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Non più bimbi, non ancora ragazzi

La Chiesa veronese si occupa dei preadolescenti, età cruciale e sottovalutata. Don Malosto: «Sta diventando un’età decisiva: è il tempo delle scelte importanti anche per ciò che riguarda la fede»

Parole chiave: Ragazzi (14), Preadolescenti (2), Educazione (20), Società (18)
due preadolescenti nelle tipiche pose dei ragazzi di questa età

Un Cantiere per avvicinare i ragazzini alla Chiesa (e viceversa)

La proposta del Centro di pastorale diocesano per “colpire” i preadolescenti

Preadolescenza. Un’età della vita difficile da interpretare: una maturità che non è più quella di un bambino, ma è ben lontana da quella dell’adulto. Anzi, differisce anche da quella dell’adolescente. Quel periodo che potremmo identificare con gli anni delle scuole medie e che pare non avere nemmeno una dignità propria, tanto che il nome stesso – preadolescenza – lo identifica solo in funzione di ciò che verrà dopo.
In controtendenza rispetto al sentire comune, la Diocesi di Verona già da diversi decenni ha dedicato a questa età un impegno pastorale esclusivo, il Centro di pastorale ragazzi (Cpr), un’intuizione nata dall’onda lunga del Concilio, una scelta profetica di investire energie e risorse con una casa, una comunità, suore e sacerdoti. Oggi il Cpr – guidato da un anno a questa parte da don Matteo Malosto con le suore Monica Cantarella e Sabrina Ottoboni, dell’Istituto delle Figlie di Gesù – ha voluto rilanciare la propria opera pastorale a servizio delle parrocchie della diocesi, dando vita al “Cantiere pre-adolescenti”.
Un’iniziativa che parte la prossima settimana con tre incontri dedicati per interrogarsi sulle sfide che riguardano i preadolescenti nel mondo di oggi. A spiegarci di cosa si tratta e da dove nasce questa novità è lo stesso direttore del Centro.
– Don Matteo, innanzitutto cos’è questo Cantiere pre-adolescenti in partenza?
«È stato pensato come luogo di incontro per coloro che hanno a cuore questi ragazzi, questa fascia d’età. Uno spazio di approfondimento dedicato non solo ai catechisti, ma più in generale ai genitori, ai professori, agli educatori, ai religiosi, ai preti. Vogliamo interrogarci sul modo di avvicinare i preadolescenti per essere significativi per la loro vita e per aiutarli ad accostarsi con maturità alla fede. Ma il Cantiere è anche un tentativo di mettere in rete le persone, ognuno con la propria esperienza e con la propria missione, per condividere idee, capacità, prospettive. Questo non risponde solamente alla necessità di unire le forze, di una riorganizzazione vantaggiosa per tutti; ma è un’occasione di vivere insieme un cammino comune, di essere veramente Chiesa, di essere comunione».
– Come è maturata questa nuova proposta?
«L’intuizione nasce da un tempo di confronto con alcuni sacerdoti della nostra diocesi e da una domanda ricorrente tra chi opera con i ragazzi: “Cosa dobbiamo fare con i preadolescenti?”. Ma in questo ultimo anno ci siamo resi conto che – più che pensare al cosa – dobbiamo concentrarci sul come fare. E il come è uno solo: mettendoci in ascolto della Parola di Dio. In tal senso, le parole che più ci hanno interrogato sono state quelle pronunciate da papa Francesco al convegno di Firenze, quando ha sottolineato che non stiamo vivendo un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca, che richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli perché “il Signore è attivo all’opera del mondo”. Come ci poniamo dunque nei confronti del cambiamento? Ripartiamo dai nostri punti fermi: l’ascolto della Parola di Dio, da cui scaturisce un tempo di discernimento, e la grazia dello Spirito Santo. Solo su questi cardini possiamo sviluppare una missionarietà creativa e gioiosa, che si traduca in cammini e proposte concreti».
– Ma perché questa attenzione rinnovata nei confronti dei preadolescenti?
