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Distrazione-killer: prima causa di incidenti a Verona

Diminuiscono i sinistri, ma aumentano morti e feriti sulle strade. A detta delle forze dell'ordine il pericolo numero uno è la disattenzione...

Guidatore distratto dal telefonino

Che sia per dare uno sguardo al telefonino o sistemare l’autoradio, pochi secondi possono far sterzare il corso della propria vita e di quella degli altri. La distrazione è la prima causa di incidenti a Verona e interessa tutti quanti: automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni. 

Una piaga che viene denunciata dalle forze dell'ordine e dalle associazioni che si occupano di sensibilizzare sul tema. Il giudizio è unanime: oltre a controlli e sanzioni (che qualcuno vorrebbe più pesanti), occorre agire sulla prevenzione, cambiando le cattive abitudini di tutti gli utenti della strada. A cominciare dal tenere lontano il telefonino: se si guida, si guida e basta. 

La disattenzione all’origine dei morti (in crescita) sulle strade

Mezzi più sicuri, guidatori più distratti. La prima violazione che commette chi circola per le strade è perdere la concentrazione. Di per sé non è un reato, ma è la madre di tutte le possibili conseguenze negative che possono accadere.
Prestare attenzione è la regola aurea da seguire e le forze dell’ordine non smettono di ricordarlo. Tanto più in un momento storico in cui la svista è a portata di mano e l’imputato numero uno è il cellulare, oggetto entrato nella quotidianità e da cui è difficile staccarsi, specie per chi è nativo digitale.
Michele Nespoli è il responsabile del Nucleo infortunistica stradale della Municipale e questo fenomeno lo conosce bene.
– Come sono i veronesi alla guida, più o meno prudenti rispetto al passato?
«C’è da dire che i veicoli di oggi sono maggiormente sicuri e intelligenti rispetto a un tempo. Oltre ai classici airbag, esistono una serie di ausili per la sicurezza e la prevenzione attiva che aiutano anche a evitare eventuali impatti, come gli assistenti di guida, la frenata di emergenza automatica, il mantenimento dell’allineamento in corsia. I veronesi, come tutti coloro che si trovano a guidare ai giorni nostri, sono però distratti dalla tecnologia installata a bordo: le radio multifunzioni, i display collegati allo smartphone, il quadro degli strumenti molto avanzato (addirittura qualcuno con le informazioni proiettate sul parabrezza). Non è solo il cellulare da demonizzare, quindi un oggetto, bensì il fatto che il conducente possa distrarsi da quanto presente nell’abitacolo».
– Capita spesso?
«È all’ordine del giorno. Di recente abbiamo rintracciato un automobilista che aveva tamponato una ciclista senza fermarsi. Non se n’era nemmeno accorto: pensava di aver urtato un marciapiede e si è scusato dicendo che stava armeggiando col climatizzatore. Oppure succede che si perda il controllo per cambiare la musica, infilando la penna usb nel cassetto laterale o nel bracciolo, abbassando lo sguardo per qualche secondo, fatale».
– Se si guida, si guida e basta.
