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"Una vita da prete": abbiamo incontrato mons. Roberto Tebaldi

di LUCA PASSARINI

«Volevo essere sacerdote fin da bimbo», ci racconta. Inizia con lui il nostro viaggio fra i sacerdoti 75enni 

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"Una vita da prete": abbiamo incontrato mons. Roberto Tebaldi

di LUCA PASSARINI

Tra pochi mesi giungerà a compiere la fatidica età dei 75 anni mons. Roberto Tebaldi, dal 2015 parroco di Sandrà. Il compleanno è il 1° novembre e per questo ci sottolinea come ha già comunicato al vescovo Giuseppe Zenti la disponibilità a rinunciare a questo ufficio prima dell’inizio del prossimo anno pastorale, ma lasciando ogni decisione a lui, per il bene della comunità parrocchiale. Di certo desidera continuare a mettersi in aiuto della Chiesa veronese, come e dove ci sarà bisogno e si riterrà più opportuno, consapevole che l’identità di presbitero non se ne va in pensione.
«D’altronde – ci spiega don Roberto – ho sempre voluto fare il prete, fa parte dei miei primi ricordi, fin da quando avevo 5-6 anni. Non c’è stato in particolare nessuno che me ne abbia parlato o che mi abbia orientato a questo, né genitori né sacerdoti della mia parrocchia di San Martino Buon Albergo. Ho sempre avuto quell’idea e sono sempre andato dritto».
Una linea dritta è proprio l’immagine che secondo mons. Tebaldi può rappresentare la sua vita e la sua vocazione: «Tutto è dentro una continuità, in cui leggere pure i momenti più complessi». I genitori si sono incontrati a San Martino, dove le famiglie erano scese in cerca di lavoro dalle montagne, rispettivamente da Campofontana (ramo paterno) e da Erbezzo (materno). Si mantenevano modestamente grazie all’impegno di mezzadro e domestica. Otto anni dopo la nascita della primogenita, ecco l’attesa per il secondo figlio, che quasi si tramutava in un dramma: «Mi hanno sempre presentato quel momento come qualcosa di praticamente miracoloso. Alla nascita, sembrava dovessimo morire sia io che mia mamma. Ci siamo invece salvati e da sempre, quando recito il salmo 139, non posso che commuovermi pensando all’amore di quel Dio che mi ha fatto come un prodigio e da sempre si è preso cura di me».
All’età di 11 anni fa il suo ingresso in Seminario minore, insieme a un gruppo numeroso della sua parrocchia, tra cui l’amico e futuro vescovo Giuseppe Zenti. Nell’adolescenza ha dovuto fare i conti con la perdita prima della madre e poi del padre, trovando di fatto una nuova famiglia in quella della sorella e vivendo in comunità formativa a San Massimo un’esperienza molto positiva, che ci dice essere stata ben lontana dall’immaginario di un posto difficile e rigido.
«Ancora più belli, poi, gli anni della formazione in Seminario maggiore. Era il tempo del Concilio Vaticano II che si respirava a Verona con la presenza di un pastore-padre conciliare come mons. Giuseppe Carraro, dei testimoni viventi che venivano invitati a tenere conferenze, dei parroci che ce la mettevano tutta per aggiornarsi, dei curati che scalpitavano».
In questo clima, ricorda don Roberto, nacque anche lo Studio teologico San Zeno, con le migliori menti teologiche della Diocesi dei diversi istituti veronesi che si unirono: «I professori ci presentavano le nuove materie, ci distribuivano le dispense perché i nuovi testi non esistevano ancora. In generale poi è stato un grande colpo di vento, vivo e fresco. Il Concilio ci ha messo tra le mani la Parola di Dio che prima non conoscevamo per niente, ci ha donato un’ecclesiologia di comunione, ci ha offerto uno sguardo positivo sulle realtà mondane, ci ha fatto capire l’importanza della luce più della lucerna, che può apparire anche un po’ sgangherata».
