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«Meno “veronesità” per le sfide da vincere nelle piccole imprese»

di RENZO COCCO
Michele Ghibellini, presidente del Gruppo giovani di Confimi Industria 

Parole chiave: Confimi Industria (1), Pmi (1), Verona (222), Economia (128)
«Meno “veronesità” per le sfide da vincere nelle piccole imprese»

di RENZO COCCO

Il veronese Michele Ghibellini, 36 anni, una laurea in Lingue per il commercio internazionale conseguita all’Università di Verona, consolidata con vari master di specializzazione, è stato nominato nei giorni scorsi presidente nazionale del neo-costituito Gruppo giovani di Confimi Industria, che rappresenta oltre 45mila piccole e medie imprese manifatturiere italiane.
Da oltre quindici anni è impegnato nelle Officine Airaghi di San Giovanni Lupatoto, l’azienda di famiglia fondata dal nonno materno, che da 70 anni produce ricambi e accessori per l’industria cartaria, esportati in mezzo mondo. La sua nomina, che avrà durata triennale, si può ben considerare un pubblico riconoscimento del valore della giovane classe imprenditoriale veronese, ma più in generale di quella dello storico modello industriale lombardo-veneto, dal momento che il vice presidente vicario Matteo Manzardo è vicentino e la consigliera Anna Supino mantovana. Diventa dunque interessante sentire la voce del neo-presidente per capire qual è la situazione della piccola e media impresa italiana e veronese; quali le difficoltà e gli ostacoli che si frappongono al suo sviluppo; verso quale direzione bisogna puntare per consolidare il futuro del sistema manifatturiero che resta il cuore dell’industria italiana.
– Presidente, dopo oltre due anni di pandemia da Covid-19 e una guerra di aggressione della Russia all’Ucraina in atto nel cuore dell’Europa, che sta avendo anche devastanti effetti economici, qual è la situazione della piccola e media impresa italiana?
«Ci stavamo lentamente riprendendo. Dopo lo scoppio della guerra siamo tornati a vivere uno stato di incertezza di cui è difficile vedere la fine. La realtà è che dobbiamo fare i conti con aumenti esorbitanti dei costi del gas e delle materie prime, che ci impediscono di programmare la produzione e di fissare i prezzi di vendita. Il risultato è che molte imprese hanno rinunciato alle commesse e alle gare d’appalto, con una significativa perdita di fatturato e di redditività. Stiamo comunque tenendo duro, sperando (come tutti) che il conflitto finisca presto in modo da evitare di piombare in una nuova e pesante recessione. Intanto, per resistere alla crisi, è necessario che il Governo adotti misure urgenti a partire dalla fissazione del tetto massimo del prezzo del gas e attuando (ma avremmo dovuto cominciare già 5 anni fa!) una politica di diversificazione dei Paesi di approvvigionamento dell’energia».
– In questo difficilissimo contesto, come sta reagendo il sistema industriale veronese?
«Le imprese veronesi possono contare su un carnet di ordini significativo, ma diventa sempre più difficile dare risposta alla domanda interna e internazionale non avendo una prospettiva certa di stabilità dei prezzi. Diciamo che stiamo alla finestra, in attesa di avere un quadro più chiaro e definito».
– Vi sono alcuni nodi che devono essere sciolti per dare un futuro alla piccola e media impresa. In particolare tre: il passaggio generazionale; l’innovazione tecnologica; la formazione permanente delle risorse umane. Qual è la sua visione al riguardo?
«Sono le sfide decisive che abbiamo davanti e che dobbiamo vincere per consolidare il sistema industriale italiano. Il passaggio generazionale l’ho vissuto in prima persona e conosco i pericoli sottostanti, che sono più acuti nelle nostre imprese a gestione familiare. Ma devo anche dire che nei fondatori ho trovato tanta intelligenza, maturità e responsabilità che facilitano questa naturale consegna del testimone. Aggiungo che questo processo vale anche per i collaboratori che lasciano per raggiunti limiti di età e che devono trasferire ai giovani le loro conoscenze e professionalità, in una continuità di lavoro che valorizzi il prezioso patrimonio umano delle aziende».
– E per quanto riguarda l’innovazione industriale e la formazione professionale?
