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La più bella attesa del Bambino

di LUIGI FERRARI
Tradizione in disuso nelle nostre case? Male: è una scenografia straordinaria 

La più bella attesa del Bambino

di LUIGI FERRARI

È da qualche lustro ormai che, leggendo il quotidiano locale, viene portata in auge la “Rassegna internazionale dei presepi” che da una quarantina di anni la Fondazione Verona per l’Arena allestisce tra gli arcovoli dell’Arena e gli spazi della Gran Guardia. Ma entrando tra le pieghe degli articoli, ci si imbatte in quella che dovrebbe essere la seconda notizia per importanza e invece diventa la prima: “Tradizione da tutelare e indotto da ics milioni di euro”. Buona questa!
A parte la preghiera che il Vescovo di turno recita il giorno dell’inaugurazione, si è mai visto un bambino mettere le mani giunte davanti al Bambinello, fosse pure il più implorante tra i mille che sono stesi in quelle mangiatoie? Il massimo del dialogo scambiato tra gli avventori e tra genitori e figli, non va oltre queste parole: «Varda quel lì che belo che l’è! El ven dal Perù», oppure: «I ghe n’à avù de fantasia; varda le case e i costumi dela gente. Te piàselo?». E non si rendono conto che l’unico a piàserghe dal bon stà festa è l’assessore al Bilancio che, una volta fatti i conti, el s’à tirà su ’na costoleta. Mettiamoci d’accordo: nulla di male andare a fare la coda e sborsare qualche euro per visitare quello che può surrogare un viaggio attorno al mondo, e niente da dire sull’impegno che veri artisti travasano in spazi talvolta limitati; ci mancherebbe!
Ma vien da chiedersi: i presepi in casa non si fanno più? Perché si toglie la possibilità ai bambini di esprimere la loro fantasia mettendo a disposizione magari il ripiano di una credenza, coprendola con un foglio di plastica evitando così che si rovini? Perché non li si lascia inventare una capanna con dei pezzi di legno e con un foglio di carta da pacchi che magari giace da anni nell’ultimo cassetto tra la lavastoviglie e el seciar (pardon, il lavello), o non li si accompagna un chilometro fuori del centro abitato a raccogliere il muschio? Un tempo i bambini ci andavano e tornavano a casa con i diaoleti nei diei (formicolio dovuto alla prolungata esposizione al freddo), ma felici per averne trovato pezzi di abbondante misura: «Catè su quelo a l’ombria, con la brina, che l’è pi’ belo», raccomandavano le mamme.
Non mi si venga a dire che in casa non c’è uno specchietto per poter fare el lagheto o mezzo chilo di farina per tratteggiare le stradine, e nemmeno che manca un disco magari sbecà se non proprio col salto con le musiche consone alla bisogna. Basta anche la musica del computer, che de sta roba l’è strapien! Con quello che si spende per andare “in Arena” – e diciamolo per par condicio, anche se la “causa” era diversa: una volta si andava a vederlo dai frati del Barana – si può comperare una serie di statuine di tutto rispetto e il necessario per la scenografia, filo elettrico compreso per dar luce all’interno della capanna, delle casupole e del castello di re Erode, così come si fa per rendere più attraente l’albero di Natale.
Non occorre essere ingegneri per riuscire nell’impresa; una settantina d’anni fa, quando affrontai la “Olivetti”, la prof. di dattilografia mi fece riempire due fogli con le parole: “Potere è volere”. È sempre un buon farmaco, questa frase. Buon per noi che rimangono le chiese ad allestire il presepio e qualche circolo che vi ruota attorno per promuovere la sana competizione della mostra con relativa premiazione. E restano lodevoli le famiglie dove ancora resiste il fascino che i papà e le mamme riescono a trasmettere ai loro figlioli, non perdendo ma condividendo con loro qualche ora che rimarrà nella memoria e tornerà a galla a distanza di undici mesi.
Pare che di quei tempi rimanga – forse – la poesia imparata alla scuola materna che un bimbetto recita sperando nell’applauso o nella mancia, magari senza rendersi conto che quelle sì sono parole avvedute – poiché esprimono inevitabilmente un desiderio di amore e di pace – ma che cominciano a perdere il loro effetto col tintinnare del primo brindisi beneaugurante. Tuttavia, nonostante si continui a sperare che non tutto vada disperso, è meglio essere più realisti del re e non montarsi la testa, anche se i preti insistono nel karma che bisogna sempre essere e pensare positivo. Anche questo è un buon farmaco. «Se sente che l’è uno de ’na ’olta quel che scrive», dirà il lettore “d’oggi”. Infatti. E ci aggiungo pure che era un piacere sedersi a tavola imbandita col parécio dele feste, e chiacchierare di cose semplici, quotidiane, mentre sul piatto fumavano tortellini o tagliatelle e dalla ramina usciva il profumo del lesso (pito, galìna, lèngoa e bo) che si mescolava ai ultimi sbufi tirè dala pearà che, dalla terrina di terracotta, arrivavano a invadere la temporanea e discreta Presenza dimenticata (ma solo in quei momenti) in un angolo di casa. 

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