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Il dilagare della solitudine “morbo” devastante quanto un virus

Era già un male dei nostri tempi, insinuato nelle pieghe profonde di una società distratta e frettolosa nell’affrontare il quotidiano. Ora, nella prolungata parentesi della pandemia, la solitudine popola le vite di molti, in particolare degli anziani, privati degli abbracci dei figli e dei nipoti

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Il dilagare della solitudine “morbo” devastante quanto un virus

Era già un male dei nostri tempi, insinuato nelle pieghe profonde di una società distratta e frettolosa nell’affrontare il quotidiano. Ora, nella prolungata parentesi della pandemia, la solitudine popola le vite di molti, in particolare degli anziani, privati degli abbracci dei figli e dei nipoti. Così, per tutelarne la salute, si devono sacrificare gli affetti. Creando vuoti che, per alcune persone in particolare, sarà difficile riuscire a colmare.
In che modo reagire? Vari spunti sono stati offerti, nei giorni scorsi, dal convegno promosso a Padova dall’Associazione italiana di psicogeriatria (Aip) e svolto in modalità virtuale sulla tematica “La città e le sue solitudini”.
«La solitudine sembra invincibile, noi abbiamo la speranza che almeno in piccola parte possa essere rimodulata», sintetizza sulla questione il prof. Marco Trabucchi, presidente di Aip. «In questo momento la solitudine di molti assomiglia molto alla morte. Vogliamo opporci a questa realtà negativa. Però la tendenza era dolorosa prima del Coronavirus», segnala, facendo proprio il pensiero di un sociologo americano secondo il quale, da quando i tetti delle case si sono infittiti di parabole, si sono moltiplicate le porte blindate.
Eravamo già in difficoltà. Ma ora a farne le spese con il maggior carico emotivo sono soprattutto le persone anziane che vivono da sole o nelle case di riposo, i medici e il personale sanitario. «Gli anziani costretti a casa sono terrorizzati: non riescono a sentire il medico di famiglia, né ad avere consigli nel momento della comparsa di sintomi che potrebbero essere rilevanti. Nessuno risponde al telefono. Questa è la descrizione teorica della solitudine: la mancanza di risposta da parte di chi cerchi di consultare quando sei in difficoltà», descrive Trabucchi.
Dall’isolamento nelle abitazioni a quello nelle case di riposo: «Diverso è il contatto dietro a una serie di blocchi di sicurezza come mascherine, guanti, occhiali e l’insieme delle coperture – fa notare –. Da una parte diciamo che dobbiamo rompere queste barriere e privilegiare la libertà sulla sicurezza: si fa presto a dire così. Sono vicino a chi deve decidere, perché se succede qualcosa di drammatico, le responsabilità sono precise». In questo campo, la battaglia diventa ancora più difficile.
Infine c’è la solitudine dei camici bianchi che devono combattere contro preconcetti e notizie false diffuse dal web. «I “si dice” sono a volte più forti della realtà e spesso rivolti contro i medici – rimarca –. Per loro la solitudine è doppia: davanti alla malattia e contemporaneamente davanti a chi non si fida. La situazione in cui viviamo è drammatica e su tutti domina la solitudine». Nelle sue radici il nodo della questione, conclude: «Se ci sentiamo uno vicino all’altro, capaci di incontro e accompagnamento reciproci a tutti i livelli, questa crisi sembrerà meno drammatica. Gli aspetti biologici non possono essere vinti, ma tanti aspetti umani caratterizzati da paura e solitudine, potrebbero essere combattuti e in parte superati purché ci sia un desiderio di alleanza».

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