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Immigrazione: la Chiesa veronese accetta la sfida

Una serie di incontri per ragionare su un fenomeno complesso, superando pregiudizi e distorsioni

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Immigrazione: la Chiesa veronese accetta la sfida

L’immigrazione è una realtà concreta con cui il nostro Paese, l’Europa e il mondo intero devono fare i conti. Ce lo rivelano aspetti diversi e non ultimo anche il costante dibattito su questo tema presente nei mezzi di comunicazione, nella politica e nella quotidianità delle persone. Un dibattito purtroppo spesso segnato da superficialità, valutazioni generiche e strumentalizzazioni che sta portando le persone verso una polarizzazione che vede fronteggiarsi chi è pro e chi è contro l’immigrazione. Una polarizzazione purtroppo esacerbata nei toni e nei comportamenti che poco spazio lascia a un dialogo tra persone responsabili con idee diverse, e dobbiamo aggiungere giocata soprattutto sull’accoglienza dei richiedenti asilo soccorsi dalle navi delle organizzazioni non governative in Mediterraneo.
Ora, il ridurre il fenomeno migratorio agli arrivi via mare – peraltro drammatica per le modalità in cui avviene e per i morti che provoca – conferma ulteriormente la poca comprensione e il poco rispetto che abbiamo della complessità della presenza di più di 5 milioni di immigrati sul territorio nazionale.
Dobbiamo constatare che questo approccio riduttivo e strumentalmente politicizzato dell’immigrazione è portatore di un clima di insofferenza se non di razzismo verso chi arriva o già vive da tempo nel nostro Paese.
Di fronte a questo quadro, come Chiesa di Verona abbiamo sentito il bisogno di riflettere in maniera più approfondita sul fenomeno immigrazione accettando la sfida di leggerlo prima di tutto nella sua complessità, andando quindi a vedere come questo tocca ambiti diversi della nostra vita quotidiana: la scuola, il lavoro, la salute, la religione, la comunicazione, l’accoglienza, l’integrazione e il diritto.
È in questi ambiti che quotidianamente ci incontriamo con l’altro ed è qui che la nostra superficiale comprensione dell’altro ci gioca brutti scherzi che vanno dal pregiudizio alla paura e giù fino al razzismo.
Dobbiamo riconoscerlo: il comandamento evangelico dell’amore al prossimo, nessun cristiano lo mette in dubbio; ma poi quando arriviamo agli ambienti di vita in cui si incontrano le persone concrete, le cose cambiano.
Abbiamo bisogno di evangelizzare la vita, i luoghi e le modalità concrete dove avviene l’incontro con l’altro.
La Chiesa di San Zeno, tramite il coordinamento del Centro pastorale immigrati, proprio per rispondere a questa situazione e alla sua missione di evangelizzare ha dato vita a otto tavoli di lavoro per capire più in profondità cosa avviene negli ambienti di vita, che abbiamo nominato, nell’incontro tra cittadini immigrati e cittadini italiani. Gli obiettivi di questo cammino erano la comprensione della complessità del fenomeno; il rilevamento di situazioni critiche e la conoscenza di buone prassi che a diversi livelli sono in atto e che aiutano il buon vivere di tutti.
Una conoscenza più approfondita del fenomeno immigrazione partendo anche dai dati oggettivi ci ha aiutato a non cadere in facili semplificazioni, mentre l’individuazione delle criticità ci ha aiutato a capire il cammino che ancora abbiamo da fare perché tutte le persone si sentano a casa nella nostra città.
Il terzo obiettivo: la conoscenza di esperienze positive di aiuto, di accoglienza e di integrazione, è stato quello che più ci ha sorpreso. Quante iniziative, quante persone sia in ambito ecclesiale che civile stanno lavorando proficuamente per una convivenza autentica tra tutti! È stata una grande sorpresa e un dono.
La conoscenza e la condivisione di esperienze positive di incontro sono elementi importanti di questo cammino. Ci sono infatti criticità che rischiano di trasmettere l’idea e la sensazione di essere travolti da situazioni ingovernabili e che sovvertono il mondo da noi conosciuto. Le buone pratiche messe in atto da associazioni di volontariato ecclesiale o laico, da istituzioni e anche amministrazioni, per piccole che siano, ci aiutano a comprendere che così non è.
Non siamo in balia di avvenimenti che ci travolgono come uno tsunami. Siamo di fronte a fenomeni epocali che però si spezzano nell’incontro quotidiano con l’altro a scuola o al lavoro, nel tempo libero o nella politica. E nel concreto di queste situazioni, noi possiamo mettere in atto comportamenti personali e comunitari e iniziative che aiutano la costruzione di una comunità autenticamente integrata.
L’esperienza concreta e positiva di incontro con l’altro ci libera dall’angoscia dell’ignoto, del non governabile e proprio per questo è importante la conoscenza e la messa in comune di queste “buone prassi”.
Questo, in definitiva è quanto si è fatto in questi mesi seguendo lo slogan “Ero forestiero e mi avete ospitato” (Matteo 25,35), e adesso desideriamo condividere con le comunità parrocchiali e con la società civile la bellezza e la ricchezza di questo cammino.
Lo facciamo attraverso una serie di appuntamenti specifici che sono stati pubblicizzati, e poi attraverso un momento importante (non direi conclusivo perché il cammino non termina) che sarà il 29 settembre con mons. Gian Carlo Perego, vescovo di Ferrara ma per anni direttore nazionale della Migrantes.
Concludo con un appello affinché le comunità parrocchiali (a partire dai sacerdoti e dai vari Consigli) trovino le modalità più adatta non solo di far conoscere ma anche di partecipare. La posta in gioco in questo momento è molto alta sia per la comunità ecclesiale che per la società civile.

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