«La rivoluzione digitale in atto è la chiave di volta su cui costruire il futuro. L’innovazione tecnologica consente di innalzare la produttività complessiva e di rafforzare la competitività delle imprese sui mercati internazionali. È un processo continuo e inarrestabile che dobbiamo finalizzare alla crescita del sistema produttivo. A questo tema si lega strettamente il terzo corno del problema: la formazione delle risorse umane. Le tecnologie di ultima generazione, la robotica, l’intelligenza artificiale (macchine che si auto-programmato e auto-correggono) richiede personale sempre più preparato, in possesso di competenze specialistiche tecniche e umane. Con la scuola, di ogni ordine e grado, dobbiamo pertanto intensificare una stretta collaborazione, un “vivere insieme” che, pur nel rispetto dei diversi ruoli, sia momento permanente di visione del futuro e di progettazione. Soltanto così eviteremo, come capita oggi, di non trovare personale specializzato di cui abbiamo disperato bisogno».
– In una competizione globale tra sistemi, lei crede che ci sia anche un problema dimensionale che frena le potenzialità di crescita dell’industria e dunque dell’economia italiana? In sostanza, le imprese sono troppo piccole per stare sul mercato?
«Sì, è un problema reale che anche a Verona ci penalizza. Il confronto con i sistemi degli altri Paesi vede l’Italia con un numero molto alto di piccole aziende (oltre il 70% con meno di 10 dipendenti del totale), rispetto a percentuali che negli Stati industriali sono meno della metà. Possiamo bilanciare questo handicap con la creazione di reti di impresa e ancor di più con il rafforzamento dei distretti industriali, che sono significativamente presenti in Veneto e nella nostra provincia. Dobbiamo saper dar vita a conglomerati territoriali di imprese flessibili e specializzati, in grado di valorizzare le produzioni locali con risposte di sistema alla domanda internazionale».
– Nel triennio di presidenza che l’aspetta, quali saranno le linee d’azione principali che intende attuare?
«Mi sono dato tre obiettivi prioritari: il primo è rafforzare e rendere ancor più organico il rapporto tra centro e periferia. In altre parole, voglio creare canali permanenti di confronto tra la sede centrale e le realtà regionali e provinciali della nostra associazione, valorizzando le migliori pratiche. In secondo luogo, dare applicazione alla rivoluzione digitale, favorendo in ogni modo nelle aziende associate l’adozione delle nuove tecnologie e dell’informatica che rendono possibili salti significativi in termini di efficienza, produttività e di risultati economici. Il terzo obiettivo riguarda la scuola. Dobbiamo rompere la barriera che separa il mondo della formazione da quello produttivo, favorire il travaso reciproco di conoscenze e di esperienze in modo da facilitare (senza prevaricare le vocazioni degli studenti) il futuro inserimento nel mondo del lavoro».
– Che cosa si può fare per rafforzare la piccola e media impresa veronese che ha un ruolo decisivo nello sviluppo economico della provincia?
«Le sembrerà un paradosso, ma le rispondo così: svuotandoci della nostra veronesità! Naturalmente non della nostra storia, della cultura, del patrimonio architettonico, paesaggistico, fieristico, musicale... ma rinunciando a quella individualità e frammentarietà che da sempre ci caratterizzano e ci penalizzano. Dobbiamo superare il localismo e guardare a livello sovra-regionale e internazionale. Abbiamo la fortuna di essere uno degli snodi principali dei corridoi autostradali e ferroviari europei, di essere terra di confine nel mezzo di tre regioni e di sei province quali Vicenza, Mantova, Brescia, Trento, Bolzano, che insieme possono vantare un potenziale produttivo straordinario. Non dobbiamo inventare nulla, ma mettere a fattore comune questa unicità, dando vita ad una alleanza di pensiero e di azione, di progettazione e di realizzazioni che può garantire contemporaneamente crescita economica, sviluppo partecipato e civile convivenza».
Insomma in questo caso, contraddicendo William Shakespeare, si potrebbe ben dire che “c’è mondo anche fuori dalle mura di Verona”. 

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