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Chiamare un centro anti-violenza (prima che sia troppo tardi...)

di MARTA BICEGO

I segnali, gli errori da non fare, la scelta di difendersi: parla il Telefono Rosa di Verona

Chiamare un centro anti-violenza (prima che sia troppo tardi...)

di MARTA BICEGO

«Vorrei fortemente sparire dalla sua vita, ma non so come farlo, perché ho troppa paura che possa farsi male». Parole che, ad ascoltarle adesso, fanno venire i brividi. Si rincorrono nell’audio vocale in cui Giulia Cecchettin confessa alle amiche la difficoltà nel gestire la fine della relazione con l’ex fidanzato, Filippo Turetta. Parole che racchiudono solitudine, angoscia, senso di colpa. Avevamo bisogno di ascoltare queste confessioni rimaste purtroppo inascoltate?

Il caso di Giulia è certamente servito a smuovere qualcosa nella società. Sull’onda emotiva e motivazionale dell’ennesimo femminicidio, al Telefono Rosa di Verona c’è stata un’impennata delle chiamate e sono arrivati diversi messaggi da parte di donne che si sentono in pericolo. Poi tante richieste di informazioni da parte di persone preoccupate per una figlia, un’amica, una conoscente.

Soltanto quest’anno sono 104 le donne ad aver contattato per la prima volta il servizio attraverso i social, l’e-mail trverona@gmail.com o il numero 045.8015831 (che si affianca al numero nazionale anti-violenza e stalking 1522). A rispondere sono operatrici adeguatamente formate, che danno consigli concreti su che cosa è opportuno fare. A chiamare sono donne di ogni età, ma la fascia maggiormente rappresentata va dai 20-25 anni fino ai 45 anni. Di varia estrazione sociale, perché la violenza colpisce le manager quanto le casalinghe. Di ogni etnia, sebbene la comunità più difficile da raggiungere resta quella cinese.

«Le donne vittime di violenza devono sapere di poter trovare da noi ascolto e supporto gratuito anche informativo dei servizi pubblici e privati presenti sul territorio, nel totale anonimato», elenca Lorella Don, presidente di Telefono Rosa Verona, che è uno dei centri antiviolenza riconosciuti dalla Regione. E ancora: «Colloqui telefonici o in presenza, consulenze legali, sostegno psicologico di base e all’interno di gruppi di auto mutuo aiuto». Risposte alle sfumature che la violenza assume: psicologica, economica, fisica…

Ogni volta che si arriva a un episodio come quello che si è consumato a Vigonovo, ci si interroga su cosa è possibile o si poteva fare per prevenire. «Non è questione di inasprire le pene – prosegue Don –, ma di sfruttare quello che abbiamo a nostra disposizione. A partire dalla raccolta della denuncia, che deve contenere tutti i particolari possibili, altrimenti viene archiviata». Per questo il Telefono Rosa «lavora sulla formazione, in particolare delle forze dell’ordine, e sulla prevenzione, incontrando le giovani generazioni nelle scuole. Un lavoro capillare e importante perché gli studenti sono attenti e preparati». In generale, quando si parla di violenza, esistono dei segnali ai quali prestare attenzione. «Particolari ai quali spesso non facciamo caso perché non sono ritenuti gravi. Invece lo sono», sottolinea Cristina Turato, psicologa psicoterapeuta di Telefono Rosa Verona.

Si tratta di meccanismi che si ripetono, di micro-comportamenti che si rintracciano nell’audio vocale di Giulia: «Il senso di colpa, la paura di ferire l’altro, la preoccupazione». C’è di più: il controllo dell’altro, ad esempio nell’abbigliamento o nella gestione del tempo libero; la gelosia nel contesto di una relazione che diventa via via esclusiva e nella quale la frequentazione del compagno è totalizzante fino a portare all’esclusione delle amicizie o addirittura della famiglia di origine, mettendo in atto la strategia dell’isolamento. Invece il maltrattante si considera a sua volta una vittima, un perseguitato, un uomo non ascoltato.

«Molte vittime non sanno cosa fare o temono le conseguenze delle loro azioni – osserva l’esperta –. La denuncia è uno dei momenti più difficili a cui approdare: la donna si sente poco tutelata e teme di andare incontro all’ignoto». Rendere consapevoli dello scenario che si andrà ad affrontare è un iniziale passo per accompagnarla nel riprendere in mano la propria vita. Passi verso il cambiamento, innescato anche dalla storia di Giulia e Filippo e delle loro famiglie. Prima del tragico epilogo, spiega Turato, «una vicenda simile a quella di tante famiglie con ragazzi che studiavano e i genitori inseriti nel contesto sociale. Persone nelle quali è facile per ognuno di noi identificarsi». Questo ha colpito di più, fa notare la psicologa, «e da qui si può ripartire. Per parlare di questi fenomeni, capire come si manifestano, spiegare che esistono i centri anti-violenza e ricordare che sono gratuiti». Conoscenza come consapevolezza, per fare in modo che il fenomeno della violenza sulle donne si conosca di più ed esca dalla sfera privata. Prima che sia, ancora una volta, troppo tardi. 

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