Chiesa
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«Io, “cesarotto” vuoto che ha trovato Cristo strada facendo»

di LUCA PASSARINI
Il lungo percorso vocazionale di don Damiano Zanconato

«Io, “cesarotto” vuoto che ha trovato Cristo strada facendo»

di LUCA PASSARINI
Don Damiano Zanconato è nato (quasi) 35 anni fa a Castello di San Giovanni Ilarione, una frazione di un migliaio di persone ricca di storia e di vocazioni. «Ripensandoci ora – ci racconta – per anni sono stato il “parrocchioso” per eccellenza, perché sono cresciuto a caffelatte e Rosari, tutto casa e chiesa; anzi molto più la seconda, dato che ero sempre in parrocchia, tra celebrazioni e catechismo». Il piccolo Damiano detiene una sorta di record, visto che già a 5 anni serviva all’altare come chierichetto, per poi entrare anche nel coretto, diventare organista della corale, catechista, membro del comitato sagra e di quello degli addobbi. «Un folto curriculum e una veloce carriera – ci scherza a distanza di anni – ma riconosco che, alla base, più che una scelta di fede c’era la necessità di carpire stima dagli altri: ero una sorta di aspirapolvere di consensi. Fino a 20 anni facevo di tutto in parrocchia, ma in fondo ero potentemente ateo». Non sono comunque mancati durante l’adolescenza alcuni momenti importanti e in particolare due ricordi che sarebbero rispuntati con forza qualche anno dopo e che ci racconta: «Il primo legato ad un giorno specifico quando, in seconda media, con alcuni coetanei della parrocchia siamo andati in visita al Seminario minore di Vicenza, dove ho visto ragazzi che testimoniavano felicità, bellezza, fede, anche se personalmente non ci sarei mai entrato; il secondo, più continuativo, legato al sabato pomeriggio che spesso passavo in parrocchia a preparare la chiesa o i canti e provavo grande fascino per il parroco che vedevo sereno e sempre contento».

L’età delle scuole superiori ha segnato per Zanconato anche l’inizio dell’inserimento nella realtà veronese, a partire dalla scuola frequentata in città e, con essa, gli inevitabili nuovi legami. «Di quegli anni – sottolinea – ricordo l’entusiasmo e la varietà di cose che vivevo, la tenacia che mettevo a raggiungere gli obiettivi, la capacità di raggiungerli con ottimi risultati, la stima di tanta gente attorno; ma allo stesso tempo un grande vuoto che niente riusciva mai a colmare». Terminati gli studi, ecco che per lui il lavoro e la vita si spostano a Roverè Veronese, dove ben presto incontra anche un gruppo di giovani che abitualmente si ritrova per la preghiera e il canto. Ricorda don Damiano: «A loro serviva un organista e mi sono messo subito a disposizione, anche perché ho immediatamente percepito che mi potevo trovar bene. Nel frequentare loro e le iniziative che mi proponevano, è poi tornata con forza la domanda sulla fede. Io, chimico di formazione e di professione, avevo bisogno di capire e non volevo saperne di qualcosa che mi sembrava da creduloni. Per fortuna, intorno a quel gruppo ho conosciuto anche un sacerdote che mi ha accompagnato a intuire che cosa si intende per fede e per verità, oltre che portarmi ad assaporare la bellezza della confessione». Le giornate e le settimane di questo giovane lavoratore si sono così arricchite con la celebrazione dell’Eucaristia, l’adorazione, la recita del Rosario, oltre che con qualche appuntamento particolare. «Un giorno – rammenta – una ragazza di quel gruppo mi ha proposto di partecipare con loro ad un pellegrinaggio a Medjugorje. Ovviamente ho accettato, ma tutto mi sarei aspettato da quell’esperienza, tranne che il vuoto terribile che ho percepito durante un momento di adorazione eucaristica. Avevo lavoro, una casa mia, amici, progetti e obiettivi che stavo raggiungendo… ma mi sentivo vuoto. Mi sono portato avanti questa sensazione per mezza giornata e, scomparsa quella, mi è rimasto comunque il senso che niente di quello che stavo vivendo e facendo avesse gusto». Un’esperienza di forte angoscia che lo ha spinto a guardarsi più in profondità, a confrontarsi con il sacerdote a cui si era legato e a riconoscere come in realtà c’erano momenti della giornata pieni di gusto, ovvero quelli contraddistinti da preghiera e liturgia. Per la prima volta si è interrogato su una possibile chiamata al ministero presbiterale, che trovava un forte ostacolo anche nella proposta di una promozione sul posto di lavoro: «Era una grande opportunità per la mia vita, per la quale mi ero impegnato molto – confessa – e così nel cuore mi trovavo con una grande lotta tra il sogno del lavoro e il desiderio di consacrarmi a Dio».

Inizialmente Damiano ha scelto il lavoro, dato che appariva la cosa migliore e più rispondente alle sue idee; ma il cuore si è presto ribellato e il confronto con le persone attorno lo hanno avvicinato al Seminario maggiore di Verona. «Ho infine scelto il Signore – ci racconta – perché ho percepito che mi dava gusto e pienezza nelle cose. E in effetti, dopo quella mia prima risposta affermativa, non ho più percepito quel modo di sentirmi solo e abbandonato, che precedentemente tornava. Ho smesso di fondare la mia vita su idee e passioni personali, guadagnando un grande punto di appoggio. Non sono certo sparite di colpo e per sempre le fatiche, ma è tutta un’altra vita». Il cammino di fede e la formazione al ministero lo hanno condotto a ulteriori passi e ad essere oggi un prete che «non cerca più di spiegare Dio, ma che ha desiderio di raccontare ciò che di bello ha scoperto nella propria vita, di dire e testimoniare come al centro non ci sono più io ma il Signore; di far risuonare una Parola che è intrecciata con la vita e viceversa». In tutti questi anni ha coltivato e custodito un legame forte con Maria e in particolare si rivede in questa giovane che, per amore del Signore e dell’umanità, è disposta a fare qualcosa di fuori dagli schemi come «mettersi in cammino sui monti, affrontare difficoltà e imprevisti per poter cantare il Magnificat». In questi sei anni di ministero presbiterale (ora è incaricato della pastorale giovanile del vicariato Verona Nord Est) ci rivela di aver sentito «sempre grande cura da parte di Dio, il quale ha la follia di fidarsi di te, di darti anche il diritto di sbagliare, di desiderare che tu non dimostri perfezione ma la tua umanità e normalità, che Lui sa plasmare e arricchire con un cuore paterno, con il quale prenderti a tua volta cura degli altri».

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