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«Quell’anziana col rosario che mi ha riportato nella strada della fede»

di LUCA PASSARINI
Francesco Affatato e una “conversione” partita da un... concorso

«Quell’anziana col rosario che mi ha riportato nella strada della fede»

«Il diaconato? Fino a pochi anni fa non sapevo neanche cosa fosse»: parole di Francesco Affatato, 47 anni, ordinato nella Cattedrale di Verona il 12 settembre 2021. Nato a Lucera, in provincia di Foggia, è cresciuto con l’esempio di fede e attenzione agli ultimi comunicatogli dal nonno Alfonso e dal papà Claudio, ma ad un certo punto ha imboccato altre strade: «A ventidue anni ero completamente ateo, in tutto e per tutto, lontano da Dio e dalla Chiesa. Avevo riposto tante speranze in un concorso per entrare nelle Forze armate e, volendo provarle tutte, ho accettato il consiglio di mia mamma di affidarmi alle preghiere di una donna di grande fede». In questo modo Francesco ha conosciuto Rosa Lamparelli, allora ottantasettenne: «Era una signora molto povera, che viveva in una casa davvero piccola, pregava continuamente con il rosario in mano ed era sempre attenta verso tutti». L’intercessione di questa terziaria francescana non ha portato l’esito sperato: «Un giorno sono tornato a casa sua parecchio arrabbiato per questo, ma soprattutto perché dall’incontro con lei in poi avevo vissuto senza pace e in uno stato di grande turbamento. Con forza le ho chiesto che cosa mi avesse fatto e che cosa volesse da me: lei replicò che, piuttosto, mi dovevo chiedere cosa volesse il Signore da me!».

Affatato è diventato da quel momento uno di casa per quella che tutti chiamavano Rosinella o zia Rusinell, rimanendole al fianco per gli ultimi tre anni di vita: «Soffriva molto ma offriva tutto al Signore per la conversione delle persone; mi ha fatto scoprire Gesù come un amico sempre a fianco, anche nei momenti più semplici; mi ha testimoniato l’amore per i più deboli; mi ha fatto conoscere in maniera approfondita due suoi grandi amici spirituali: padre Pio e Francesco Antonio Fasani, frate conventuale e santo della nostra terra». Dall’incontro con Rosa è nata la storia con il Signore: «Ho fatto esperienza della sua salvezza, ho sentito che mi dava una seconda opportunità di vita e tutto questo mi apriva ad offrire la mia stessa vita, ovvero ad amare gli altri come Gesù mi aveva amato e mettermi a servizio della Chiesa».

Pensando che esistesse solo un modo e una vocazione, quella del sacerdozio, si è messo in cammino di discernimento per questo, anche nella nostra Diocesi, in cui è giunto nel 2005: «Nell’accompagnamento ho capito che non era questo il ministero a cui ero chiamato. L’incontro nel 2009 con quella che sarebbe diventata mia moglie, Rossana Celauro, mi ha aiutato a capire molto di più. Dopo tre anni e mezzo di fidanzamento, nel dicembre 2012 ci siamo sposati, scoprendo pure da parte mia la portata vocazionale del matrimonio: è infatti un ministero per la Chiesa, che per noi, coppia senza figli, è diventato sempre più anche un servizio ricco di disponibilità, nella catechesi e in risposta ad altre richieste, prima nella parrocchia di Sona e poi di Sandrà, in cui ci siamo trasferiti nel 2019. Nel frattempo è stata mia moglie, che è tra l’altro docente di religione, a farmi conoscere il diaconato e abbiamo fatto i vari passi insieme».

Dopo essersi incontrato con una suora di clausura e confrontato con l’allora responsabile mons. Roberto Campostrini, è stato accolto nella comunità formativa per questo ministero, custodito dalla cura, dal sostegno e dall’attenzione di tanti di loro, soprattutto di uno dei decani, Franco Costa: «La cosa che più temevo – continua Francesco – era conciliare gli studi teologici richiesti con il lavoro, ma per il resto è stato un cammino molto bello, anche perché vissuto non in tensione con il matrimonio, bensì come una sorta di prolungamento: mia moglie è stata pure il primo supporto nel percorso di studio e nelle diverse situazioni formative. Ora vivo il mio servizio nella liturgia, nella carità parrocchiale, nella benedizione delle famiglie e delle case, nell’animazione di momenti di preghiera nelle case, accorgendomi che il motore e ciò che permette tutto questo, oltre che l’amore per Dio, è proprio Rossana, alla quale chiedo sempre, prima di uscire di casa e di avviarmi a svolgere i miei compiti ministeriali, la benedizione. Il mio essere diacono lo vivo pure nella relazione con tante persone che spesso sono incuriosite o ancor più disponibili dal fatto che ci sia un ordinato sposato: ho la possibilità di testimoniare la vicinanza del Signore nelle varie circostanze dell’esistenza oltre che il mio tentativo di essere coerente nella vita. Pure rispetto a coloro che ad un certo punto si allontanano dalla comunità cristiana, cerco sempre di avere occasione di capirne i motivi, cosa è successo e non nascondo il dolore per questo».

Altro ambito importante per Francesco Affatato è quello della professione, come avvocato specializzato nel diritto del lavoro: «Diciamo che il fatto di sapere che sono un diacono molte volte non passa inosservato, tra i clienti e i colleghi. Da parte mia si tratta, anche dentro le questioni più complicate, di provare ad individuare e indicare che ci può essere sempre una soluzione e qualche possibilità che magari non era stata considerata: di certo non può però essere una recita perché te lo leggono in faccia se tutto quello di cui parli già lo vivi nel tuo quotidiano. In questo orizzonte sono contento di essere stato introdotto nel Centro studi “Rosario Livatino”, che sta cercando di far conoscere a più persone possibili questo magistrato, ucciso in odium fidei, che ha sempre cercato di fondere l’amore per il proprio lavoro e per Dio, testimoniando l’attenzione alla vita di tutti e che si può trattare in maniera cristiana anche il più colpevole dei colpevoli». A mettere insieme i vari aspetti è proprio il rispondere al desiderio e allo stesso tempo alla necessità di essere attento a chi affronta una situazione di difficoltà e che procura sofferenza da un punto di vista fisico, materiale, morale o spirituale: «Ho sempre ben impresso nel cuore l’amore e la fiducia che Dio ha avuto e ha per me, pure nell’affidarmi un ruolo di così grande responsabilità rispetto ai suoi figli. Ogni giorno e ogni occasione le vivo come opportunità per amarlo e farlo amare, pure quando in questi ultimi tempi sono stato chiamato in aiuto da alcuni ministri della consolazione, a cui offro volentieri il mio contributo, in qualsiasi momento e qualsiasi distanza sia chiamato a percorrere, con la speranza di ottenere liberazione e guarigione per qualche fratello». Un particolare sostegno nel suo ministero, il diacono Francesco lo trova in Maria e nel pregare il Rosario: «Si tratta di un modo grande per essere condotti a Gesù e allo stile mariano dell’umiltà, che è proprio il contrario di idoli come la superbia, l’orgoglio, l’arrivismo, il cercare a tutti i costi la visibilità. Ed è per me lo strumento più forte per cercare di realizzare la preghiera di John Henry Newman: “Fa’ sì che guardandomi non vedano più me, ma Te soltanto, o Signore!”».

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