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«Con la cultura si “mangia” ma non è una pietanza qualunque»

di GIULIO PIGNATTI
L’assessora Ugolini: attrattiva anche per il turista ma in sintonia con la città

«Con la cultura si “mangia” ma non è una pietanza qualunque»

di GIULIO PIGNATTI
Con il fine settimana di Pasqua la stagione turistica ha esordito all’insegna dei grandi numeri. Protagonista come sempre l’offerta culturale e artistica veronese, dal Cortile di Giulietta all’Arena, dove la stagione dei concerti verrà inaugurata a breve, il 25 aprile, con il rapper milanese Lazza. «Verona ha nella cultura la sua principale attrattiva, il tema del turismo è quindi inscindibile», ricorda l’assessora Marta Ugolini, che nella giunta Tommasi unisce appunto le deleghe al Turismo e alla Cultura (oltre a quella ai Rapporti con l’Unesco). L’abbiamo intervistata nel suo ufficio di palazzo Barbieri sui nodi che torneranno centrali nell’alta stagione turistica, dall’offerta museale alla gestione dei grandi eventi. Ma per Ugolini, docente di Economia e gestione delle imprese all’Università di Verona e “prestata” all’amministrazione dopo la chiamata dello scorso luglio, non contano solo i numeri. «Non bisogna accontentarsi di aver organizzato l’evento, ma anche valutare l’impatto sul più lungo periodo su cittadinanza e visitatori». Così si richiama allo slogan della campagna elettorale del sindaco Damiano Tommasi, “fare rete”, per ricordare l’impegno di portare a un tavolo gli stakeholder e chi, nella città, crea contenuti e cerca risorse. «Ho trovato una città ancora più attiva di quanto mi aspettassi», ammette. Potrebbe sembrare facile in un luogo ricco di storia come Verona, ma il rischio di accomodarsi sugli allori non è del tutto estraneo al temperamento scaligero.
– Per Verona si parla da tempo del problema del turismo “mordi e fuggi”: ci sono grandi flussi di visitatori, ma rimangono (e spendono) poco.
«C’è una componente strutturale del problema: Verona è facile da raggiungere, quindi è anche facile andarsene. Una parte del “mordi e fuggi” non è neanche turismo, ma escursionismo: visitatori che non dormono in città e che magari tornano più volte per poche ore di giro del centro. Si pensa poi sempre solo al turismo leisure, ma c’è anche una fetta legata al turismo business, che viene per la Fiera. Verona è una destinazione complessa, oltre a non essere solamente una monocultura turistica. Bisognerebbe iniziare a lavorare maggiormente sui dati e su una comprensione fine del fenomeno».
– La cultura è il maggiore fattore di richiamo per la città. Quale equilibrio trovare tra un’offerta più “pop” e attrattiva, e una proposta culturale più ricercata?
«Non esiste il “turista medio”: ci sono varie fasce e a ognuna va fornita una proposta specifica. Siamo una città grande, non possiamo puntare su una nicchia o solo sul turismo culturale alto-spendente. Dobbiamo anche fare numeri. Insomma, serve tanto un presidio dei maggiori attrattori quanto un’attenzione ai prodotti di nicchia, che generano un turismo che ritorna e che spende di più».
– A Verona si punta molto sui grandi eventi...
«Il numero di visitatori non può essere l’unico parametro di valutazione del successo di un’iniziativa. Sarebbe meglio avere qualche turista in meno, ma visitatori che rimangono di più, spendono di più, più attenti verso la città e i residenti. Si inizia a sentire un po’ di malcontento tra i residenti del centro storico, ad esempio per la musica tutte le sere d’estate. I numeri sono importanti, ma i volumi devono essere studiati insieme anche ad altri fattori». – Il circuito museale è ricco, ma forse non abbastanza conosciuto. Deve essere valorizzato di più? «L’amministrazione precedente ha fatto una cosa molto valida, cioè aprire una Direzione unica per tutti i musei. Questo facilita i passaggi di risorse e la necessaria condivisione di competenze. La dislocazione in sedi diverse dei musei, poi, è frutto del fatto che siamo una città d’arte. Nelle città europee in cui tutti i musei sono nella stessa zona, le strutture sono state create appositamente, in Italia facciamo musei in palazzi che prima avevano altre vocazioni. Con adattamenti splendidi, come a Castelvecchio. Sarebbe bello fare la caccia al tesoro, e mandare la gente a scoprire i musei».
