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Kiev 2022: torna la follia della guerra

di ADRIANA VALLISARI
Nello Scavo, inviato di Avvenire, era presente e racconta l’inizio dell’invasione russa in un libro

 

Kiev 2022: torna la follia della guerra

di ADRIANA VALLISARI
Kiev si prepara a morire nel silenzio o a perire combattendo? Era la domanda che si poneva il 26 febbraio 2022, due giorni dopo l’inizio della guerra, Nello Scavo, inviato speciale di Avvenire. Trent’anni di mestiere alle spalle, dai Balcani fino all’Ucraina, passando per ogni continente, l’hanno reso uno dei corrispondenti di guerra più esperti.
Scavo è a Kiev a metà febbraio, quando iniziano a soffiare brutti venti, ma in pochi credono possibile un’invasione militare da parte di Vladimir Putin. È a Kiev quando tutto tracolla in poche ore: è uno dei pochissimi giornalisti internazionali che si ferma, finché le condizioni di sicurezza sono talmente precarie che pure lui deve unirsi all’esodo disperato di una città così simile alle nostre. Quella domanda iniziale trasuda tutta l’incertezza di quei giorni; mentre fioccano i missili, in pochi scommettono su Davide contro Golia. E invece Kiev è assediata ma non vinta, grazie a una resistenza sgarrupata ma tenace; ben presto “l’operazione speciale militare” russa, da guerra lampo diventa «una lenta agonia che strazia i civili e disorienta anche le forze di Mosca».
Lo annota già il 10 marzo Scavo, nel diario di quei giorni, che è diventato un libro per Garzanti, intitolato proprio Kiev. Un testo ancora attuale, che il giornalista ha presentato di recente a San Bonifacio, invitato dalla libreria Bonturi e dal Comune. «Grazie per quello che ha scritto e per aver testimoniato le ferite del nostro popolo: alla fine vinceremo», gli dice in un perfetto italiano una giovane ragazza, occhi fieri e lucidi. «Io sono di Kiev e ho i miei parenti ancora là», spiega. È passato quasi un anno e a un’ora di fuso orario da qui si continua a combattere: falliti i negoziati, parlano solo le armi. La guerra nel cuore dell’Europa – ma tensioni evidenti c’erano già dal 2014 in Donbass – rischia di diventare un’altra Sarajevo. È il timore di Scavo e di altri giornalisti che hanno vissuto la guerra nei Balcani. «Come molti, pensavo che la guerra sarebbe durata poco: il 24 febbraio 2022 Kiev era sotto assedio – ricostruisce –. C’era una colonna di 60 chilometri di carri armati russi in movimento, armi mai viste prima, come i missili supersonici, la città in fuga: fossimo stati a Milano, saremmo diventati tutti filorussi cinque minuti dopo. A Kiev invece no, è uscito il carattere di un popolo deciso a non sottomettersi; dopo il disorientamento iniziale, c’è stata una sorta di incastro tra le reazioni dei civili e le forze militari». Dopo tre evacuazioni mancate e il riparo temporaneo a casa dell’ambasciatore italiano, Scavo riesce a percorrere in 29 ore i 300 chilometri che separano Kiev dal confine con la Moldavia, mettendosi in salvo.
«Non si possono raccontare i conflitti solo con le analisi militari, occorre testimoniare le ricadute sulle vite delle persone – sottolinea il giornalista –. Noi abbiamo rimosso la guerra dal nostro orizzonte, ma bisogna sempre tenere a mente che l’onda d’urto di una guerra non si esaurisce mai nel giorno del cessate il fuoco, l’odio e il rancore rimangono a lungo. Quando è finita la Seconda Guerra mondiale si era detto che non bisognava dimenticare, no? E invece abbiamo visto i campi di prigionia e gli stupri di massa in ex Jugoslavia, come ora stiamo vedendo i crimini di guerra in Ucraina». Facile pontificare dal divano di casa, dice Scavo. «Mai come in questa guerra c’è stata la disponibilità di accedere ai social network e di pensare di sapere tutto – dice –. Mentre assistevamo alle esumazioni nelle fosse comuni e le documentavamo (senza pubblicare le foto perché non siamo pornografi della guerra, ma giornalisti) c’era chi sui social metteva in discussione che quelli fossero veri cadaveri... Ogni giorno ci sono seimila lanci di agenzia sulla guerra in Ucraina, una sorta di bulimia informativa, ma la presenza dei giornalisti sul campo è fondamentale, perché ci aiuta a capire di più e può scongiurare dei pericoli: i peggiori crimini di guerra, da Bucha a Irpin, sono avvenuti dove non c’erano giornalisti in zona».
Informare, senza cadere nella propaganda. Mostrare come si fa a restare umani sotto le bombe, riportare quel che si vede con i propri occhi: dai saluti inconsolabili dei bimbi ai loro papà chiamati a combattere, ai contadini che arano i campi col giubbotto antiproiettile, a causa delle mine e delle bombe a grappolo inesplose, perché la guerra colpisce anche quando nessuno spara. «Non sappiamo abbastanza per dire se questo conflitto poteva essere evitato, ma intanto la guerra è questa melma qui e bisogna raccontarla», spiega Scavo. Andando oltre le comode interpretazioni fatte al caldo delle nostre case o ai dibattiti da talk show sulle sanzioni sì o no, se la Nato abbia o meno provocato e così via, alcuni bevendosi senza batter ciglio le fole della denazificazione. «Intanto in Ucraina c’è freddo, si sta senza gas ed energia: una situazione terribile, gli ucraini sono stanchi ma continuano a combattere», ci aggiorna Schiavo, a cui abbiamo rivolto la domanda delle domande: come finirà? «Bisogna aspettare dopo la primavera e capire se la Cina intanto darà qualche segnale – chiosa –. Il rischio è che questo diventi un conflitto lungo e a bassa intensità, concentrato in alcune aree… Ma speriamo di no: sarebbe terribile». 

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