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Adolescenti stra-tecnologici ma fragili sul fronte emotivo

Lo psicologo: «La quarantena è un’eredità pesante per loro»

Parole chiave: Quarantena (1), Adolescenti (13), Psicologo (2), Genitori (17), Educare (5)
Adolescenti stra-tecnologici ma fragili sul fronte emotivo

Hanno vissuto la quarantena sociale e le tecnologie sono state per loro un luogo rassicurante in cui rifugiarsi. Ma anche in cui rimanere imbrigliati. Dalle pareti domestiche alle aule, con il ritorno sui banchi di scuola, dove il rapporto tra giovani e tecnologie dovrà essere meglio calibrato. Perché gli adolescenti a dismisura connessi alle macchine rischiano di diventare, un domani, uomini e donne incompleti; adulti capaci sì (fin troppo) di usare la mente in maniera razionale, ma disorientati di fronte all’esperienza umana nelle sue sfaccettature.

Fuori dalla dimensione virtuale, i ragazzi vivono con rigidità la concretezza del mondo, le esperienze dei contatti fisici, lo scambio di sguardi e parole dirette nel confrontarsi tra coetanei o con gli adulti. Aspetti su cui si sta concentrando l’attenzione dell’Osservatorio sulle adolescenze e sui condizionamenti della mente in formazione della Clinica Santa Giuliana di Verona, specializzata nella cura dei disturbi psichici dei più giovani. «Qui, in autunno, aprirà un Centro per l’adolescenza e la famiglia non clinico in senso stretto, ma con un’anima sociale, aperto alla città per incontrare i genitori e i ragazzi, aiutandoli nel dialogo», anticipa lo psicologo Amedeo Bezzetto, coordinatore dell’area adolescenti (14-18 anni) della struttura. Una risposta concreta al momento non facile che le famiglie stanno affrontando data l’eredità, in alcuni casi pesante, lasciata dalla pandemia.
«Durante il lockdown gli adolescenti hanno fatto servizio civile supportando gli adulti a conoscere e scoprire le tecnologie, a usarle meglio, a capirne la bellezza e la potenza per mantenere i contatti con gli affetti lontani che non potevano raggiungere fisicamente», spiega. La contropartita «è stata una deroga a qualunque regola da parte degli adulti nei confronti dei ragazzi nella gestione delle macchine. Cosa che purtroppo, in alcune famiglie più che in altre, è diventata una sorta di tempo indefinito. Questa dimensione così ampia ha evidenziato il problema, sempre più emergente: troppi adolescenti e addirittura preadolescenti restano in connessione o in navigazione senza alcuna tutela né contatto con gli adulti, senza capacità riflessiva, di pensiero, rispetto a ciò che stanno facendo».
L’utilizzo smodato dei dispositivi digitali ha implicazioni a livello psicologico e comportamentale: «L’esperienza digitale in sé può svuotare la comunicazione di tutte le qualità indispensabili per essere nutrimento mentale di ogni adolescenza: la fertile esperienza relazionale (lo scambio interpersonale che favorisce l’intrapsichico), la trama affettiva oltre che la stimolazione emotiva». L’essere perennemente on line priva dunque le giovani generazioni dell’esperienza della relazione con l’adulto che è, per definizione, educativa. «Dopo i genitori, a settembre, saranno gli insegnanti in prima linea a giocare una nuova partita con questi adolescenti tecnologici. Certo è che dobbiamo fare meglio rispetto ai mesi della quarantena», sottolinea lo psicologo. «Dal mio osservatorio vedo i ragazzi più fragili che di questa esperienza ne hanno pagato i conti. Se dovesse ripetersi nella scuola, non so quale bilancio potremo fare a fine anno», rimarca.
Isolamento e ritiro sociale sono solo la punta dell’iceberg di un disagio profondo. «Dopo che un ragazzo è stato per ore, se non per intere notti o giorni, in collegamento, quand’è chiamato ad assolvere a un compito domestico o a impegnarsi nella realtà quotidiana, lo staccarsi dall’esperienza di immersione genera in lui sentimenti di irrequietezza, se non addirittura rabbia, che lo porta a litigare o a fare cose sbagliate. Se la prende, in genere, con i genitori e sono soprattutto le mamme a essere maggiormente esposte», evidenzia Bezzetto. Quando preoccuparsi? «Nella misura in cui la relazione familiare entra in una dimensione di criticità significativa rispetto allo stato in cui era prima – risponde –. Se in casa non ci si parla più, si dialoga poco e malvolentieri per cose necessarie. Se si nasconde, omette o allude. Se si usano parole che creano reazioni di offesa o provocazione».
Questo deterioramento non dev’essere sottovalutato: non necessariamente è sintomo di una patologia sommersa che sta emergendo, ma testimonia un malessere. «Una situazione di difficoltà legata alla relazione educativa in crisi che deve essere valutata, senza andare a ventilare fantasmi psicopatologici, ma che ha a che fare con la complessità propria dell’adolescenza resa ancora più complicata da questo rapporto con le tecnologie. Stiamo vivendo una nuova stagione di convivenza – chiosa –. Combinare bene l’uso delle macchine con le necessità o le esperienze che servono a crescere sarà un esercizio particolarmente complesso per gli adulti». 

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