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Trovati a Negrar resti d’uva di 6.000 anni: qui il vino più antico d’Italia?

di PIETRO MARINI

Il territorio della Valpolicella non smette di regalare preziosi reperti archeologici e... sorprese

Parole chiave: Vino (7), Negrar (9), Valpolicella (15), Archeologia (3), Cultura (29), Provincia (47)
Trovati a Negrar resti d’uva di 6.000 anni: qui il vino più antico d’Italia?

di PIETRO MARINI

Non smettono di stupire le scoperte archeologiche in Valpolicella: sono stati presentati infatti i risultati di uno scavo archeologico in località Colombare di Negrar che hanno permesso di portare alla luce quella che parrebbe essere l’uva più antica sicuramente della Valpolicella, se non anche del Nord Italia.
La zona di Colombare di Negrar è stata indagata da tre campagne di scavo che hanno portato alla luce un insediamento preistorico risalente al periodo compreso tra il Neolitico tardo e recente, ovvero circa 6.000 anni fa. La terza indagine del sito ha visto il supporto della Soprintendenza di Verona, Rovigo e Vicenza assieme all’Università statale di Milano.
Ed è proprio Umberto Tecchiati, docente di Preistoria ed ecologia preistorica, a spiegare il ritrovamento e la sua eccezionalità: «Abbiamo rinvenuto numerosi vinaccioli (i semi presenti all’interno dell’acino d’uva) carbonizzati, e moltissimo polline di vite», spiega lo studioso che ha proseguito illustrando come il polline di vite sia appunto poco volatile e che quindi la sua massiccia presenza nella zona dello scavo sia da spiegare con una massiccia presenza di uva nella zona.
Si tratta di una scoperta che ha entusiasmato, sia gli addetti ai lavori sia il folto pubblico presente alla conferenza stampa a Villa Spinosa. Il ritrovamento, infatti, dimostra come la Valpolicella fosse terreno adatto alla nascita dell’uva fin da tempi remoti. Il passo però, per dimostrare l’utilizzo di quest’uva, arriverà a seguito di ulteriori analisi di laboratorio: «Crediamo si trattasse di vite selvatica – spiega Paola Salzani, della Sovrintendenza –, vite che cresceva in modo spontaneo assieme ad altre piante del luogo; ma non possiamo escludere a priori che i frutti venissero utilizzati per uso domestico, come non possiamo escludere che venissero utilizzati per ricavare il vino».
A dare manforte a questa ipotesi, il sovrintendente di Verona, Vincenzo Tinè, aggiunge: «Le prime attestazioni di utilizzo dell’uva per ricavarne vino risalgono proprio al Neolitico, dall’Iran alla Georgia, per arrivare alla Sicilia. Siamo certi che la Valpolicella non sia da meno e aspettiamo le prove del più antico vino del Nord Italia».
Una scoperta, in attesa delle analisi di laboratorio, che rende comunque Negrar, nelle parole del suo primo cittadino Roberto Grison, «la capitale archeologica della Valpolicella», riferendosi agli scavi che hanno portato alla luce la cosiddetta Villa dei Mosaici. Se in epoca romana l’utilizzo del vino era certo e testimoniato da svariate fonti, il sogno degli archeologi al lavoro a Negrar è di fare un passo avanti (o indietro nel tempo) e dimostrare che, già ben prima dei Romani, gli uomini del Neolitico producevano e consumavano l’antenato dell’Amarone.

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