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Una mostra su Rosario Livatino, il giudice beato

di REDAZIONE

Convegno e mostra fino al 21 marzo in Gran Guardia sul giovane magistrato assassinato dalla mafia nel 1990

Parole chiave: Rosario Livatino (1), Beati (7), Chiesa (182), Mostre (10), Fede (57), Mafia (8)
Una mostra su Rosario Livatino, il giudice beato

di REDAZIONE

Da giovedì 9 a martedì 21 marzo (dalle 9 alle 13 e dalle 16.30 alle 20, con ingresso libero) il palazzo della Gran Guardia ospiterà la mostra multimediale “Sub tutela Dei”, dedicata al giudice Rosario Livatino, il magistrato ucciso a soli 37 anni in un agguato mafioso lungo la Statale 640 Agrigento-Caltanissetta il 21 settembre 1990 e beatificato ad Agrigento il 9 maggio 2021.

L’esposizione, promossa da Associazione Rivela, Libera associazione forense, Ordine degli avvocati, Comune, Tribunale, Diocesi di Verona e Centro di cultura europea Sant’Adalberto, verrà inaugurata giovedì 9 alle 18. Sarà preceduta da un convegno dl titolo “Sub tutela Dei – Rosario Livatino” in programma nell’auditorium della Gran Guardia venerdì 3 marzo alle 17.30. Interverranno il magistrato Giovanbattista Tona, consigliere della Corte di Appello di Caltanissetta; Salvatore Insegna, cugino di Rosario Livatino, e Guido Facciolo, curatore della mostra.

Quando gli inquirenti che avevano il compito di indagare sull’assassinio del magistrato Livatino trovarono, sparse nelle sue agende, le iniziali S.T.D. si inquietarono. All’inizio pensarono fosse un messaggio cifrato per indicare il nome di chi lo perseguitava. Quella sigla, già presente nella sua tesi di laurea, in realtà era una delle invocazioni con le quali, in epoca medievale, si impetrava l’assistenza divina nell’adempimento di certi uffici, e sta per “Sub tutela Dei”, frase che dà il titolo alla mostra. Per Livatino era il motto che racchiudeva il significato profondo in cui consisteva la sua vita: non sotto la tutela dei potenti, ma dentro la protezione e l’abbraccio del Mistero di Dio.

Proveniente dall’esperienza dell’Azione Cattolica, Rosario Angelo Livatino era un credente fervido e soprattutto uomo credibile e giusto. Sul concetto di giustizia usava parole precise: «La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore, amore verso il prossimo e verso Dio, ma verso il prossimo in quanto immagine di Dio, quindi in modo non riducibile alla mera solidarietà umana».

Livatino era un magistrato serio e rigoroso.Dagli atti processuali emerge con chiarezza che fu questa la ragione per cui la mafia lo condannò a morte: le sue sentenze erano così ben costruite da reggere tutti i gradi di giudizio successivi. L’agguato omicida avvenne lungo la strada statale Agrigento-Caltanissetta: mentre si recava al lavoro, Livatino fu assassinato da quattro killer armati di mitra, fucile e pistole, per dimostrare a Cosa nostra e allo Stato la forza e la potenza di fuoco di quella che si ergeva a nuova mafia, la Stidda. Era il 21 settembre 1990.

Prima di essere massacrato dai colpi, il magistrato chiese ai killer: «Picciotti, cosa vi ho fatto?». Una frase che richiama quella del profeta biblico Michea, poi associata al Venerdì Santo e alla morte di Cristo: «Popolo mio, che male ti ho fatto?».

La fama di santità e di martirio di Livatino si diffuse subito dopo la sua morte, un martirio in odium fidei, come sarà definito successivamente dalla Chiesa. I capi mafiosi delle Stidde agrigentine e di Cosa nostra lo insultavano proprio perché ne odiavano la pratica religiosa e di fede. Tuttavia, uno dei suoi killer, leggendo in carcere la storia e l’esempio di santità di Livatino, si pentì e si convertì.

Martire e beato dunque: Livatino è un uomo che testimonia l’operosità, l’attaccamento alla vita e il desiderio di verità e giustizia. Non solo: egli incarna l’accanita volontà del popolo siciliano di costruire un tempo di fratellanza, di giustizia e di pace per tutti. La mostra sarà l’occasione per conoscerne a fondo la vita e il pensiero.

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