– Ci si può riuscire?
«Serve un turista molto motivato. Però vediamo un aumento di vendite della VeronaCard, che permette di entrare in tutti i musei. L’amministrazione ci guadagnerebbe di più a vendere i singoli biglietti, ma così si trattengono i turisti nella città. Certo, c’è tanto da fare a livello di promozione e visibilità».
– Per quanto riguarda Castelvecchio, che cosa manca per renderlo un grande museo di respiro europeo?
«Bisogna intervenire sull’accessibilità, sulla quale la sensibilità è molto aumentata negli ultimi anni, ma che lì è ancora carente. Un’altra cosa è iniziare a usare il museo per eventi, a farlo vivere di situazioni che parlino alla città. Alcuni spettacoli dell’Estate teatrale veronese verranno organizzati in spazi museali, come al Museo Lapidario Maffeiano».
– E quanto all’allargamento del museo nei locali dell’attuale Circolo Ufficiali?
«Iniziare l’interlocuzione con il Ministero della Difesa è stato uno dei primi atti dell’amministrazione. Con il cambio di governo la questione si è un po’ raffreddata. Ma ci torneremo convinti». – Due edifici di proprietà di Fondazione Cariverona, Palazzo del Capitanio e Castel San Pietro, potrebbero essere valorizzati in accordo con l’amministrazione. Che destinazione ci vedreste? «Entrambi sono a destinazione museale. Abbiamo un dialogo aperto con Fondazione Cariverona su una serie di progetti di rivalorizzazione (anche economica), e ad esempio a Castel San Pietro quest’estate ci saranno delle iniziative. C’è senz’altro necessità di espandere l’ambito museale, sia in termini espositivi (non esiste un museo della città, ad esempio), sia in termini di depositi».
– Un museo della città sarebbe attrattivo?
«Certamente. Verona, con la sua storia così complessa e stratificata, è una città difficile da leggere, sia per i visitatori che per gli scolari. A Mantova, ad esempio, ci si trova subito immersi nell’atmosfera rinascimentale, ma Verona va spiegata maggiormente. Basti pensare a quanto avrebbero bisogno di valorizzazione le Mura...». – Anche a Pasqua è proseguita la sperimentazione dell’accesso al Cortile di Giulietta da piazzetta Navona e dal Teatro Nuovo. La soluzione diventerà definitiva? «Stiamo lavorando per esplorare i profili economici e giuridici (bisogna ricordare che il tutto deve avere l’autorizzazione del Ministero della Cultura). Noi vogliamo consolidare quella soluzione. A Pasqua la coda dal Teatro Nuovo arrivava quasi fino a piazza Erbe, si pensi a che cosa sarebbe successo se la coda fosse stata in via Cappello… Si sarebbe dovuto chiudere la via, con danni enormi anche per i commercianti». – L’ingresso diventerà a pagamento? «La nostra idea è che Giulietta non sia un elemento da valorizzare solo per nicchie di turisti alto-spendenti, ma che il pagamento dell’ingresso sia accessibile a tutti».
– Con un biglietto di pochi euro?
«Esatto».
– Per quanto riguarda la maggiore attrattiva veronese, l’Arena, qual è la visione dell’amministrazione sulla stagione dei concerti? È in corso uno scontro con Fondazione Arena...
