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Negrar. Mosaici in mezzo ai vigneti

di PIETRO MARINI

Scavi archeologici di enorme importanza riportano alla luce i resti di una splendida villa romana

Immagine di una pavimentazione a mosaico della villa romana in mezzo ai vigneti di Negrar

di PIETRO MARINI

La villa romana dei Mosaici di Negrar come paradigma della sinergia tra pubblico e privato nell’ambito della scoperta, della tutela e della valorizzazione dei beni culturali. Ne hanno discusso il sindaco di Negrar, Roberto Grison, dal sovrintendente Vincenzo Tiné e da Gianni De Zuccato, l’archeologo della Sovrintendenza che si occupa dello scavo della villa.
La presenza di una villa di epoca romana a Negrar è nota da più di un secolo: sul finire dell’Ottocento vennero rinvenuti dei mosaici che fecero notizia, anche perché vennero strappati, come si dice in linguaggio tecnico, e venduti al Museo Archeologico di Verona. Sulla scorta di queste scoperte, nel 1922 Tina Campanile (una delle prime archeologhe donne in Italia) proseguì le indagini archeologiche corredate da belle foto in bianco e nero. Trovandosi su terreni di proprietà privata, lo scavo venne interrato, così come venne interrata la parte rinvenuta nel 1975 durante gli scavi per la costruzione di una abitazione.
«Della villa romana e dei suoi splendidi mosaici – spiega De Zuccato – si era persa traccia da quasi un secolo. Ritrovarla era considerata una impresa assurda e impossibile, ma quando – da archeologo della Sovrintendenza – mi fu affidata la tutela di questo territorio, decisi che avrei trovato la villa, se ancora esisteva».
Ottenuto un piccolo finanziamento, nell’estate del 2019 De Zuccato e gli archeologi di Sap - Società archeologica padana iniziano a scavare e ottengono i primi riscontri sulla disposizione della villa. Passano i mesi, interviene la pandemia che interrompe momentaneamente i lavori, che riprendono durante l’estate. Si arriva così a scoprire la parte mosaicata della villa e le foto del ritrovamento fanno il giro del mondo.
L’indagine rivela l’estensione dell’abitato che insiste sui terreni di proprietà di due cantine: l’Azienda agricola Benedetti - La Villa e l’Azienda agricola Franchini. Quello che nel secolo precedente era stato un freno all’indagine archeologica oggi, grazie alla visione dei proprietari, diventa un punto di forza. Con un accordo di partenariato pubblico-privato, i proprietari hanno rinunciato a indennità di occupazione e premi di rinvenimento e hanno anzi partecipato alla maggiore voce di spesa che, in una indagine archeologica, consiste nella rimozione e nello smaltimento dei materiali inerti provenienti dallo scavo.
Grazie a tutto questo, al contributo del Bim Adige e ai fondi ministeriali, gli scavi sono potuti proseguire e «le scoperte in questi giorni vanno avanti ad un ritmo febbrile», spiega ancora De Zuccato. Per ora la parte scavata insiste sui terreni di proprietà dei fratelli Matteo e Simone Benedetti, ma la campagna di scavi prevede che entro la primavera 2022 si scavino in totale 3.500 metri quadrati anche della proprietà Franchini.
«La situazione è unica – spiega il sindaco –: siamo in presenza di una ricchezza nel sottosuolo coperta da una ricchezza in superficie, le vigne. Per questo motivo si fatica a trovare attori disposti ad intervenire anche finanziariamente, qualcuno deve fare da apripista». E il sovrintendente Tiné aggiunge: «La Valpolicella ha la possibilità di offrire un itinerario archeologico di tutto rispetto: il nostro sogno è che l’archeologia possa integrarsi con il vino, sperando che l’Unesco riconosca alla Valpolicella lo status che merita».
Intanto gli scavi proseguono e non è detto che non riservino delle nuove, interessanti sorprese.

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