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Don Alberto Speranza: il calore del fare famiglia nelle radici di una vocazione

di LUCA PASSARINI

Prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei preti Under 40 

Parole chiave: Preti under 40 (1), Parroci (3), Preti (22), Diocesi di Verona (73), Chiesa (182), Parrocchie (64)
Don Alberto Speranza: il calore del fare famiglia nelle radici di una vocazione

di LUCA PASSARINI

“Fare famiglia”. Di certo, se don Alberto Speranza dovesse trovare uno slogan per dire il segreto della vita e della fede cristiana, sarebbe questo. Superato da qualche settimana il compimento dei 35 anni di vita, riconosce che tale è l’insegnamento e la testimonianza più bella che ha ricevuto. «A partire dalla parrocchia nativa di Casaleone – ci spiega – con il parroco don Luciano Galante che cercava continuamente di rendere questa frase una realtà». 

Lo stesso prete, oggi 92 anni, che dal suo arrivo nel 1991 aveva coltivato una particolare attenzione per il Seminario minore: «In parrocchia se ne parlava continuamente, era conosciuto e vi era un bel gruppo di ragazzi del paese che frequentavano quella comunità». Non mancava, poi, la gita dei ragazzi con il catechismo direzione San Massimo, dove era ospitato allora il Minore. 

«Quando sono andato io in quarta elementare – racconta don Alberto – non ricordo cosa abbiamo visto o fatto, ma ho bene in mente che, tornato a casa, ho detto a mia mamma che volevo entrare in Seminario. Probabilmente mi avevano colpito la vita di comunità, lo stile di condivisione, le proposte di preghiera, la possibilità di giocare insieme in spazi grandi, il vivere insieme anche l’impegno dello studio». 

La mamma rispose di aspettare, che c’era ancora almeno un anno e che le scelte importanti vanno maturate bene. E così fu: un anno di silenzio, in cui non ritornare più sull’argomento. Unico contatto, gli incontri vocazionali, cenacoli con il gruppo di ragazzi che si trovava ad Asparetto. Ormai al termine, ecco il confronto con il parroco (praticamente bloccato fuori da chiesa) e la famiglia, che lo ha lasciato libero di andare. 

«Gli anni in Seminario minore – confida Speranza – si potrebbero raccontare come un percorso di costante crescita e scoperta, attraverso la vita fraterna e tutto quello che veniva proposto. Anche la preghiera e la Messa quotidiana non erano un peso (cosa che può capitare a quella età) perché le vivevamo insieme e come occasione per condividere. Lì ho assaporato cosa significa davvero il grande elogio che Gesù fa nel Vangelo secondo Matteo di chi ha la saggezza di costruire sulla roccia. Con il procedere del cammino, ho intuito che quello era il modo più bello e più felice per crescere e per scegliere nella vita».

Un’esperienza importante in quegli anni è stata la visita a Giovanni Paolo II presso la residenza di Castelgandolfo. Alberto era in quinta superiore e ricorda ancora quest’uomo dalla salute precaria e che testimoniava la sua fede non tanto con le parole, ma con il modo di vivere il limite e la malattia. «Fu per me chiaro – rivela – che desideravo che il Signore fosse parte fondamentale anche della mia vita». 

Senza troppe certezze sulla sua vocazione, iniziò il Seminario maggiore scoprendo sempre più che la vera cosa essenziale nella vita era il rapporto con Dio. Questa libertà interiore lo ha portato a camminare accogliendo le proposte e la formazione specifica in vista del ministero, vigilando sul rischio di essere trasportato da una abitudine ad essere seminarista e a fare passi senza giusta valutazione. 

«In questo mio percorso – racconta – è stato importante l’anno di esperienza pastorale a Bovolone prima della scelta definitiva del diaconato. Avevo vissuto la mia parrocchia di origine, il servizio a Villa Bartolomea, ma quella è stata la necessaria boccata d’aria fresca dopo 13 anni di Seminario. Non c’era più una vita strutturata, una comunità che ti trasporta, ma in prima persona ho dovuto e potuto scegliere ritmo, priorità e impegni». 

Si è inserito nei gruppi dei giovani e adolescenti, oltre che cogliere l’opportunità dell’adorazione eucaristica perpetua. Giorno dopo giorno ha potuto cercare il giusto equilibrio tra il fare e la preghiera o meglio ancora cogliere come in quest’ultima c’è la sorgente da cui scaturisce tutto, il fondamento su cui giocarsi l’impegno quotidiano e il ministero sacerdotale. Continua don Alberto: «Proprio grazie a questa esperienza e al confronto con i preti di Bovolone, che mi hanno accolto, accompagnato, dato esempio di fede e fraternità, la mia scelta si è chiarita ulteriormente e ha messo radici». 

Ordinato diacono quando ormai il percorso di studi era concluso, ha vissuto in maniera più continua il servizio nella parrocchia di Porto di Legnago, a cui sono seguite (una volta diventato prete) quelle di Pozzo, Raldon e Nogara. Un ulteriore spostamento lo ha portato ad essere dall’anno scorso parroco di Trevenzuolo, Fagnano e Roncolevà

«Ciò che provo a portare sempre con me e a cui cerco di rimanere fedele – ci svela – è proprio lo stile del fare famiglia: è quello che ho sperimentato in parrocchia, in Seminario e ora provo a viverlo da prete; un pastore che si occupa di una famiglia, la parrocchia, con le gioie e le difficoltà che ci sono in ogni famiglia. È quindi questione di custodire, prendersi cura, avere amore verso l’altro». 

Lo stesso orizzonte lo vive tutt’oggi anche verso quei giovani che da Casaleone sono partiti per diventar preti: «Non siamo della stessa classe – spiega –, ma oggi siamo confratelli e ancor prima abbiamo vissuto esperienze importanti che ci hanno legato e che oggi cerchiamo di custodire, mantenendo e implementando legami di amicizia importanti». 

Sebbene non sia più il parroco di allora a organizzare i loro ritrovi, con le immancabili gite in montagne e le frequenti soste, il farsi da mangiare e giocare a carte in mezzo alle Dolomiti, rimane indelebile l’esempio e il valore della condivisione, dell’essere aperti agli altri. E se anche cadesse la pioggia, straripassero i fiumi, soffiassero venti impetuosi, tutto questo rimane perché è fondato sulla roccia.

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