«Sia la lirica che l’extralirica sono iniziative che hanno un impatto sulla vita del centro città così rilevante che è essenziale un dialogo tra le parti. È poi responsabilità del Comune preservare il monumento e assicurarne la trasmissione alle generazioni future. C’è quindi anche un tema di tutela e conservazione: l’incidente della stella ne ha dimostrato la fragilità. È dunque veramente strano che si pensi di gestire una situazione così complessa senza dialogare con il Comune. Ma da un punto di vista operativo continuiamo a collaborare».
– E come monumento e sito turistico l’Arena è abbastanza valorizzata?
«C’è da lavorare molto, anche sull’interazione tra aspetto museale e spettacoli. Il sabato di Pasqua la Direzione Musei non è stata avvisata che sarebbero iniziati i lavori per montare gli allestimenti per la stagione concertistica e quindi c’erano i muletti che sfrecciavano in mezzo ai turisti. Bisogna coordinarsi».
– La visita potrebbe anche essere resa più coinvolgente?
«Senza dubbio. C’è un progetto di musealizzazione su cui stiamo lavorando, di pari passo con l’implementazione dell’accessibilità. Serve raccontare di più l’Arena: di reperti romani ne abbiamo, e c’è poi la possibilità di utilizzare le nuove tecnologie. Bisogna infine incentivare la prenotazione, perché d’estate i turisti non possono rimanere in coda sotto il sole. Per il Cortile di Giulietta la prenotazione funziona: mentre aspettano il proprio turno, i turisti vanno a vedere altri musei e attrazioni della città».
– Per quanto riguarda le esposizioni, lei si è detta contraria all’utilizzo della Gran Guardia.
«C’è un netto vantaggio se lasciamo la Gran Guardia alla sua vocazione, che è quella di centro congressuale e non di centro espositivo. Il turismo congressuale è un turismo ricco, non invasivo, programmato anni prima. Verona avrebbe la possibilità di accogliere un congresso alla settimana. Si risparmierebbe tra l’altro sui costi di allestimento».
– Allora le mostre dove andrebbero esposte?
«Il tema degli spazi è drammatico: il Comune di Verona non ha un luogo da destinare permanentemente alle esposizioni, come invece hanno Rovigo o Padova. Palazzo Forti è fuori uso. Ora verrà temporaneamente usato come deposito museale, anche perché si deve liberare la Palazzina di Comando all’Arsenale, dove iniziano i cantieri del Pnrr».
– L’idea però sarebbe quella di recuperare Palazzo Forti come centro espositivo principale?
«Io ho un buco nel cuore pensando a Palazzo Forti e a cosa ha fatto Achille Forti per la città. Meriterebbe di essere ricordato. Attualmente il Palazzo è fuori combattimento perché l’impianto di riscaldamento e di condizionamento è in uno stato di grave dissesto».
– Sulle mostre torna la questione della scelta tra una cultura “pop” e una più di nicchia. Che genere di mostre deve promuovere la città?
«Non è più l’epoca delle mostre blockbuster. Adesso anche gli organizzatori sanno che i numeri che faceva Goldin non sono possibili nemmeno a Milano. Oggi c’è anche una maggiore offerta e diffusione. Bisogna trovare delle proposte più tagliate, per un pubblico più maturo ed esigente. Altrimenti la mostra diventa un prodotto di consumo, molto costoso ma che non lascia nulla. Di sicuro bisogna anche essere bravi con promozione, comunicazione e organizzazione: l’estate, ad esempio, non è la stagione giusta per le mostre, tantomeno per quelle più “impegnative”».
– Quale modello dovrebbe seguire la Verona culturale del futuro?
«Verona dovrebbe aprirsi alle contaminazioni e sperimentare, accettando che quando si prova, si possono fare cose che non funzionano subito. E poi uscire dagli spazi consueti: sulle Mura porteremo avanti un progetto di valorizzazione turistica e culturale, per far vivere di più i luoghi. Il modello è quello delle grandi città internazionali, dove si trova un’offerta culturale multistrato, che non hanno paura di fare esperimenti senza troppi giudizi». 

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