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«Se questa è la mia strada dammi un segno»: il percorso vocazionale di don Filippo Manara

di LUCA PASSARINI

Preti "under 40": conosciamo il parroco di Cadeglioppi, originario di Casaleone

Parole chiave: Preti "under 40" (1), Clero veronese (1), Sacerdoti (16), Chiesa (180), Diocesi di Verona (73), Fede (56)
«Se questa è la mia strada dammi un segno»: il percorso vocazionale di don Filippo Manara

di LUCA PASSARINI

«L’ho realizzato con il tempo – ci spiega don Filippo Manara, 33 anni, parroco di Cadeglioppi –, ma tra alti e bassi, momenti di certezza e di dubbio, periodi in cui le cose erano più chiare e altre meno evidenti, ho sentito quasi da subito che la mia chiamata era questa». 

Tutto era iniziato nella quotidianità e nella semplicità della sua comunità di Casaleone, con l’invito in terza elementare a fare il ministrante da parte di quel parroco che tanto lo affascinava: «Era dentro ogni cosa, pure alle situazioni di bassa manovalanza; era davvero assorbito, ma sempre lo vedevo felice ed entusiasta». Manara oggi ammette che probabilmente erano gli occhi di un bambino ad ammirarlo sempre così: avrà avuto anche lui le sue difficoltà, eppure traspariva quel velo di allegria in ogni occasione e costantemente nel rapporto con le persone. «Nella memoria – continua don Filippo – ho anche bene impresso il parroco davanti al tabernacolo con un quadernino, per prepararsi le omelie e tutti gli incontri di catechesi. Alla lunga mi accorgo che anch’io ho preso questa abitudine e mi ritrovo spesso a preparare gli incontri davanti all’Eucaristia». 

L’allora parroco lo invitò a partecipare già in quel primo anno al convengo diocesano dei ministranti e gli organizzò un piccolo fuori programma: «Chiese al mio compaesano Alberto Speranza, allora in prima media, di farmi fare il giro degli ambienti del Seminario tralasciando per un po’ ciò che gli altri stavano facendo. Mi hanno affascinato a tal punto che, tornato a casa, sono corso da mia mamma per dire che io sarei entrato in Seminario». 

I genitori diedero un peso relativo a questa frase colma di entusiasmo, ma con poca logica, dato che non era certo il tempo per pensare già alle medie. Eppure, questo desiderio rimase vivo nel suo cuore alimentato dalle diverse attività in parrocchia e dal percorso vocazionale Cenacoli vissuto in quinta elementare. «Sono entrato in prima media – racconta Manara – e da Casaleone eravamo ben 5 sui 25 della classe. Ho vissuto al Minore il cammino delle medie e la prima superiore». 

Poi, la scelta di uscire e l’iscrizione presso il liceo psicopedagogico a Legnago: «Un’esperienza che ricordo con tanto piacere, sono stati anni belli pur se non sono mancate le normali difficoltà. Si era creato un bel rapporto tra compagni di studi e con i professori. Non per niente qualche anno fa un nostro docente ha voluto radunare il coro studentesco dell’epoca per essere presenti in una serata speciale della scuola. In tanti ci siamo ritrovati ed era come se ci fossimo sempre frequentati per tutto il tempo». 

Nel periodo delle superiori è stato importante per don Filippo anche tenere sempre vivo il legame con la parrocchia, con la responsabilità di guida del coro giovani e di una classe delle elementari per la catechesi. Queste attività sono state per lui un grande sostegno da un punto di vista umano e spirituale, facendo riaffiorare a volte il ricordo del Seminario: «A tal proposito sono stati fondamentali pure i vari preti che si sono avvicendati a Casaleone, che mi hanno sempre tenuta desta l’attenzione su ciò, mi hanno sostenuto e in qualche modo anche portato a mettermi alla prova. Per questo alla fine delle superiori mi sono voluto nuovamente mettere in gioco, provando a parlare con il direttore di Casa San Giovanni Battista e scegliendo con lui la possibilità di vivere l’anno di discernimento vocazionale nella comunità». 

Un elemento in quell’estate, però, lo bloccava ancora: l’essere figlio unico. Il direttore gli diceva di star tranquillo, ma lui non trovava pace anche perché si accorgeva che a parole non riusciva ad esprimere la pesantezza che sentiva dentro. «Il 20 settembre 2008 – ricorda bene don Filippo – doveva essere il primo giorno di Casa San Giovanni. Con la mia Pandina rossa ero sul vialetto che portava nella vecchia sede a San Massimo; ad un certo punto ho inchiodato: il rosario sullo specchietto dal colpo si è messo a ruotare forte e allora rivolto al crocifisso ho detto: mettiamoci d’accordo, se tu dici che fa per me, benissimo; se è una cosa che mi sono messo in mente, fammelo capire e torno indietro subito». 

Ripartito e parcheggiato, un primo saluto con i nuovi (possibili) compagni ed ecco la voce del direttore a chiamare per un breve momento di presentazioni. Il primo a rompere il ghiaccio cominciò con il dire, subito dopo il nome: «Sono figlio unico». 

Commenta ora Manara: «Poteva dire tante cose e magari tenere per un momento in cui ci conoscevamo di più questo elemento così particolare e anche profondo. E invece lo ha detto con naturalezza e a me ha dato grande pace. L’ho letto come un segno, soprattutto del fatto che non era quello un motivo per bloccarsi e non andare avanti». 

Da subito con quel gruppo si è creato un bel legame, che dura ancora adesso, con frequenti occasioni di incontro e confronto nonostante le distanze chilometriche siano considerevoli con alcuni. Con loro ha percorso il cammino del Seminario maggiore con regolarità e senza grandi ripensamenti, cogliendone la bellezza e l’arricchimento. Sottolinea don Filippo tre elementi in particolare in cui è stato toccato e formato in quegli anni: «Ho imparato la fedeltà alla preghiera, in particolare grazie alla liturgia delle ore e alla meditazione della Parola; a vivere con cura e devozione la celebrazione eucaristica, dove per la mia passione e la mia spiritualità hanno un posto di riguardo la musica e il canto; a gustare e cercare la fraternità sacerdotale, con la possibilità di condividere la vita e la fede».

 

Ordinato presbitero nel 2015, ha svolto il suo ministero per cinque anni nella parrocchia di Santa Maria Immacolata, in città, dove già era stato mandato nel periodo di diaconato: «Sono stati intensi e arricchenti per la condivisione con gli altri preti, il confronto con una realtà di periferia con tutte le sue diversità e ricchezze, la forza di una comunità che prova a mettere al centro il Signore attraverso la preghiera». 

Un anno pastorale a Cerro, come collaboratore della parrocchia e incaricato della pastorale giovanile del vicariato Valpantena-Lessinia, gli han fatto toccare con mano la passione e l’entusiasmo di tanti ragazzi, che non sono venute meno nonostante le limitazioni per la pandemia. «Con sorpresa e gratitudine – racconta – ho poi accolto la richiesta di diventare parroco di Càdeglioppi quest’anno; sento la responsabilità, anche perché si è più esposti e ci sono diverse situazioni, ma allo stesso tempo sono molto sereno perché mi fido della chiamata del Signore e del provare a fare in modo che ogni cosa porti a incontrare Lui».

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