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«Il mio sogno? Intervistare il Papa sul calcio»

Ha ricevuto a Monteforte il premio "Grappolo d'Oro - Clivus", quindi ha raccontato 35 anni di carriera giornalistica durante la quale ha intervistato i più grandi campioni e non solo. A noi ha detto che c'è ancora un personaggio che vorrebbe sentire...

«Il mio sogno? Intervistare il Papa sul calcio»

Donatella Scarnati, vicedirettore di Rai Sport, è stata la prima voce (e volto) femminile della storica trasmissione calcistica 90° Minuto (era il 1989) ed è stata la prima giornalista – dopo otto uomini – a ricevere il premio “Grappolo d’Oro Clivus” assegnato ogni anno da Cantina di Monteforte e Gruppo sportivo dilettantistico Valdalpone De Megni “a chi, nei diversi campi professionali di competenza, ha dato prova di saper coniugare etica e competizione”. La cerimonia di premiazione, svoltasi lo scorso 15 giugno nel suggestivo chiostro del Palazzo vescovile di Monteforte d’Alpone, ha visto anche l’assegnazione di riconoscimenti ai giornalisti che hanno raccontato l’ultima edizione della Montefortiana, la manifestazione podistica svoltasi lo scorso gennaio tra le vigne del Soave. Tra i premiati anche Marco Bolla, collaboratore di Verona Fedele.

Durante la serata la 62enne giornalista di natali cosentini ma romana d’adozione si è raccontata, sollecitata dalle domande di Lucia Vesentini e, a margine dell’incontro, ha risposto con grande disponibilità a qualche ulteriore curiosità.

– Un tempo il giornalismo sportivo era esclusivo appannaggio maschile. Cosa significa per una donna occuparsi di sport?

«Vuol dire che se sei competente, non puoi sbagliare mai. Tante volte ho sentito delle castronerie da parte di colleghi maschi, però quelle non vengono sottolineate, mentre se sbaglia una donna… Ricordo che 15 anni fa la Bbc inviò una troupe per realizzare un’inchiesta su quello che per loro era un fenomeno italiano: tante giornaliste che parlano di calcio. Intervistarono me come prima donna di 90° Minuto, poi le colleghe di Mediaset e di Sky. Io ero abbastanza orgogliosa di questo perché comunque ho tracciato una strada. Ci sono tantissime colleghe che oggi parlano di sport, non solo giornaliste della carta stampata, ma anche in televisione telecroniste che sono bravissime».

– Qual è la disciplina sportiva che preferisce?

«La mia disciplina del cuore all’inizio era lo sci, perché ad un certo punto volevo lasciare tutto quanto e trasferirmi in montagna, luogo che per me rappresenta la libertà. Nel prosieguo è stato il tennis, non a grandi livelli agonistici, però ero classificata, facevo dei tornei. Questo sport mi ha insegnato molto. Adriano Panatta dice che il tennis l’ha creato il diavolo perché è uno sport tremendo in quanto puoi essere in vantaggio ma basta un niente per perdere la partita e quindi la concentrazione. Mi piace molto anche lo sport di gruppo, perché apprezzo l’idea di squadra, però penso di aver imparato molto dal tennis, dove te la devi cavare da sola e tutto può cambiare nel giro di pochi minuti».

– Se parliamo di calcio qual è la sua squadra del cuore?

«Io amo il calcio grazie a Gianni Rivera, quindi la mia squadra del cuore è sempre stata il Milan. Mia madre era di Milano, là avevo i miei cugini che quando ci sentivamo mi dicevano: devi venire… Sono legata a questa squadra. Ricordo che andavo a San Siro per le partite, a Milanello, insomma ero la classica ragazzina tifosa. Ancora adesso ogni volta che arrivo a Milanello, ricordo decenni e decenni fa e comunque c’è sempre un pizzico di emozione rendendosi conto della fortuna che si ha avuto. Per non parlare del periodo di Sacchi, quella è stata la squadra più bella in assoluto composta da grandissimi campioni ma Arrigo ha cambiato la mentalità, il modo di vedere il calcio. Ogni volta che parli con lui, cerca di portarti dalla sua parte, nel senso che il calcio deve mostrare la bellezza, quindi il fatto di essere offensivi, di cercare di soddisfare il tifoso con i gesti tecnici».

– Dal punto di vista umano qual è stata la situazione più difficile e toccante che si è trovata a raccontare?

«Nel ’97 (il 26 settembre, ndr) quando vi fu il terremoto in Umbria, c’era stata la scossa durante la notte e la si era avvertita anche a Roma. Il mattino dopo con una troupe dovevo andare in Umbria a intervistare Fabrizio Ravanelli e quindi partimmo ma si verificò una seconda scossa molto forte. Il direttore del Tg1 Marcello Sorgi mi chiamò e mi disse di lasciare Ravanelli e di recarmi a Foligno. Lì sono rimasta cinque-sei giorni. Se ti occupi di sport, il tuo lavoro non ti ha mai portato in linea di massima a vivere delle situazioni così dolorose. Ma vedere queste persone, questi anziani per strada a dormire e a piangere con le case distrutte… Ho lavorato tutta la notte perché non potevamo dormire, era proprio un’esigenza quella di stare lì vicino a loro. Il primo servizio me lo ricordo molto bene, era un pezzo che arrivava dall’anima, proprio per quello che avevo visto. Così pure subito dopo Sorgi mi mandò in Kosovo e anche lì vedere tutti questi campi con i bambini fu un’esperienza forte, proprio perché occupandomi di calcio non ero così abituata».

