Pulizia vuol dire igiene: una storia lunga secoli
di MARTA BICEGO
Libro ricorda come il mondo sia arrivato a capirne l’importanza
di MARTA BICEGO
La pulizia è un indicatore del benessere e della qualità di vita nella nostra società. Una “conquista” avvenuta, nello scorrere dei secoli, anche a colpi di olio di gomito. Perché, se si pensa al giorno d’oggi, parecchio è cambiato dai tempi del sapone sfregato con vigore sui panni dalle mani di pazienti lavandaie chine sulle fontane. Ritrovati meccanici, elettronici e di detergenza ai giorni nostri facilitano la vita nel rendere vivibili e salubri ambienti quali industrie, uffici, scuole, ospedali, alberghi. E naturalmente le nostre case. In particolare dopo la pandemia da Covid, che ci ha ricordato l’importanza dell’igiene a partire da un gesto semplice come quello di lavarsi (bene) le mani per evitare la diffusione del contagio. Andando a ritroso, il primo mestiere che ha insegnato l’uomo preistorico è stato pulire la caverna per assicurarsi la sopravvivenza.
Insomma: il mestiere del pulire è il più antico del mondo. Questa è soltanto una delle numerose curiosità contenute nel libro Pulizia igienica e sanificazione. La sporca storia del pulito: dall’oro blu al Metaverso via Malta (edizioni Lswr) scritto da Giulio Guizzi, storico divulgatore della pulizia professionale che al tema ha già dedicato nel 2017 una pubblicazione tradotta in inglese e disponibile in e-book. Il volume è stato presentato nei giorni scorsi all’Accademia di agricoltura, scienze e lettere dove l’autore è stato intervistato da Maurizio Pedrini, direttore tecnico della rivista Dimensione Pulito. Primi interlocutori del corposo volume (che supera le 500 pagine) sono i fabbricanti, i quali «non devono più preoccuparsi di produrre macchine per pulire i pavimenti, le pareti, le scale, i vetri. Devono produrre macchine che puliscono l’aria, l’acqua, il fondo del mare: cioè la pulizia sta la portandosi a livelli tecnologici sofisticati», premette Guizzi.
Guardare alla modernità è necessario sì, però senza dimenticare ciò che è stato. Poiché, tra sconfitte e vittorie, «la guerra allo sporco ha attraversato i tempi». E un ruolo chiave nel passaggio dall’Oriente all’Occidente dell’igiene medica l’hanno avuto i Cavalieri di Malta, ricorda l’autore, che da quattro anni è nelle fila dell’ordine. Da qui, rimarca, «è partito l’amore per l’igiene». In che senso? Il suo ragionamento riconduce al frate benedettino Gherardo Sasso: partito dalla Costiera Amalfitana, con le crociate approda in Terra Santa e istituisce l’ordine religioso cavalleresco degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, detti in seguito di Rodi e di Malta; nel visitare i pellegrini malati, è solito appoggiare sul letto un limone, simbolo della citta di Amalfi e della disinfezione. Sporco e pulito, salubre e insalubre. Sono termini che si intrecciano con le vicende della società e gli stratagemmi escogitati per la rimozione della sporcizia.
Il sapone? «È invenzione dei Galli che mescolavano l’erba salicornia o le erbe saponarie con il grasso di capra. Finché i crociati portano un prodotto medicamentoso, che è il sapone di Aleppo», peraltro privilegiato dalla regina Elisabetta. E ancora: «A metà del 1500, con l’alambicco, gli Arabi sono i primi a distillare l’alcool. Accade nella battaglia di Lepanto», cita Guizzi, dove questa «sostanza misteriosa» è utilizzata per pulire le imbarcazioni dalle cime dell’albero al fondo della stiva in modo da scongiurare le epidemie. I primi aspirapolvere? «Sono macchine in legno, inventate in Inghilterra», racconta tra le tappe di un excursus che nel Novecento vede l’America diventare la patria indiscussa dell’igiene. Quando scoppia la Seconda Guerra mondiale, gli americani dotano l’area della pineta di Tombolo fra Livorno e Pisa (meglio noto come Camp Darby), di «carrelli elevatori, di enormi spazzatrici per pulire le strade su cui devono passare i carri armati». Un viaggio che inizia nel passato e accompagna nel futuro del Metaverso, per emancipare il lavoro delle pulizie: quel cleaning da intendere come professione positiva che si affida sempre più alle moderne tecnologie. «Il fine ultimo della pulizia è il controllo – conclude –. Ora ci sono strumentazioni elettroniche che lo consentono in modo molto facile». E il pulitore, conclude, «deve conoscere la nobiltà del suo mestiere». Tenendo conto che l’esperienza pratica non basta più, ma sono necessari teoria e formazione, studio e passione.
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