Dopo l’ordinazione presbiterale, don Roberto è stato inviato come vicario parrocchiale a Caprino (1971-1974), a San Giovanni Evangelista (1974-1980) e a Garda (1980-1983): «Nella seconda parrocchia in particolare ho vissuto una bellissima esperienza, perché erano gli anni in cui potevi godere di gruppi giovani, fidanzati, giovani coppie. Ho cercato di dare, ma soprattutto ho ricevuto molto, come maturità umana ed esperienza di fede, come gusto della vita».
Tratti in comune, questi, con gli anni in parrocchia a Pozzo, vissuti inizialmente come vicario adiutore (dal 1983) e poi come parroco (1990-1994): «Nel cambio di ufficio si sono aggiunte anche le questioni amministrative, con tutta la loro complessità, di certo ulteriormente aumentate dal progetto di costruzione della nuova chiesa parrocchiale. Si è rivelata comunque una bella avventura, in tutti i sensi, soprattutto perché la comunità intera si è compattata, si è data da fare, ha amato questa storia».
L’allora vescovo Nicora lo inviò quindi a Povegliano (1994-2004): «Mi aveva preannunciato che sarebbe stato una sorta di riposo dopo quelle fatiche, ma in realtà non sono mancate le complessità, con il bisogno di sbrogliare alcune matasse, soprattutto legate ad alcuni immobili e alle pertinenze del Santuario della Madonna dell’Uva secca; per fortuna anche in questo caso non è mancato il sostegno delle persone attorno, con cui abbiamo potuto camminare verso soluzioni almeno accettabili».
Superati i 50 anni, poi, non sono venute meno le sorprese e due esperienze del tutto nuove: «Nel 2004 sono stato nominato parroco di Santa Maria Immacolata e così per la prima volta, da uomo e prete di paese, mi sono confrontato con la città, vivendo la fatica all’inizio di coglierne dinamiche e modalità. Ho avuto anche la fortuna di avere al mio fianco giovani preti e seminaristi davvero in gamba, pieni di entusiasmo ed energia; ma a ben pensarci questa è stata una costante nelle diverse parrocchie e anche con alcuni che poi hanno lasciato il ministero».
E poi il vescovo Zenti lo ha nominato vicario episcopale per la pastorale diocesana e assistente unitario dell’Azione cattolica diocesana (2011-2015): «Sono stati anni complessi come servizio, ma che mi hanno fatto ulteriormente appassionare della vita della Chiesa e dei sacerdoti».
Infine l’ufficio di parroco a Sandrà: «Una comunità viva e con tante persone disponibili. Sono presto pensionabile e non mi dispiace. Questi ultimi tempi di pandemia, inoltre, mi hanno quasi preparato, riscoprendo tempi lunghi di silenzio, lettura, preghiera».
Senza volersi porre come maestro, mons. Roberto Tebaldi condivide alcuni aspetti importanti vissuti e compresi nella sua vita da prete: «Bella importanza ha sempre avuto per me la fraternità sacerdotale e in particolare la partecipazione alla vita di classe con i compagni di ordinazione; avanzando l’età, questa diventa ancora più necessaria e allo stesso tempo ci si trova più gusto. Inoltre il coltivare il desiderio di tenermi aggiornato, perché ti permette di avere una mentalità elastica. Infine, ma non perché meno importante, la necessità come preti di essenzializzare: è un ritornello che torna continuamente nelle riunioni tra preti e un aspetto su cui sto molto riflettendo. Da una parte vuol dire avere come obiettivo – mai verificabile del tutto, ma almeno presente come orizzonte – di andare all’essenziale, ovvero all’annuncio del Vangelo in ogni esperienza e proposta che si fa, che può essere un Grest, una riunione, una gita o una processione. Dall’altra parte significa stare in seconda fila, non dover essere protagonisti come clero o dover dimostrare chissà cosa, perché i laici possano davvero andare davanti».

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