«È un’attività esclusiva. Distogliere lo sguardo dalla strada anche per pochi istanti è criminale, perché l’imprevisto è dietro l’angolo. In un contesto urbano, per esempio, si rischia di non vedere un pedone che attraversa a 40 metri di distanza, magari semi-nascosto da una fila di auto parcheggiate. In due o tre secondi, viaggiando a una velocità nei limiti, ce lo si ritrova davanti all’improvviso. È importante capire qual è lo scenario possibile ed agire di conseguenza, dando un ordine gerarchico alle proprie azioni».
– Col telefonino come si fa?
«Noi consigliamo di appoggiarlo nei sedili posteriori o in un luogo poco accessibile. Scendo e me lo dimentico? Me ne accorgerò subito. Lasciare dietro la borsa o le chiavi di casa aiuta pure con i minori a bordo: è un metodo efficace, non c’è bisogno di installare un’app collegata al seggiolino per ricordarsi che dietro c’è il proprio figlio».
– Nel primo semestre di quest’anno voi vigili avete accertato oltre 700 violazioni legate a incidenti. Reprimere i comportamenti scorretti, come l’eccessiva velocità, serve a educare i guidatori?
«Da sola la multa non cambia il comportamento. Quanti si vantano per aver trasgredito le norme, non capendo che invece è pericoloso? Per alcuni comportamenti risultano più incisive le sanzioni che hanno effetti diretti sulla patente. Ma repressione e prevenzione devono andare a braccetto, sono indispensabili entrambe. Di sicurezza stradale parliamo molto nelle scuole; occorrerebbe continuare a farlo anche dai 18 anni in su, intercettando le persone con campagne  sociali ad ampio raggio o coinvolgendo le aziende in azioni di sensibilizzazione verso i lavoratori».
– Agire sul livello di civiltà del Paese?
«Esatto. Serve tempo, ma i risultati si raccolgono. Prendiamo il caso dell’alcol: non mettersi alla guida se si è bevuto è un messaggio che è passato in questi anni. Lo vediamo anche dai dati delle nostre rilevazioni, in calo su quel fronte. Cresce invece la quota di chi si mette in marcia dopo aver assunto droghe oppure risulta positivo ai farmaci nel sangue, come tranquillanti o antiepilettici, che possono avere effetti sulla guida e per i quali è sempre bene discutere insieme al medico all’inizio della cura e per trattamenti prolungati».
– Spesso ad avere la peggio in un impatto sono moto, bici e pedoni. Qualche volta si mettono in pericolo da soli, non seguendo le regole.
«È la categoria degli utenti vulnerabili, in effetti. Il Codice della strada prevede obblighi e doveri per ciascuna categoria di utenti, non solo per i conducenti. Tutto ciò che abbassa l’attenzione crea pericolo: le cuffie nelle orecchie, il telefonino in mano. La strada va gestita: sentendo i rumori, osservando con attenzione, essendo presenti a se stessi. Se si è a piedi non ci si può fermare e occupare tutto il marciapiede, costringendo un anziano a scendere: è una violazione. Se si è in bicicletta bisogna segnalare con il braccio quando si intende svoltare, senza zigzagare all’improvviso; fondamentale è tener presente che dalle macchine parcheggiate potrebbe aprirsi una portiera. Ci sono tante piccole accortezze: la strada, per quanto familiare, è un contesto che nasconde molti pericoli e tutti sono chiamati a mettersi al riparo dai rischi, conoscendo bene i propri diritti e obblighi».
Adriana Vallisari

