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Giornata mondiale del migrante e rifugiato

di DON GIUSEPPE MIRANDOLA

“Assicuriamo a tutti il diritto a vivere in pace e a non dover emigrare”

Giornata mondiale del migrante e rifugiato

di DON GIUSEPPE MIRANDOLA *

Periodicamente, quando si affronta l’argomento immigrazione, tornano una serie di espressioni forti, oserei dire ad effetto: “aiutiamoli a casa loro”, “perseguiamo gli scafisti fino in capo al mondo”, “fermiamo i viaggi della morte”, “non possiamo accoglierli tutti” e avanti ancora.

Senza entrare in questo momento nella bontà o meno di queste espressioni, attingendo al messaggio del Papa per la Giornata del migrante e del rifugiato di quest’anno, troviamo però il seguente insegnamento: “Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Queste parole suonano come monito costante a riconoscere nel migrante non solo un fratello o una sorella in difficoltà, ma Cristo stesso che bussa alla nostra porta”.

Il Papa è chiaro: mentre pensiamo a costruire le condizioni perché una persona possa decidere con libertà se migrare o meno, senza dover sottostare a criminali sfruttatori o a viaggi della morte, ogni persona va trattata con dignità, è Cristo che sta sulla soglia di casa nostra. Questo diventa ancora più evidente nelle situazioni emergenziali come quella che ancora una volta stiamo vivendo con l’arrivo di molte persone attraverso la rotta del Mediterraneo e quella balcanica.

Si tratta del qui e ora di una persona umana nel bisogno e del nostro modo di risponderle. Questo sembra essere uno degli aspetti che spesso sfugge nei dibattiti di questi mesi: si tratta del qui e ora che ci interpella e non può aspettare.

È l’emergenza della situazione che non permette dilazioni, pena il crearsi di altri drammi e sofferenze se non addirittura la morte come è accaduto al giovane afgano investito sui binari del treno alcune settimane fa.

Nella vita quotidiana, cosa si fa quando si crea una emergenza? Normalmente si fa ricorso alle energie e alle risorse disponibili per rispondervi nel miglior modo possibile. Che si tratti di una malattia, di un imprevisto lavorativo o anche di una morte, nell’emergenza prima di tutto si agisce con tutta la propria capacità, intelligenza, passione e risorse economiche se richieste.

Il tempo della riflessione e dell’analisi di quanto accaduto è successivo. Il Papa stesso, sempre nel suo messaggio lo riconosce: si tratta di riflettere e lavorare per togliere le cause delle partenze drammatiche frutto di costrizione e non certo di libertà: “È necessario uno sforzo congiunto dei singoli Paesi e della Comunità internazionale per assicurare a tutti il diritto a non dover emigrare, ossia la possibilità di vivere in pace e con dignità nella propria terra. Si tratta di un diritto non ancora codificato, ma di fondamentale importanza, la cui garanzia è da comprendersi come corresponsabilità di tutti gli Stati nei confronti di un bene comune che va oltre i confini nazionali”.

A questo appello papa Francesco, da credente, aggiunge che la soluzione dei problemi non può prescindere da una visione di condivisione e solidarietà certamente espressa e declinata in chiave sia politica che economica. “Infatti, poiché le risorse mondiali non sono illimitate, lo sviluppo dei Paesi economicamente più poveri dipende dalla capacità di condivisione che si riesce a generare tra tutti i Paesi. Fino a quando questo diritto non sarà garantito – e si tratta di un cammino lungo – saranno ancora in molti a dover partire per cercare una vita migliore”.

Ecco allora che non si nega la necessità di programmi a “casa loro” o di “perseguire gli scafisti”, ma di dire in questo momento emergenziale: cosa facciamo? Come ci coinvolgiamo come singoli e come comunità di fronte alla vita di tanti fratelli e sorelle?

* Direttore del Centro pastorale immigrati

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