– Stiamo seguendo i Mondiali di Russia dal salotto di casa nostra. Cosa è mancato all’Italia?

«Ho vissuto tutto quello che è successo. È vero, questa non è una squadra forte come quelle avute in passato perché non ci sono più tanti campioni, però secondo me non siamo andati al Mondiale perché la squadra era scarsa. Le responsabilità bisogna sempre dividerle: non è stata soltanto colpa di Ventura, così come non lo è stata soltanto dei giocatori. Detto questo, dopo la partita con la Spagna per come l’Italia ha perso (3-0), per il fatto di essere stati esposti a una figuraccia, lì da un punto di vista psicologico è come se fosse crollato tutto. Noi che abbiamo vissuto tante di queste esperienze, di questi gruppi, di queste trasferte, capivamo che c’era qualcosa che non andava, non c’era il clima giusto. Affrontare la Svezia, che non è una squadra forte, e non riuscire a segnare un gol… e poi Ventura ha portato due attaccanti, Belotti e Immobile, che non stavano bene, erano anche a meno del 50% della forma perché erano reduci da infortuni».

– Un pronostico sul vincitore?

«Le favorite sono sempre le stesse: Brasile, Argentina, Spagna, Germania. La Francia è forte, l’abbiamo anche affrontata, è una squadra giovane, manca un po’ di esperienza. Quindi queste squadre sicuramente, ma le sorprese sono sempre dietro l’angolo».

– Ce la farà Mancini a riportare la Nazionale al ruolo che le competerebbe?

«Spero di sì. Di solito sono ottimista e so che ci sarà tanta strada da fare perché bisogna far crescere bene questi giocatori. Magari non saremo al livello del Brasile, però ce la potremo giocare…».

– Lei è stata la prima donna a realizzare servizi per 90° Minuto. È contenta del fatto che possa andare ancora in onda, sebbene dalle 19 della domenica?

«Adesso mi occupo di altre cose però sono felice che questa storica trasmissione (in onda dal 1970, ndr) continui ad andare in onda perché sarà un’opportunità per milioni di persone che seguono la Rai e non hanno l’abbonamento a Sky».

– Il main sponsor del campionato di Serie A aveva come motto “Il calcio è di chi lo ama”. Oggi il calcio è di chi lo paga, non trova?

«Purtroppo questo è il business, non c’è niente da fare. Eppure la Rai continua a essere molto seguita: pur non avendo le possibilità che ha Sky ovviamente – perché loro pagano un sacco di milioni di euro per avere delle esclusive ed è giusto che ci sia un embargo – tuttavia ogni domenica fino all’ultima stagione 90° Minuto era seguito da 1,5 milioni di telespettatori con il 10-11% di share. Secondo me anche la tv che detiene i diritti si rende conto di questi numeri e quindi mette ulteriori paletti, perché spendendo tanti soldi è consapevole di quanto sia significativo il fatto che la Rai continui ad avere un ascolto così alto. 90° Minuto è stato difeso e sono contenta che anche ad alto livello si siano resi conto di quanto sia importante lasciare la possibilità alla Rai di trasmettere in chiaro i gol e gli highlights delle partite».

– Nel febbraio 2016 perché Totti scelse proprio lei per l’intervista nella quale si sfogò contro Spalletti che non lo faceva giocare?

«Noi abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto. Totti fa parte di una generazione che ho potuto seguire molto da vicino, perché poi piano piano gli agenti e le società hanno sempre più chiuso queste possibilità. Questo secondo me questo è un problema perché piano piano hanno allontanato i calciatori dai giornalisti, dai tifosi. Se invece si crea un rapporto, come si è creato negli anni con Totti, alla fine se devi dire qualcosa di molto importante magari scegli un giornalista di cui ti fidi di più e quindi questa reputo sia stata una manifestazione di fiducia che mi ha inorgoglito».

– Qual è stato l’episodio più bello della sua carriera professionale?

«Tra i più belli uno degli ultimi è stato proprio aver avuto il privilegio di intervistare Totti in quel momento e l’eco che l’intervista ha avuto: ne ha parlato il mondo. E anch’io mi sono meravigliata».

– E quello più brutto?

«Il doping di Alex Schwazer fu un duro colpo, perché nessuno se lo aspettava e anche lì sono stata la prima a intervistarlo precedentemente alla conferenza stampa ed è stato bruttissimo perché vederlo piangere in quel modo è stata veramente una pena per me».

– Sul suo account Twitter ha riportato una frase di Michael Jordan: “Posso accettare di fallire, ma non posso accettare di non tentare”. Quale personaggio che ancora non è riuscita a sentire le piacerebbe intervistare?

«Papa Francesco. Tre anni fa intervistai mons. Georg Gänswein sullo sport e poi il servizio andò in onda a L’Arena di Giletti. Oltre al fatto di entrare in Vaticano e di avere questa possibilità, per me è stata un’esperienza incredibile. Mi piacerebbe molto perché sono sicura che sullo sport, sul calcio soprattutto – proprio perché papa Francesco ama il calcio – riuscirei a fare una bella intervista. È uno dei miei sogni».

E allora in bocca al lupo, speriamo che questo sogno possa realizzarsi.

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