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Il festival dello sballo che avvelena i minorenni

Un ragazzo su tre ha provato droga e alcol. Prevenire e/o punire? Troppo diffusi i comportamenti superficiali anche da parte dei genitori

Parole chiave: Sballo (1), Droga (5), Giovani (99), Dipendenze (5)
Immagine di mani che si allungano su pillole

Per curiosità, emulazione, desiderio di accettazione da parte degli amici. Oppure per tenere a bada l’ansia e la noia. Sono tanti i motivi che spingono i giovani ad abusare di sostanze. Lo racconta Paolo, per il quale il passaggio dalle prime bevute allo sballo vero (con droghe pesanti) è stato repentino. È uno dei ragazzi “fragili” per i quali il rischio di scivolare in una dipendenza è alto. Come aiutarli? Ha fatto discutere la proposta di adottare nelle scuole un protocollo messo a disposizione dall’Ulss che prevede, tra le altre cose, la possibilità di sottoporre gli studenti a un drug test. C’è chi si oppone e chi pensa sia utile a far aprire gli occhi. Innanzitutto ai genitori...

«Che sballo lo sballo! E nessuno mi dice niente...»
Un ragazzino su tre lo ammette. Punire? Prevenire? E i genitori?
Giovanissimi sempre più attratti dalle droghe: il 30% degli studenti veronesi, nella fascia fra i 13 e i 19 anni, dichiara di aver usato almeno una volta delle sostanze stupefacenti, anche a scuola. Un comportamento che non è percepito come dannoso per la salute, anzi: si inizia sempre prima, ignorando il rischio di scivolare con facilità nella dipendenza e di ritrovarsi in cura ai Sert prima ancora di compiere vent’anni.  
La fotografia della situazione arriva dal Punto di ascolto per la prevenzione del disagio scolastico, di cui è responsabile dal 2005 la psicologa e psicoterapeuta Giuliana Guadagnini. «I dati che abbiamo raccolto confermano quelli nazionali: dai 13 anni alla quinta superiore i cannabinoidi sono i più usati, ma sono diffuse anche altre sostanze – riferisce –. L’approccio avviene per curiosità, emulazione degli amici, ma pure per tenere sotto controllo l’ansia da prestazione scolastica. Inoltre, mentre in passato c’erano remore a drogarsi nei luoghi pubblici, per una diffusa disapprovazione sociale, oggi gli stupefacenti si assumono a scuola, per strada, in stazione, sull’autobus, nei parchi pubblici».
A cos’è dovuto questo cambiamento? «La vendita della cannabis light ha generato molta confusione nella società, diffondendo la percezione che assumere marijuana non faccia poi così male – spiega –. Molti genitori, poi, ignorano le diverse tipologie di droghe (come le sintetiche contenute in bustine colorate, simili alle figurine) e in generale hanno abbassato l’attenzione: da un lato perché sono poco presenti nelle vite dei figli, dall’altro perché mancano di coerenza educativa. Poi si trovano quelli che negano l’evidenza o che dicono: “La canna me la faccio anche io, lei non si impicci”».    
Fare prevenzione in questo campo sembra diventato più complicato rispetto ad altre manifestazioni di disagio giovanile, come il bullismo o i disturbi alimentari. «Alcol e droga comportano danni cerebrali, ma tra i giovani oggi sono usati come fossero la normalità – continua Guadagnini –. La situazione va affrontata con intelligenza e cautela: non si può pensare di adottare solo una modalità repressiva, non funzionerebbe».
Ha sollevato un polverone la recente proposta di introdurre i test antidroga nelle scuole. Una possibilità – contenuta nella revisione dei Cic (Centri di informazione e consulenza scolastici), a cui oggi meno del 3% degli studenti si rivolgono per problemi di droga – che prevede l’adesione al test in forma volontaria, anonima e col consenso dei genitori per i minorenni. «È un protocollo sanitario messo a disposizione dell’Ulss per sensibilizzare e individuare quanto prima le situazioni di rischio: è stato discusso e condiviso con l’amministrazione scolastica e i dirigenti, ma è finito nelle polemiche quando è passato al vaglio degli amministratori», ricostruisce.
L’iniziativa si inserisce nel quadro degli interventi informativi, educativi e di sanità pubblica attivati sulla base del Dpr 309/90, la legge di contrasto alle tossicodipendenze. «Quello che proponiamo è un modello “proattivo”: un Cic più evoluto, con giornate di prevenzione, la partecipazione di testimonial nelle scuole, lo sviluppo di indagini conoscitive e, tra le varie cose, la possibilità per i presidi di richiedere drug test e alcol test – conclude la psicoterapeuta –. Il tutto per far entrare in contatto con i servizi preventivi le persone che hanno bisogno di aiuto, senza tralasciare il supporto e l’orientamento ai genitori, spesso disorientati quando il problema viene a galla».
Adriana Vallisari