«Moltissimi psicologi, ma lo rilevano anche genitori e professori, ci dicono che la preadolescenza sta diventando un’età decisiva: le questioni che in passato erano caratteristiche dell’adolescenza, oggi sono tutte anticipate, rendendo inutile una distinzione. È il tempo delle scelte importanti – la scuola, gli amici, le passioni – e di una maggiore autonomia; è così anche per la fede, che richiede una riflessione se proseguire un cammino anche dopo la Cresima. La bellezza sta proprio nel comunicare questo cambiamento: l’evoluzione da una fede come imposizione, come input che arriva dalla famiglia, ad una fede che coinvolge e che attira. Come Chiesa penso anche che forse non abbiamo investito a sufficienza finora; e lo dico alla luce della mia passata esperienza di curato all’interno della parrocchia: pensavo spesso a quelli più piccoli e a quelli più grandi, i ragazzini delle medie erano un po’ snobbati in termini di impegno pastorale. Eppure è un momento in cui è possibile incidere positivamente sulla vita delle persone. Anche solo analizzando la questione da un punto di vista prettamente numerico, è “conveniente” e sensato lavorare sui preadolescenti: l’interesse per il sacramento della Confermazione trattiene in parrocchia l’80/90 per cento dei battezzati tra gli 11 e i 14 anni. Mentre la percentuale di partecipazione solitamente precipita a un 10/12% ai gruppi adolescenti dopo la Cresima. In proporzione, è chiaro dove occorrerebbero maggiori attenzioni».
– Forse però questo atteggiamento è dettato anche da un’incapacità di coinvolgere i preadolescenti, di renderli partecipi.
«In molti si focalizzano sui problemi, sulle difficoltà di quella che considerano alla stregua di un’età di mezzo, da traghettare passivamente allo step successivo. In questo modo, il pericolo, o meglio, la tentazione è di scoraggiarsi. Dobbiamo imparare a vederla come un’età feconda per il racconto del Vangelo e per quella che sarà tutta la vita successiva. E il Cantiere è un’occasione per tornare a entusiasmarsi pensando al servizio che il Signore ci chiede nei confronti dei nostri ragazzi, per riscoprire in quello che facciamo una vocazione, una chiamata personale da genitori, educatori o pastori. Per meravigliarsi davanti a questi figli di Dio, davanti a queste creature uniche. Attenzione che questo non significa fingere che i problemi non ci siano: il problema resta, cambia il modo di porsi nei suoi confronti. Diventa una possibilità che il Signore ci da per conoscerLo e per vivere la nostra vita regalandola a qualcuno».
– Interessante risulta poi la scelta del termine “cantiere”, che rimanda a una costruzione, a una operatività più che alle riflessioni astratte e difficili da tradurre nella vita quotidiana.
«Con queste prime tappe del Cantiere cerchiamo di gettare le basi per il futuro. Proporremo alcuni temi fondativi: alla luce della Parola, vogliamo mettere in risalto gli aspetti che per noi sono divenuti imprescindibili. Come per costruire una casa, qui stiamo gettando le fondamenta».
– Quali sarebbero dunque queste fondamenta su cui costruire?
«Possiamo riassumerle in tre punti fondamentali. Il primo: adottare uno sguardo profetico sui ragazzi, iniziando a vederli non per i problemi e le difficoltà che li caratterizzano, bensì figli e opera di Dio a tutti gli effetti. In secondo luogo, siamo convinti che l’unica cosa che possiamo fare come Chiesa è raccontare il Vangelo e su questo ci giochiamo tutto il nostro essere Chiesa. Terzo punto: occorre riflettere su come la relazione con i ragazzi sia uno spazio fecondo per l’annuncio. Il passaggio da fare è quello da una pastorale contenutistica a una pastorale relazionale».
– Nel concreto, cosa significa questo?
«I preadolescenti avvertono il bisogno di guide credibili e di punti di riferimento. Ma prima ancora, hanno bisogno di persone che li amino per quello che sono. Proprio a partire da questa relazione, e in questa relazione, abbiamo la possibilità di trasmettere il loro essere figli di Dio».
Andrea Accordini

