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Scene di vita da Cogollo, la memoria di una comunità

di Adriana Vallisari
Un libro ripercorre ricordi e aneddoti della frazione

Scene di vita da Cogollo, la memoria di una comunità

di Adriana Vallisari 

“Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Così scriveva Cesare Pavese, ne La luna e i falò. Parole che riaffiorano alla mente constatando l’amore viscerale di Gian Paolo Prealta per il suo paesello, che trasuda in ogni pagina del libro Cogollo vive (Cierre Grafica). Un condensato di memorie d’infanzia, trascorsa negli anni Sessanta nella piccola frazione tregnaghese, famosa per la lavorazione del ferro battuto. «Quelli furono gli anni più belli, quando il tempo scorreva lento e ci divertivamo con giochi semplici, che però ci davano tanta allegria», dice l’autore.

L’idea di raccogliere in una pubblicazione quell’epoca d’oro, incluse innocenti marachelle rimaste memorabili, è venuta a Prealta nel corso delle cene organizzate periodicamente con i vecchi compagni di classe, dove saltavano fuori aneddoti di vita quotidiana che era un peccato finissero nel dimenticatoio. Memorie che l’autore ha fissato su carta, raccogliendo i ricordi degli ultimi testimoni di quell’epoca e ricostruendo al contempo la storia del paese. 

Il volume verrà presentato giovedì 24 aprile alle 20, alla sala polivalente “Al Santo” di Cogollo (ex scuole elementari), in via Fermo Sisto Zerbato 14; insieme all’autore interverranno il prof. Giuseppe Corrà, che ha curato la prefazione del libro, e il maestro Mario Busti, oltre che la dirigente dell’Istituto comprensivo di Tregnago, Badia Calavena e San Bortolo, Sabrina Beninati. 

Anche se non si è del paese, pare quasi di conoscerli i personaggi tratteggiati da Prealta. Come lo scalmanato Bruno Cenci, che in sella alla sua Vespa sfrecciava a tutta velocità per le strade, incubo di tutte le madri con bimbi piccoli, finendo ogni tanto a gambe levate. Ma si diventa partecipi pure della collettiva febbre per il calcio, che portava i giovani del paese a guardare le partite dell’Inter al bar Santellani, stipati attorno al televisore in cucina.

E la domenica? Oltre ad andare a Messa e alle funzioni, c’era l’immancabile appuntamento col cinema. Quello di Cogollo rimase attivo fino al 31 dicembre 1974, soppiantato dalle nuove sale cinematografiche e, soprattutto, dall’avvento della televisione. «Prima che fosse diffusa ovunque nelle famiglie, la tivù era una rarità – ricorda Prealta –. Noi bambini andavamo a guardare il telefilm Rin tin tin in canonica, col permesso del parroco don Antonio Guglielmetti: finché le suore non ci aprivano la porta, continuavamo a supplicarle di farci entrare». 

Robe da buteleti, che si divertivano con poco: bastava un pallone di cuoio per giocare in piassa, oppure ci si ritrovava alla Crosara, dietro la chiesa, per un bel nascondino (ciupascondi) al calar della sera. 

«Oltre a questi frammenti di vita quotidiana ho anche voluto riportare alla luce dei personaggi che meritano di essere ricordati», prosegue Prealta. Per esempio, la storia della famiglia ebrea Löwenthal, che trovò rifugio a Verona grazie ad Arnoldo Mondadori, e poi in val d’Illasi. «Nel settembre del 1944 il signor Robert Löwenthal poté rifugiarsi nei pressi della contrada Carbonari, dove Silvio Xamo gli mise a disposizione un piccolo casotto in muratura per la caccia; un rifugio da cui usciva solo col buio, per qualche ora, andando ad ascoltare Radio Londra a casa di Xamo, con cui strinse una sincera amicizia». 

Gli fu fatale la voglia di rivedere la moglie Anna e la figlia Brigitte, ospitate a Marcemigo: il 27 febbraio 1945 Löwenthal le raggiunse, ma fu notato da delle spie; il giorno dopo una squadra di Brigate nere circondò la casa per catturare la famiglia ebrea: piuttosto che finire prigionieri, i tre ingoiarono un potente sonnifero. Soltanto la figlia si salvò; i coniugi morirono e furono sepolti nel cimitero di Tregnago. 

«È un fatto ancora poco conosciuto – spiega Prealta –. Così come l’aiuto che Silvio Xamo e altri contradaioli diedero a due piloti di un caccia militare inglese abbattuto sulle nostre montagne, rischiando la vita se fossero stati scoperti». Episodi da rispolverare, in questi giorni in cui si commemorano gli 80 anni dalla Liberazione.  

«Ci sono poi due personaggi che, con ruoli diversi, hanno contribuito all’innalzamento culturale, religioso ed economico del nostro paese e per questo meritano di essere ricordati: Fermo Sisto Zerbato e suor Romualda Valbusa». Il primo, morto nel 1961, fu il benefattore di Cogollo: fece fortuna alla Dalmine di Bergamo e mai si dimenticò del suo paese natio. «A lui si devono l’asilo, le scuole elementari, la casa di riposo di Tregnago e la maglieria femminile che diede lavoro alle giovani del paese», ricorda Prealta, che ha dedicato un capitolo anche allo stabilimento per la confezione di giubbotti Mustang-Carrera, dove lavorò anche lui. 

Suor Romualda Valbusa, orsolina, fu invece un’altra figura centrale di quegli anni, molto attiva nello sviluppo del paese e nella promozione dell’infanzia e della gioventù; morì a Tregnago nel 2007. «Anche lei fu una grande persona, molto stimata: spero che questo libro aiuti a rinverdire la memoria collettiva e a coltivare l’appartenenza alla comunità», conclude. 

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