Ragazzine a rischio: stordite da alcol e droga sono vittime di violenza
Troppo diffusi i comportamenti superficiali
Per inquadrare la questione, esemplifica: «Non tutti quelli che usano cannabis finiranno ad abusare di eroina e cocaina. Ma tutti quelli che abbiamo in terapia per abuso di eroina, e parliamo di oltre 2mila pazienti nel Veronese, hanno iniziato dalla cannabis. In termini scientifici, significa che c’è una parte di popolazione giovanile, circa il 15-20%, che è particolarmente sensibile all’uso di droga e all’esserne attratto».
L’attenzione di Giovanni Serpelloni, direttore del Dipartimento delle dipendenze dell’Ulss 9 Scaligera, si concentra sulla percentuale di ragazzi “vulnerabili”, quelli che corrono il rischio maggiore di maturare una tossicodipendenza. Alla potenzialità si aggiunge un dato di fatto: «La sostanza più accessibile in adolescenza, che costa e spaventa poco perché percepita come meno pericolosa, è la cannabis. Queste persone vulnerabili la provano e, quasi sempre, evolvono verso l’utilizzo frequente. La stessa cosa vale per alcol o tabacco. Non a caso si tratta di sostanze che definiamo gateway, intese quali vie di accesso alla dipendenza».
– Esiste una fragilità di fondo. Da cosa dipende?
«Da diversi fattori, che sono innanzitutto individuali, di tipo genetico: si nasce con sistemi neuropsichici particolari, ma si aggiunge la componente familiare e relazionale. In un ambiente in cui il fatto di drogarsi non è un problema, ma viene considerato costume sociale, è chiaro che il ragazzino non prova quella repulsione che sarebbe naturale verso ciò che mette a rischio la sua integrità fisica, psichica e spirituale».
– Poi c’è la componente educativa. Quanto incide?
«È fondamentale: in famiglia, a scuola e nella società in generale, anche nelle sue manifestazioni mediatiche. Evidenze scientifiche confermano che serve la disapprovazione sociale all’uso di sostanze e alcol: solo così una persona ha una motivazione in più dal punto di vista comportamentale a non abusarne».
– Viviamo in una società in cui la cannabis, etichettata “light”, è venduta come merce qualsiasi. Nel negozio della porta accanto. Questo è uno dei messaggi sbagliati?
«Certo. Il messaggio è sbagliato e lo abbiamo quantificato con uno studio su alcuni studenti delle scuole medie e superiori per capire cosa avessero percepito sull’apertura di questi negozi. È emersa un’enorme confusione: oltre il 40% pensava che la cannabis fosse stata legalizzata, non sapendo che questi esercizi vendevano prodotti per uso umano senza essere legittimati a farlo. Aprirli con tanto di insegne luminose e vetrine di prodotti accattivanti è assolutamente diseducativo, oltre che di pericolosità tossicologica. Una nostra ricerca ha evidenziato che in alcuni casi la concentrazione di principio attivo, Thc, raggiunge la dose cosiddetta “drogante”, pari a circa 2 milligrammi».
– Quale atteggiamento riscontra nei ragazzi?
«L’80% dei ragazzi non fa uso di droga e ha un atteggiamento sano. Il 20-30% ha dichiarato, negli ultimi due-tre anni, di aver fatto ricorso a sostanze almeno una volta. Tra questi sperimentatori insorge il problema, in particolare tra le donne che agiscono in maniera superficiale. Le ragazzine non si rendono conto che con la diminuzione dello stato di coscienza, stordite da alcol e droga, diventano vittime di aggressioni sessuali. Nemmeno se ne accorgono, oltre al fatto di finire in pronto soccorso in coma etilico. Le bevute sono pericolose e rischiosi sono i comportamenti che adottano. Una nostra ricerca evidenzia che per i tredicenni e i quattordicenni è considerato “normale” bere a una festa quattro-cinque birre e tre-quattro superalcolici. Si tratta di venti unità alcoliche e una ragazza non dovrebbe assumere, dopo i ventuno anni, oltre le due unità giornaliere».
– Altro fenomeno è il policonsumo di sostanze stupefacenti. Quanto è nocivo?
«Come fenomeno non è nuovo. Di recente è diventato rilevante per l’uso di droghe eccitanti, che possono essere anfetamine e metanfetamine, alternato a un po’ di eroina che è invece sedativa e viene assunta perché il giorno dopo ci sono la scuola o il lavoro. Questo porta ad avere doppie o triple dipendenze».
– Di conseguenza, rispetto al passato, è cambiata la figura del tossicodipendente?
«È cambiata. Se vogliamo è più integrato nella società, dunque l’individuazione precoce da parte per esempio dei genitori, che vedono l’insorgere di disturbi comportamentali e aggressività, è difficile col conseguente ritardo di diagnosi. Ai nostri servizi arrivano persone per le quali, dal primo uso all’accesso al servizio, sono trascorsi addirittura sei-otto anni. Ecco perché consigliamo il drug test alle famiglie: in totale anonimato e col supporto di psicologi, senza nessuna conseguenza disciplinare e in forma volontaria. Vogliamo che siano prima di tutto i genitori ad aprire gli occhi».
– Il test può essere uno strumento efficace in termini di prevenzione?
«Ci basiamo sulla early detection, la prevenzione e la diagnosi precoci. Perché non farlo con un test, come da medici facciamo per qualsiasi altra malattia? Tossicodipendenza e uso di droghe sono la prima causa di morte, assieme agli incidenti con droga e alcol correlati, nella fascia d’età tra i quindici e i diciannove anni. Stiamo parlando di una cosa gravissima. Quella che proponiamo è una strategia».
– Ne esistono altre?
«Altre applicabili sono contenute nel protocollo, già adottato da alcuni istituti, che ha un approccio educativo. Prevede corsi di formazioni per genitori, attività informative con educatori. Altra richiesta è che le scuole si dotino di cartelli che ricordano la pericolosità di sostanze e alcol. Si chiama modello proattivo e prevede inoltre di incontrare i ragazzi, di intercettare quelli che sono disagiati e hanno dei problemi, senza aspettare che siano loro a rivolgersi a noi. Con il rispetto e la privacy che servono. Vogliamo ribadire che tutte le droghe fanno male e non devono essere usate, cannabis per prima. I ragazzi scendono in piazza per l’ambiente, quando lo faranno per dire di rinunciare ad alimentare il mercato di mafie e terrorismo?».
Marta Bicego

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