«Tiriamo fuori il meglio di quanto alberga nel cuore di ciascun ragazzo»

La ricetta di Gigi De Palo (Forum associazioni familiari)

Siamo stati tutti ragazzi: tutti abbiamo sperimentato, in un modo o nell’altro, la bellezza fragile e instabile della fase della vita che precede e accompagna l’adolescenza. Periodo ricco di rapporti interpersonali, di scoperte più o meno consapevoli, di avventure e rischi che poi, crescendo, verrà meno spontaneo intraprendere.
La vita come un vero e proprio “cantiere aperto”, in cui a scuola, come in famiglia, s’impara la geografia, la storia, l’italiano, il senso della vita, la ragione per cui siamo al mondo e si inizia a socializzare con l’universo sociale che ci circonda. Un tempo di ricerca, di costruzione del proprio sé che vale la pena sperimentare. È la vita che ci viene incontro, tante volte a piccole dosi, molto spesso di corsa. Ecco perché – per rendere la vita dei nostri ragazzi un piccolo, grande capolavoro – è essenziale osservarne ognuno come fosse un bozzetto del Canova: un “già eppure non ancora” che va sapientemente ripulito da orpelli non essenziali e levigato attraverso esperienze che sappiano arricchirlo, educarlo e farlo maturare. Il cuore, prima ancora della mente, perché dove c’è un cuore pieno cresce una persona in grado di affrontare tutte le sfide intriganti e spesso difficili della vita.
Per questo è così bello e importante trovare il tempo e l’occasione per approfondire, confrontarsi insieme, indagare, sondare il terreno, scoprire nuovi possibili orizzonti formativi e, soprattutto, mettere il proprio cuore e le proprie competenze in occasioni come quella organizzata dal Centro di pastorale ragazzi della diocesi di Verona.
Spesso, la distanza tra una vita vissuta in pienezza e un’esistenza rimasta incompiuta sta nei dettagli con cui chi ha in mano il destino delle nuove generazioni, si è saputo spendere per esse: non solo e non tanto a livello di buona volontà – comunque sempre gradita – quanto nella capacità con cui tirare fuori sapientemente, usando gli attrezzi giusti e il “tocco” dell’artista, il meglio di quanto alberga già nel cuore di ciascuno dei nostri ragazzi.
Allora, solo allora, potremo davvero dire di essere stati “a servizio della loro gioia” e saremo a nostra volta in grado di gioire per tutto il bello che la vita potrà riservare a ciascuno di loro. Senza mai dimenticare di essere “servi inutili”. Ma felici.
Gigi De Palo
Presidente nazionale Forum associazioni familiari

«Non è un’età di passaggio: la vita si vive pienamente»

Suor Roberta Vinerba: anni di grandi riflessioni e scelte

Suor Roberta Vinerba, francescana diocesana dell’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve, è la direttrice dell’Istituto superiore di scienze religiose di Assisi. Autrice di molte pubblicazioni e volto noto di TV 2000, nel marzo 2019 parteciperà come relatrice al “Cantiere”. L’abbiamo raggiuta per farle alcune domande.
– Perché è importante ritrovarsi come Chiesa a parlare della pre-adolescenza?
«Non possiamo che farlo! Sempre più spesso, non più alle superiori ma alle medie i ragazzi decidono cose importanti del loro futuro. Gli anni più belli ma anche in assoluto i più pericolosi: travolti da forti emozioni e pulsioni e avendo a disposizioni mezzi tecnologici (e non solo) enormi, vivono lo spaesamento per un perimetro non ancora definito di sé. Noi educatori dobbiamo stare lì, accanto a dei ragazzi che indirettamente chiedono di essere accompagnati».
– Si afferma che la preadolescenza è un’età che va semplicemente attraversata; lei cosa ne pensa?
«Non esistono età da attraversare: la vita si vive, non si attraversa. È avvilente pensare a questi ragazzi come delle persone da traghettare verso un’età più feconda della vita. Il nostro posto di educatori è accanto a loro, per aiutarli a elaborare e a comprendere quello che vivono e per farli entusiasmare nel vivere alla grande la vita».
– La relazione, spazio fecondo per l’annuncio del Vangelo: questo sarà il tema del suo intervento al “Cantiere”.
«Sempre nella vita – ma in modo particolare nell’età dello sviluppo – c’è bisogno di modelli significativi e di guida autentiche. Tutto questo lo può offrire un adulto, se si pone in una relazione asimmetrica e offre ai ragazzi una relazione di incontro e scontro nella quale crescere, nella costruzione di un futuro che parte sempre dal riferimento a modelli. I ragazzi hanno bisogno di testimoni che gli raccontino con la vita il Vangelo di Cristo: se questo accade, ne ascolteranno poi volentieri anche le parole».
– Tra i suoi importanti impegni istituzionali trova sempre il tempo per l’attività pastorale in parrocchia con i ragazzi: perché?
«Vero! Mi piace tutto quello che faccio ma con i ragazzi ci sto bene e volentieri. Anzi, lo trovo profondamente necessario: mi riportano alla realtà, mi chiedono di essere autentica come cristiana e come adulta. Tra le mille cose di ogni giorno sono uno dei regali più belli del Padre». [M. Mal.]

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