Pene più severe e prevenzione per fermare la strage
Il punto sull’omicidio stradale: conquista a metà
L’Italia si colloca al terzo posto in Europa per numero di vittime della strada. Secondo l’Istat nel 2017 si sono verificati 174.933 incidenti stradali con 3.378 morti (+95 rispetto al 2016). Eccesso di velocità, mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe, uso del cellulare le principali cause.
Nel marzo 2016 è entrata in vigore la legge 41/2016 che ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico due reati: quello di omicidio stradale (articolo 589-bis del Codice penale) e quello di lesioni personali stradali (articolo 590-bis del Codice penale). La norma stabilisce che chiunque, per colpa, procuri la morte di un individuo attraverso una violazione del Codice della strada è punito con una reclusione che va dai 2 ai 7 anni, aumentabile fino a 12 se il conducente si trova in stato di ebbrezza alcolica grave o di alterazione psicofisica dovuta a utilizzo di droghe o sostanze psicotiche. Pena raddoppiata in caso di guida senza patente (sospesa o revocata). In caso di omicidio plurimo o di lesioni che coinvolgono più persone, può arrivare fino a 18 anni.
Eppure, nonostante il provvedimento, la patente a punti, i rilevatori di velocità da remoto, l’obiettivo europeo del dimezzamento delle vittime della strada entro il 2020 rimane lontano perché, spiega Giordano Biserni, presidente dell’Asaps (Associazione amici e sostenitori della Polizia stradale), «dall’entrata in vigore della legge non è cambiato molto: nel primo semestre 2019 i dati sono anzi in aumento contro il -2% del 2018 e il -1,6% dell’anno precedente».
Il provvedimento, spiega Biserni, è nato per rendere giustizia alle vittime della strada e alle loro famiglie. «Mentre nel 2016/2017 le pene erano medio-alte, dal 2018 hanno iniziato a ridursi perché gli avvocati hanno affinato le strategie difensive, ottenendo nei casi meno gravi le attenuanti generiche, cui segue la richiesta del patteggiamento – precisa –. Viene così rispolverato il punto debole della legge: la chiamata in causa della responsabilità non esclusiva del conducente, in base alla quale la pena può essere ridotta fino al 50%, responsabilità non esclusiva che può essere ravvisabile anche in una carenza della pittura stradale o della segnaletica».
Anche contro la guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe si combatte ad armi spuntate. «Nel contrasto all’uso degli stupefacenti siamo all’anno zero – avverte il presidente –. Oltre alla polizia, sono necessari sanitari sul posto che certifichino lo stato alterato. Un sistema che richiede molte energie e dà pochi risultati, anche perché in questi ultimi dieci anni sulle strade statali e provinciali, dove si verifica la maggior parte degli incidenti, le pattuglie sono diminuite di 79mila unità. C’è stato un allentamento della presa». E gli etilometri? «Sono pochi e spesso rimangono fermi mesi per la revisione». A questo si aggiunge «la mancanza di campagne antialcol, antidroga e contro le stragi del sabato sera come si faceva nel primo decennio del 2000».
Particolare emozione ha suscitato la morte di un tredicenne in uno schianto, nella tarda serata di venerdì 12 luglio, sull’autostrada A29 mentre il padre alla guida aveva appena pubblicato un video su Facebook… «Purtroppo nel 2019 abbiamo aggiunto alla sbornia da alcol il delirio da smartphone – denuncia –: siamo in una fase di overdose da social network, far vedere i nostri selfie o i nostri video mentre siamo alla guida è un delirio con conseguenze drammatiche».
A questo riguardo, il disegno di legge per il nuovo Codice della strada, approvato in prima lettura in Commissione Trasporti alla Camera e che ora dovrà passare in aula a Montecitorio e in Senato, dove potrebbe subire ulteriori modifiche per poi diventare operativo entro la fine del 2019, prevede la sospensione della patente da sette giorni a due mesi per chi usa il cellulare alla guida. «Se si cominciasse una sana cura con sospensioni almeno di un mese alla volta, già sarebbe un buon risultato – chiosa Biserni –. Forse qualcuno continuerebbe a guidare anche senza patente andando incontro alle sanzioni previste, ma il punto non è questo. Il problema è che l’utilizzo del cellulare alla guida non è di facile contestazione. Per certificare la violazione vengono chieste prove da Ris di Parma mentre i giudici di pace accolgono i ricorsi con estrema facilità; è una battaglia tutt’altro che semplice».
Per l’esperto occorre prevenire con un’ampia campagna informativo-educativa. «Bisogna spiegare a ragazzi, giovani e adulti che in quei 7-8 secondi nei quali guardi lo smartphone mentre vai a 100 km/h in autostrada percorri bendato 200 metri al buio e rischi la vita. In un centro urbano a 50 km/h in 6-7 secondi percorri quasi 100 metri, il che può significare la morte di un pedone».
Informazione e controlli a tappeto, dunque: «Se non vengono ripristinati i controlli su strada con le pattuglie, possiamo prevedere anche l’ergastolo per chi supera la linea continua, ma non otterremo nulla», conclude provocatoriamente il presidente dell’Asaps.
Giovanna Pasqualin Traversa

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