Provincia
stampa

Come eravamo, per non scordarlo

di MARTA BICEGO
Il nuovo Museo etnografico dell’uomo e dell’ambiente: un salto nel passato

Come eravamo, per non scordarlo

di MARTA BICEGO
Un luogo che celebra il passato e sottolinea il valore del presente. Senza nostalgie, ma piuttosto guardando al futuro con consapevolezza. Un luogo dedicato «ai nostri vecchi, molti dei quali ormai senza nome e senza volto, che hanno plasmato questa terra per come è conosciuta oggi». Parla a tutti, ma in particolare si rivolge alle generazioni che verranno il nuovo Museo etnografico dell’uomo e dell’ambiente di Bosco Chiesanuova.
È stato inaugurato il 23 dicembre scorso, dopo la benedizione del parroco don Lucio Benedetti. Custodito nelle pietre è l’onere della memoria: «Noi abbiamo il dovere di ricordare ai nostri figli che questa terra è il frutto delle loro sapienti mani. Ogni oggetto, ogni fotografia, ogni ricostruzione conservata in questo luogo è un tassello del puzzle che racconta chi siamo e da dove veniamo. La cultura è il cuore pulsante di una comunità e il nostro vuole battere forte, unire, rinsaldare il senso di appartenenza, ispirando il cammino delle generazioni future». La dedica, scritta dalla bibliotecaria Loretta Scandola e letta prima del taglio del nastro dal sindaco Claudio Melotti, riassume il significato di questa nuova opera riconsegnata alla collettività dopo quattro anni di lavori che ne hanno assicurato una riqualificazione non solo architettonica ma espositiva. Il nome scelto, “Luxino”, richiama il termine con cui nei documenti più antichi venivano chiamati gli alti pascoli delle montagne scaligere; secondo un’ipotesi suggestiva, deriverebbe dal latino lux, luce, cioè quel bagliore che riempiva gli occhi a chi, dalla pianura, saliva sull’altopiano. Certo è che riesce a sorprendere pure la ritrovata sede: è adibita a museo etnografico dal 1981 dopo che l’immobile – costruito tra il 1850 e il 1852 per ospitare prima il Municipio, poi i bambini della scuola elementare – fu rinnovato dall’architetto Libero Cecchini.
Tornando all’oggi, fondamentale dopo più di qualche complicazione (i lavori interrotti dalla pandemia e la rinuncia della prima ditta appaltatrice, quindi l’affidamento a un’altra impresa, la Edil Monte Croce di San Rocco di Roverè, che ha ultimato l’intervento), ha sottolineato Melotti, è stato l’apporto degli uffici comunali e di vari professionisti, degli artigiani locali e delle decine di volontari dell’associazione “Amici del Museo” che si sono avvicendati “donando” «almeno 2.500 ore lavorative». Significativo l’investimento del Comune, per una spesa complessiva pari a 435mila euro, in parte coperta da un finanziamento regionale e da fondi del Gal Baldo Lessinia (90mila euro) il cui presidente, Ermanno Anselmi, è intervenuto alla cerimonia; erano presenti inoltre il vicepresidente della Cassa Rurale Vallagarina, Carmelo Melotti, istituto che ha sostenuto finanziariamente l’evento inaugurale; il presidente del Parco della Lessinia Giuliano Menegazzi; la consigliera provinciale Federica Losi e alcuni sindaci dei Comuni limitrofi, tra i quali Raffaello Campostrini per Sant’Anna d’Alfaedo. A illustrare le principali novità del Museo sono stati alcuni dei volontari, esperti della storia locale: Ugo Sauro per le origini della struttura e Nadia Massella.
L’idea, ha spiegato quest’ultima, era «dare un senso cronologico e logico su come l’uomo si è rapportato alla Lessinia. Cosa ha fatto, come è riuscito a trovare soluzioni servendosi del legno e della pietra per costruire le contrade o per sfruttare l’acqua per abbeverare gli animali e fare il ghiaccio». Un viaggio che dal passato conduce al presente per accompagnare al futuro. Tra oggetti contestualizzati o racchiusi all’interno di bacheche; gigantografie con scorci che rendono omaggio alla bellezza del territorio; pannelli (tradotti pure in lingua inglese) che illustrano le diverse attività dei falegnami e dei segantini (gli operai specializzati nel tagliare le assi dei tronchi di abete o castagno), dei ciabattini e degli scalpellini, dei malgari. Per ciascuno, una collezione di strumenti declinati in molteplici materiali che le mani dei nostri nonni sapevano muovere abilmente. Senza dimenticare lo sci, mezzo utilizzato per spostarsi tra le nevi ma pure per divertimento, in una terra che ha regalato diversi campioni olimpici.
Foto in bianco e nero, suppellettili, abiti, biancheria e mobilio descrivono una quotidianità d’antan che si divideva tra casa e lavoro, cucine e laboratori, natura e società. Inoltre, tra i supporti multimediali, installazioni audio e un video dalle immagini e musiche suggestive, a cura del regista Alessandro Anderloni con l’architetto Vincenzo Pavan, accompagnano i visitatori alla scoperta delle migrazioni (al nar a sercàr fortuna tra Ottocento e inizio Novecento, poi tra i due conflitti fino al grande esodo del dopoguerra) e delle architetture che caratterizzano la Lessinia. Questo significa valorizzare davvero la storia. E gli oggetti che ne scandiscono il susseguirsi nei secoli: anziché rimanere nascosti nel buio di una soffitta, ora sono illuminati per raccontare la vita di tante persone. Così, ha evidenziato Scandola, «una mastela, il contenitore per far affiorare la panna, ci parla del boscaiolo che ha raccolto la legna, del falegname che l’ha costruita con maestria, dei montanari che nei baito lo hanno usato per fare il burro». Il Museo, ha concluso la bibliotecaria, «è fatto da chi ci ha preceduto, parla di vite singolari e particolari, che hanno creato la Lessinia».

Tutti i diritti riservati
Come eravamo, per non scordarlo
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento