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La battaglia del Samaritano per salvaguardare gli ultimi

Coronavirus e grave marginalità: circa 250 ospiti “speciali” nelle strutture della Caritas diocesana

Parole chiave: Caritas Verona (5), Samaritano (2), Ultimi (2), Povertà (38), Covid-19 (89), Volontariato (88)
La battaglia del Samaritano per salvaguardare gli ultimi

In un periodo che ha messo a dura prova tutte le famiglie di qualsiasi stato sociale, è finito nel dimenticatoio tutto il mondo della grave marginalità: sottobosco della società che però ha dovuto far fronte alla battaglia contro il virus come qualsiasi altro cittadino. Le strutture che solitamente accolgono persone senza fissa dimora hanno dovuto far fronte a questa emergenza e, in alcuni casi, cambiare il modo di operare. Ne abbiamo parlato con Marco Zampese, direttore della Casa di accoglienza di Caritas diocesana veronese, Il Samaritano.

«Nelle varie strutture da noi gestite, sia comunitarie che appartamenti, oggi accogliamo circa 250 ospiti, divisi tra senza dimora, detenuti che stanno terminando il periodo di pena e richiedenti asilo. A partire dal 10 marzo le strutture comunitarie sono dovute diventare strutture residenziali, senza concedere permessi di uscita, se non per lavoratori con contratti regolari. Insomma siamo stati costretti a blindare le strutture e creare ambienti comunitari in grado di sopperire a ogni tipo di esigenza degli ospiti».

– Avete ottenuto i risultati sperati?

«Certo. Queste chiusure delle strutture hanno fatto in modo di tutelare il personale interno e anche di monitorare eventuali contagi. Per aiutarci sono poi arrivati i container della Protezione civile nel cortile del Samaritano. Container che sono serviti come sfogo per le presenze nel centro diurno, soprattutto in caso di maltempo, ma anche come locali per eventuali isolamenti dovuti al virus».

– Avete predisposto altre zone di isolamento?

«Le abbiamo stabilite fin da subito e in collaborazione con l’Asl è stato effettuato ogni tipo di segnalazione sospetta per eventuali positivi, cercando di gestire al meglio qualsiasi emergenza sanitaria. Logico che questo periodo ci ha chiamato a una competenza sanitaria che tendenzialmente non è nostra, in quanto il nostro lavoro è legato più all’aspetto educativo, e quindi stiamo vivendo giorni di grande fatica».

– Avete sostegno in questo senso dal sistema sanitario pubblico?

«Io continuo a ripetere in questi giorni che anche in un periodo di emergenza gli ultimi sono ancora più ultimi, perché fin dall’inizio della pandemia io ho continuamente spinto affinché l’Asl monitorasse in maniera particolare le nostre strutture comunitarie, chiedendo maggiori attenzioni, anche concrete, come i tamponi per tutti gli ospiti e gli operatori. In realtà le risposte delle autorità sanitarie sono state sempre molto lente e a volte completamente inefficaci. Insomma, mi dispiace ammetterlo, ma ci siamo trovati un po’ soli a dover gestire questa emergenza sanitaria».

– La situazione non è migliorata nemmeno allo sfociare dei primi casi positivi?

«In questi giorni in cui abbiamo le prime situazioni di casi positivi, stiamo provando una gestione degli stessi sempre in collaborazione con l’Asl, ma non è semplice. L’attenzione agli ultimi anche oggi è molto deficitaria».

– Dal punto di vista del privato però ci può raccontare qualche bella notizia di carità?

«Senza dubbio e non solo dal privato. Ad esempio siamo riusciti a creare una bella collaborazione con la Biblioteca Civica di Verona: abbiamo la possibilità di richiedere e ritirare libri e audiovisivi dalle biblioteche Golosine e Civica per conto dei nostri ospiti. Si tratta di una proposta culturale nata per arginare la noia e la situazione di chiusura generale nel periodo di Coronavirus e che ha trovato fin da subito l’entusiasmo da parte di tutti gli attori in campo: i referenti della Biblioteca, gli operatori del Samaritano e gli ospiti. Poi mi sento di ringraziare i privati e la Protezione civile che ci hanno donato mascherine e i tanti volontari che ancora sono presenti nelle nostre struttureper stare vicino a chi non ha parenti, ma nemmeno una casa».

– In questo periodo come avete fatto a mantenere vivo uno dei vostri punti di forza, cioè quello dell’animazione delle comunità parrocchiali?

«Le accoglienze negli appartamenti sul territorio non sono chiuse e molti volontari hanno continuato nel loro operato. Qualche riunione in meno, qualche telefonata in più, ma l’attività nelle parrocchie non è cessata. Inoltre alcuni parroci o professori di religione hanno iniziato a contattare gli operatori del Samaritano per brevi testimonianze on line sul loro servizio per Caritas. È iniziata così una sorta di didattica a distanza con gli adolescenti o gli alunni delle scuole superiori su temi legati alla grave marginalità in tempi di Coronavirus».

– Qual è il tema più discusso dagli adolescenti?

«Sicuramente quello della casa: dire di stare in casa a una persona che una casa non ce l’ha, di certo non è facile! Ovviamente, trattandosi perlopiù di classi quarte e quinte, si tocca anche il tema della politica e del volontariato».

– Cosa si poteva imparare da questo periodo?

«Il virus ci ha insegnato che, se impariamo a tutelare le persone più in difficoltà, allora potremmo dire di aver imparato a tutelare l’intera società. Per questo aggiungo che è necessario pensare di trovare modalità per prendersi cura anche delle persone che vivono nella grave marginalità, che ad oggi sono le più fragili. Per salvarsi dal virus, è fondamentale farlo tutti insieme: nessuno escluso».

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