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«Io, prete davanti al Covid: la mia terapia intensiva insieme a tante anime»

di LINO CATTABIANCHI

Leggere negli occhi, il libricino che racconta l’esperienza del parroco di San Michele Extra don Piergiorgio Soardo

Parole chiave: Piergiorgio Soardo (1), Terapia intensiva (1), Unzione degli infermi (1), Covid-19 (89), Natale (46), Ospedale (17)
Don Piergiorgio Soardo

di LINO CATTABIANCHI

Venti giorni senza dormire. E poi gli sguardi che ti accompagnano lungo giornate senza tempo. Sguardi che rivelano stanchezza, apprensione, gioia o che portano in reparto il segno della vita di fuori: un filo di trucco, sepolto sotto gli strati della divisa di ordinanza. Tutti e tutte in prima linea contro il comune nemico invisibile, il Covid-19, il maledetto Coronavirus che lascia dietro di sé morti invisibili e raggelanti conclusioni di vite straordinarie. 
Don Piergiorgio Soardo, ora parroco di San Michele Extra, dopo essere stato a lungo quello di Cristo Risorto a Bussolengo e nella centralissima parrocchia cittadina di Santo Stefano, può raccontarla. E, a modo suo, questa narrazione del Covid-19 visto dal di dentro, diventa una straordinaria testimonianza, Leggere negli occhi, raccolta in un libretto diffuso nella sua parrocchia e nell’unità pastorale di Bussolengo.
Una storia che nasce dall’interno dei reparti di terapia intensiva e sub-intensiva degli ospedali cittadini di Borgo Roma e Borgo Trento, e diventa un percorso di fede, di condivisione totale. Prete, uomo tra gli uomini, prete nel midollo, che non si tira indietro davanti ai suoi doveri, anche in reparto.
«C’è una suora che sta morendo – gli dice il medico di turno – e ha chiesto l’unzione degli infermi. Qui i cappellani non possono entrare. Te la senti? Si può fare?». Certo che si può fare: «Trova un po’ di olio, al resto penso io», la risposta di don Piergiorgio.
Ecco il racconto, un’epica quotidiana: «Partiamo! Carrozzella, mascherina, l’olio e il cellulare, con il quale avevo trovato le preghiere previste. Arriviamo. Non riesco a capire la sua consapevolezza. Ma tant’è, l’ha chiesto lei, era il suo desiderio, ci penserà Nostro Signore. Io mi comporto come se mi comprendesse. Un rito sobrio essenziale, con l’invocazione allo Spirito e parole rivolte a lei. Alla fine la affidiamo a Dio. Mi rendo conto di cosa vuol dire toccare il corpo ferito. Pur toccando solo la fronte, arrivi all’intimità, al cuore della persona, lì dove arriva solo il Signore». 
Missione compiuta: l’ignota consorella, che avrà sicuramente consumato la sua vita nell’atto di rendere grazie a Dio, ha avuto la sua ultima consolazione. E a dargliela, senza il libro delle preghiere, con l’olio trovato all’ospedale, è un prete che ha vissuto la sua malattia, ha perso 9 chili in poco più di un mese, deve riabituarsi a tutte le funzioni più elementari della vita quotidiana.
E pensare che, a memoria, tutto potrebbe essere partito da un’altra estrema unzione impartita a un’anziana parrocchiana: “Tutto è cominciato per amore”, racconta il capitoletto iniziale della storia. Poi inarrestabile, dopo i primi sintomi, la progressione del male: la corsa in ospedale, il primo ricovero a Borgo Roma, la diagnosi, la terapia, l’ossigeno che sarà indispensabile per fare reagire un corpo messo a dura prova dalla polmonite bilaterale da Coronavirus.
E i giorni che non passano mai, le ore. La notte del ricovero è tra il 12 e il 13 dicembre quando a Verona arriva Santa Lucia, la notte magica dei regali. “Se questo è un suo regalo, poteva anche starsene alla larga, ho detto ad un’amica. Ma poi ho pensato che forse il suo regalo è stato uno sguardo di comprensione, un sostegno per proseguire”, il pensiero di don Piergiorgio. Che da quel momento si affida agli angeli dei reparti: medici, infermieri, operatori sanitari.
Un essere nudo tra gli uomini, nel sentirsi però in mani amiche. Tanti compagni di viaggio: c’è anche suor Chiara, monaca delle Clarisse di San Fidenzio. Anche lei, solo un nome che nasconde una storia: se la caverà. Suor Chiara ce l’ha fatta.
Dentro questo percorso, la riscoperta della dignità del corpo, il rispetto con cui viene accudito, pulito, lavato. “Vedere con che attenzione e rispetto ti seguono, ti fa capire che anche in loro il corpo fa parte della dignità della persona. Bravi!”, sottolinea don Soardo all’indirizzo degli operatori sanitari cui toccano le incombenze più estreme del contatto fisico coi malati.
Un ospedale che diventa sempre più comunità, che tocca, fra stanchezze e successi, straordinari vertici di spiritualità. La sera di Natale del 2020 arriva anche in terapia intensiva. “Anche la preghiera è difficile. Solo un Padre Nostro, un’Ave Maria e una terza, questa: ‘Signore Gesù mi affido a te e ti affido questi giovani medici e infermieri’”.
Alla fine del turno una decina di operatori si avvicina al letto di don Piergiorgio: “«Ragazzi, oggi la mia parrocchia siete voi. Vi ringrazio di tutto. Poi oggi è Natale, un bambino sconosciuto che nasce in un angolo sconosciuto del mondo; eppure è il più importante dono di Dio per tutti. Anche oggi voi avete fatto cose umili, impegnative, anche difficili che nessuno verrà a conoscere, eppure importanti e preziose. Un giorno quel bambino dirà: l’avete fatto a me. Che Dio vi benedica».  Alcuni di loro visibilmente commossi, io più di loro”.
Ite, missa est.

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