizzava, prima con lo smartphone e in seguito con la macchina fotografica, nella pagina Facebook “Verona Veneto e dintorni in foto”, ora divenuta una vetrina per sensibilizzare su quanto accade in terra ucraina.
Tania ascolta in silenzio. «Non ho molto da dire, io non ho preso parte alla guerra», confessa, con timida compostezza. Quando ha lasciato casa, la sua città non era ancora stata interessata dai bombardamenti. La giovane madre non dimentica però le sirene: «Al loro suono, andavamo tutti a nasconderci in un sotterraneo». Proprio durante l’ennesima attesa, nel sottosuolo, ha deciso di partire dopo aver sentito descrivere da sua nonna di 83 anni le angherie che donne e bimbi erano costretti a subire nella Seconda Guerra mondiale. Allora ha stretto con coraggio Oreste tra le braccia e si è messa in viaggio con un’amica e il figlio, verso l’Italia.
Insieme hanno attraversato in treno mezza Ucraina, con continue interruzioni quando ai passeggeri veniva chiesto di trovare riparo nei rifugi; in cinque giorni hanno fatto tappa prima in Slovacchia, proseguendo quindi in direzione Verona. Qui ha ritrovato una parvenza di normalità: gioca con Oreste nel giardino del condominio, cerca di imparare qualche parola di italiano, digita messaggi sul telefonino; appena potrà, cercherà un lavoro, lei che in Ucraina aveva studiato da farmacista ma nel periodo dell’università si è sempre data da fare. Nei suoi occhi azzurri però, ora che ha preso coscienza del grande pericolo da cui si è allontanata, continuano a scorrere scene di dolore e di paura. E il suo pensiero finisce sempre altrove.
«Non la definisco una guerra, ma lo sterminio di un popolo», riprende Oksana. Accenna alle vittime civili, tra le quali si contano tanti bambini; alle violenze che si consumano ogni giorno, anche sulle donne; ai saccheggi e alla distruzione che sta cancellando luoghi e memorie, lasciando cumuli di macerie; agli innocenti che non hanno fatto altro che desiderare e rivendicare la libertà. «Quando è stato eletto presidente, Zelensky ha iniziato a girare le città e i villaggi per incontrare la gente, per stare in mezzo agli ucraini e ascoltarne le voci. Ha voluto fermare la corruzione nel Paese, per questo è tanto amato», spiega Oksana. Perciò tanti si sono messi a combattere, non vogliono andarsene, costi quel che costi. «Eravamo un popolo rassegnato, ma abbiamo scoperto di avere una forza che era sepolta», riferisce Oksana. «Davanti a loro, cerco di trattenere le lacrime, vado in chiesa, prego per tutti e per mio figlio che adesso è in guerra – conclude –. Non sono mai stata tanto orgogliosa di essere ucraina». 

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