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Il commercialista che ha scelto di servire la “contabilità” divina

di LUCA PASSARINI
Giampietro Galantini e il suo impegno a San Giovanni Lupatoto

Il commercialista che ha scelto di servire la “contabilità” divina

di LUCA PASSARINI
La morte ti fa bella, recitava il titolo di una commedia degli anni Novanta: incontrando Giampietro Galantini, possiamo affermare che la morte a sé stessi per amore fa bella la propria vita. Nato il 24 febbraio 1962 e diacono da poco più di dodici anni, così ci racconta il suo incontrare la fede e questo ministero: «Non è stato un colpo di fulmine, dato che è una storia che viene da lontano, alimentata soprattutto nella parrocchia di San Giovanni Lupatoto. Nell’età dell’adolescenza abbiamo avuto dei parroci e curati molto significativi; soprattutto mons. Bruno Ferrante ci ha offerto una grande testimonianza con la sua presenza e il suo esempio, senza mai attirare a sé, bensì aprendoci al Signore e agli altri, introducendoci in particolare alla preghiera». Con il passare degli anni sono venuti meno alcuni riferimenti, ma nel frattempo è iniziata la relazione con Marta Bertoni, con cui si è sposato nel 1987: «Ci siamo trasferiti per un periodo a Pozzo e abbiamo avuto due figli, Nicolò e Tommaso; abbiamo sempre cercato di coltivare la nostra preghiera, personale e di coppia, e di partecipare alla vita di comunità, con la Messa quotidiana quando ci era possibile, e la disponibilità in varie situazioni; poi, con il ritorno a San Giovanni ci è stato chiesto dai sacerdoti, in particolare da mons. Giampietro Fasani, di inserirci nel gruppo famiglie».

Il rapporto con i pastori delle parrocchie è un elemento che torna spesso nella vita di Galantini e della sua famiglia, pure in un altro momento importante quando, attorno al 2003, mons. Osvaldo Checchini e don Luca Mazzi gli propongono l’istituzione a ministri straordinari della comunione: «In realtà all’inizio avevano chiesto a Marta, ma pian piano sono stato tirato dentro anch’io e da lì è cominciato un periodo di riflessioni. In particolare mi chiedevo se questo servizio, che svolgevo in alcune occasioni specifiche e in tempi ridotti, anche a causa dei tanti impegni lavorativi, fosse una risposta sufficiente ai doni di Dio e della Chiesa. Proprio dal confronto con i miei sacerdoti di riferimento è emerso come ci fosse un ministero particolare, quello diaconale, che non conoscevo molto, ma che ha proprio il servizio costante e perpetuo nella sua natura più profonda». Mentre Giampietro si è dato il tempo di conoscere questa realtà, ne ha da subito parlato con la famiglia, con una domanda che coinvolgeva in particolare il dialogo con la moglie: «Cosa fa il diacono più di quello che faccio oggi, come marito, padre, lavoratore, ministro straordinario e altro ancora? Vengo davvero chiamato a qualcosa di più?». Dopo tante riflessioni, le risposte sono arrivate insieme a colei che più lo ha aiutato a esaminare per bene la questione, ovvero la moglie, che – se all’inizio poteva avere dubbi su questo ministero che sembrava rischiare in qualche maniera di allontanare il marito – ben presto si è unita in una risposta comune di coppia: «Prova tu a dire di no a Gesù!».
Anche dai figli è arrivato un pieno consenso attraverso una frase ben decisa: «Se questa è la strada che ti rende felice, vai!». La verifica di questo cammino è proseguita attraverso i colloqui con mons. Ezio Falavegna, direttore della formazione ,e l’inserimento nel percorso di studi presso l’Issr San Pietro martire: «Per me che avevo una formazione da ragioneria ed economia, oltre che un impegnativo lavoro da commercialista, si trattava di entrare in un orizzonte nuovo e soprattutto di ricavarmi tempo in una settimana già piena, spesso sfruttando il sabato sera e la domenica pomeriggio rinunciando allo stare di più in comodità con la famiglia. Marta è stata fondamentale soprattutto nel portare avanti la famiglia per quei cinque anni». 
L’ordinazione diaconale è avvenuta il 7 dicembre 2010 e ha portato con sé dei frutti visibili da subito, soprattutto in famiglia, come racconta lo stesso Giampietro: «La logica del servizio in cui il sacramento mi ha immerso, mi ha donato grande gioia; l’occuparmi degli altri mi ha portato ad essere meno cupo ed assorto nelle mie preoccupazioni; l’obbedienza che ho promesso alla Chiesa ha allargato la mia visione della vita e cambiato il mio modo di essere sposo, padre, ma anche figlio e amico. In particolare mi sono ritrovato – quasi senza accorgermene – ad essere più affidabile e presente per i figli, oltre che un marito che ha scoperto con ancora più chiarezza la forza del sacramento delle nozze. Non vedo conflitto o incompatibilità tra diaconato e matrimonio, ma anzi nella nostra esperienza si completano in maniera perfetta, con la vita di famiglia che ti offre una visione e una prospettiva differente, oltre che una diversità in termini di tempi ed orari, che arricchiscono il modo di pregare, predicare, accompagnare le persone. In fin dei conti non mi vedrei diacono senza Marta e con lei ogni tanto ci diciamo che forse sarebbe importante coinvolgere ancor di più le mogli nel nostro percorso di servizio e di formazione permanente, sia perché sono fondamentali per noi sia perché cambia anche la loro vita, dato che da un giorno all’altro sono viste in parrocchia e ovunque come “le spose dei diaconi”». Il suo attuale collaborare nella comunità cristiana di San Giovanni Lupatoto per lui ha soprattutto un punto fondamentale: «Non importa quello che faccio, ma come sono e in particolare non voglio essere pietra d’inciampo rispetto ai pastori, né rispetto alla comunità; che mi venga chiesto qualcosa in più da fare o meno, desidero prima di tutto essere uno che vive affetto, rispetto, collaborazione, sincerità verso tutti. D’altronde in un brano biblico per me molto caro, quello dell’incontro del Risorto con Pietro alla conclusione del Vangelo secondo Giovanni, quello che emerge come base di tutto è l’amore: “Mi ami tu?”; questa è la domanda che mi lascio continuamente rivolgere dal Signore e che poi mi apre al servizio come diacono».

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