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«Vogliamo essere dei “veri uomini”: basterebbe essere “uomini veri”»

di ADRIANA VALLISARI
Lo psicoterapeuta Alberto Pellai: il papà di Giulia, esempio incredibile per cosa e come l’ha detto 

«Vogliamo essere dei “veri uomini”: basterebbe essere “uomini veri”»

di ADRIANA VALLISARI
Oltre cento donne uccise nel 2023 in ambito familiare o affettivo, in Italia, per mano di un uomo: c’è qualcosa che non va. La tremenda uccisione di Giulia Cecchettin, la 22enne veneziana rapita e colpita a morte dall’ex fidanzato Filippo Turetta, ora in carcere a Montorio, ha risollevato la necessità di investire nell’educazione affettiva dei nostri ragazzi, per insegnare che l’amore non è possesso, controllo, incapacità di rispettare la libertà dell’altra persona. È importante riconoscere i segnali d’allarme per tempo – i femminicidi non sono mai raptus, semmai il culmine di un rapporto tossico, in cui l’uomo non accetta di essere lasciato –, ma altrettanto importante è educare a relazioni autentiche. Ci aiuta a riflettere su questo tema Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, editorialista di Famiglia Cristiana e autore di numerosi libri sulle problematiche giovanili. È intervenuto a Verona sabato scorso, aprendo il ciclo di conferenze “La comunità incontra la psicologia”, e sarà di nuovo in Gran Guardia il 5 dicembre, alle 18, ospite con lo scrittore veronese Matteo Bussola di una tavola rotonda dal titolo “Vero uomo o uomo vero? Il maschile oltre gli stereotipi”.
– Come mai la vicenda di Giulia Cecchettin ci ha scosso così tanto, mentre sugli altri femminicidi siamo passati oltre senza scomporci?
«Perché eravamo lì con loro, momento per momento, e potevamo usare la speranza come uno strumento per tenere Giulia in vita; siamo diventati parte della storia, investendo le nostre energie per costruire un finale diverso, che poi non c’è stato. Quello che è accaduto ci ha enormemente interpellati: ci siamo identificati con i genitori dei ragazzi e quindi abbiamo sentito forte la nostra vulnerabilità. Rispetto ad altre storie di femminicidio, di cui ci arrivava solo l’esito concluso, questa era diversa: per le modalità, perché non è avvenuta in un nucleo familiare chiuso, perché erano due ragazzi con tutta la vita davanti».
– Come possiamo passare dall’emergenza, e dalla morbosità spesso eccessiva della cronaca, a una seria riflessione su quello che vogliamo essere come società?
«Cominciando dall’interrogarci su cosa voglia dire preparare i nostri figli a vivere relazioni amorose competenti. Ci troviamo davanti a due aspetti: come comunicare i fattori di rischio, aiutandoli a riconoscere se una relazione è disfunzionale, e come comunicare la bellezza di una storia d’amore. Vicende come questa vanno a minare il senso di protezione e di sicurezza dei nostri figli: come potranno continuare ad avvicinarsi all’esperienza amorosa con entusiasmo, se quella parte della vita dove incontri bellezza e condivisione diventa un luogo da incubo dove puoi trovare la morte?».
– Si parla molto di educazione in questi giorni, del ruolo della scuola nel formare le nuove generazioni ai sentimenti: ce la caviamo con un’ora di educazione all’affettività tra i banchi, delegando la formazione etica e valoriale agli insegnanti? La famiglia dov’è?
«Occorre ripensare, nel percorso di crescita dei nostri figli, a quali siano i presìdi educativi di cuore, mente e corpo: tre componenti che per costruire una relazione amorosa felice e competente devono trovare equilibrio. Questo non riguarda solo l’ora di affettività a scuola – che è molto importante perché permette il confronto, il dialogo e lo stare in relazione con sé stessi e con gli altri in modo efficace e la scuola questo compito lo svolge meravigliosamente –, semmai dobbiamo chiederci cosa avviene fuori dalla scuola. Il mondo adulto cosa fa?».
– Cosa fa?
«C’è un caos tale! Prima dobbiamo capire cosa ci aspettiamo da noi stessi, come persone adulte, e costruirci solidi, oppure continueremo ad amplificare una quantità infinita di fragilità. Prendiamo il dibattito intorno alla tragedia, che è stato sconcertante: se n’è parlato 24 ore su 24. Ma al momento della notizia della morte, quando tanti uomini dicevano “se succede a me, io vado e lo ammazzo”, il papà di Giulia ci ha dato un esempio della cultura della competenza e non della potenza. A mio avviso Gino Cecchettin incarna perfettamente la rivoluzione culturale e di genere di cui abbiamo bisogno, tutti e tutte. Le sue parole sono state un faro in questi giorni: non solo per “cosa” ha detto, ma soprattutto per “come” ha detto quel “cosa”. Ho scritto questo pensiero su Facebook e non sa quanti insulti mi sono preso».
– Anche in questa circostanza, sembra impossibile ragionare e dialogare senza dividersi in fazioni opposte...
«Già. E invece da tutto questo dibattere conflittuale dovremmo uscire con un’alleanza e non con una nuova guerra dei sessi. Dovremmo costruire un dialogo reciproco, dove non si brucia niente e ci si confronta. Sia come mondo adulto, sia nei confronti di chi cresce e guarda a un nuovo modo di stare al mondo. Maschile e femminile di fronte alla sofferenza hanno comportamenti diversi e la gestione emotiva è parte del problema: ci siamo chiesti come stiamo gestendo, in un mondo complesso, la crescita emotiva dei nostri figli?».
– Voi maschi dovete ripensarvi?
«I maschi vengono raccontati come tutti violenti: ma qual è il modello con cui mi posso identificare, se c’è solo un immaginario negativo? Mi spiego meglio: insegniamo ai nostri ragazzi che non devono essere violenti, ma poi non facciamo vedere altro, non mostriamo cosa vuol dire vivere una relazione sana. Perciò serve tantissimo fare un lavoro di educazione emotiva, affettiva, sentimentale e sessuale coi nostri figli maschi. Nella nostra società ricevono tantissimi messaggi per aderire al copione del “vero uomo”, ma nessuno insegna loro ad aderire invece all’idea di “uomo vero”. E chi è l’uomo vero? Colui che sa stare profondamente in contatto col proprio mondo interiore, con le proprie emozioni. Il papà di Giulia ci sta dando una grande testimonianza: sa maneggiare il dolore, esce dalla logica della rabbia, del rancore e della potenza, e come papà si pone in una prospettiva di vero allenatore alla vita. Abbiamo tanto da imparare da lui».

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