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«Don Milani, il mio maestro di vita»

di ROBERTA BRUNELLI
Un allievo del priore di Barbiana ricorda insegnamenti, aneddoti e principi ancor oggi validi 

«Don Milani, il mio maestro di vita»

di ROBERTA BRUNELLI
Cosa penerebbe don Lorenzo Milani della scuola, della società, del cammino intrapreso dalla Chiesa? Penserebbe che probabilmente che c’è ancora molto da fare, in particolare nella formazione delle giovani generazioni. Che tanti degli insegnamenti che ci ha affidato, nelle parole e attraverso i suoi scritti (primo tra tutti, l’intramontabile Lettera a una professoressa), restano attuali. Eppure sono passati cento anni dalla nascita del prete-maestro entrato, con il suo pensiero e il suo agire fuori dagli schemi precostituiti, a far parte della nostra storia. Anche della storia di Paolo Landi, che del “priore di Barbiana” è stato allievo. Ha voluto testimoniarlo, sollecitato dal dirigente dell’Istituto comprensivo di Bosco Chiesanuova, come ospite degli incontri editoriali “Parole alte”, tra gli appuntamenti della rassegna Film Festival della Lessinia.
Nato a Vicchio di Mugello (in provincia di Firenze) nel 1948, Landi è figlio di contadini. Arriva a Barbiana in sella alla Lambretta, accompagnato dal padre. Quando ancora il paese era una chiesa, il campanile, un manipolo di case aggrappate alla collina e pochissimi abitanti. Dove la scuola era gratis per chi non aveva chissà quali opportunità, ma non c’era nemmeno la strada per arrivarci. Ma è là, per certi versi, che Landi trova la sua di strada dopo tre anni di intenso studio, imparando le lingue straniere. Poi viaggia tra Inghilterra e Francia; ricopre cariche di rilievo nel sindacato Cisl; fonda l’associazione di consumatori Adiconsum e la Fondazione per il consumo sostenibile; collabora col Comitato etico Coop Nordest.
L’immagine che l’ex alunno Landi ha ancora negli occhi lo riporta al 1963, al primo incontro con don Lorenzo sotto la pergola, a fare lezione per dodici ore al giorno, per 365 giorni l’anno. Poche righe di testo da consultare, ma spiegazioni che aprono la mente al mondo. Soprattutto a lui, adolescente respinto all’esame di Stato al termine del triennio di avviamento professionale, eppure con tanta voglia di applicarsi. Ed è sotto quella pergola che Landi cancella la delusione per la bocciatura. Impresso nella mente ha la raccomandazione, ricevuta al momento della sua partenza dal paese: «Per un anno tieni la bocca chiusa. Ascolta, impara, fai domande ma non parlare. Dopo un anno, se non condividi quello che senti, devi avere il coraggio di prendere la parola e dire quello che pensi. Non devi restare seduto. Con questi consigli, semplici ma di una durezza incredibile, iniziai a lavorare a Milano», racconta. Era alla fine di un percorso, all’avvio di un altro cammino che ha condensato nelle pagine del libro La Repubblica di Barbiana (Libreria Editrice Fiorentina). Esperienze vissute, insegnamenti messi in pratica, esempi credibili recuperati da un passato che ha ancora molto da insegnare a tutti noi. A diversi livelli.
– Scuola, società, Chiesa: quanto è attuale il messaggio di don Milani?
«La scuola dell’obbligo deve avere come obiettivo insegnare ai ragazzi a ragionare con la propria testa. Non deve essere selettiva, ma deve integrare ed essere inclusiva, come prevede la Costituzione. Per realizzare l’obiettivo dell’inclusività, don Milani denuncia a suo tempo la selezione legata al fatto di nascere in una famiglia ricca o in una povera. Applicare misure eguali tra ragazzi diseguali era, per lui, una profonda ingiustizia».
– Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Barbiana a maggio per il centenario della nascita del prete-maestro, ha sottolineato questo aspetto.
«In una frase molto bella, il presidente Mattarella riprende il concetto della scuola inclusiva. Afferma che “il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto, e anche per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito”. È chiaro che ora il rischio riguarda in particolari i ragazzi provenienti da certe realtà, che ad esempio durante la pandemia non avevano gli strumenti tecnologici con i quali seguire la didattica a distanza, e poi gli immigrati che non parlano italiano. Sono cambiati i tempi, ma il problema dell’integrazione resta».
– Le cose sono profondamente mutate, come del resto è avvenuto nella Chiesa che ha rivalutato la figura del priore di Barbiana. Cosa insegna il suo esempio ai sacerdoti di oggi?
«C’è stato il Concilio. Papa Francesco che ha ripreso a valorizzare le chiese di frontiera. Un insegnamento molto bello lo troviamo nella lettera che don Milani invia al suo Vescovo, contestandogli il licenziamento del rettore del seminario. Spiega che un figlio cresciuto ha il diritto e il dovere di dire al padre che sbaglia. Se non lo fa un figlio che è un prete verso un padre che è un vescovo, allora sbaglia due volte. Significa che non bisogna avere paura di affermare le proprie opinioni. Allo stesso tempo, evidenzia come la virtù sia la responsabilità che porta ad ubbidire, a contestare, a valutare gli aspetti positivi e negativi di ogni situazione».
– Lo stesso Papa ha ripreso alcuni concetti di don Milani, parlando agli educatori e agli stessi sacerdoti, sottolineando il valore e la forza della parola.
«La parola rende i cittadini sovrani, sosteneva don Milani. E rende i cristiani consapevoli, ha aggiunto papa Francesco. Alla Chiesa servono cristiani consapevoli. Alla società in generale servono persone che si sappiano rimboccare le maniche per cambiare le situazioni, e non siano passive. Importante è non seguire la demagogia, che crea facili consensi, ma non risolve mai i problemi. Invece viviamo in un mondo in cui la demagogia e la propaganda finiscono con il sostituire l’informazione. Per don Milani quindi, la società, la Chiesa e la scuola possono essere cambiati solo con l’impegno personale. Con il rimboccarsi le maniche per avere cambiamenti che siano davvero duraturi».
– In questo senso, don Milani è tuttora una figura da riscoprire, da continuare ad ascoltare?
«La società è cambiata, così le disuguaglianze e forse adesso ce ne sono ancora di più rispetto al passato. C’è moltissimo da fare, soprattutto nel mondo della scuola. In tal senso bisogna riscoprire don Lorenzo Milani che non ci ha lasciato delle ricette, ma degli insegnamenti perché fossimo noi ad attualizzarli. Prima di morire, ha ribadito una cosa molto forte agli insegnanti, riferendosi alla sua eredità: “Fate scuola, fate scuola, ma non come me, fatela come vi richiederanno le circostanze, voi dovrete agire come vi suggerirà l’ambiente e l’epoca in cui vivrete. Essere fedeli a un morto è la peggiore delle infedeltà”».

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