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«La Georgia guarda a Occidente, la politica invece verso la Russia»

di Paolo Annechini

Mons. Giuseppe Pasotto, stimmatino di Bovolone, ha festeggiato il venticinquesimo di episcopato

«La Georgia guarda a Occidente, la politica invece verso la Russia»

di Paolo Annechini

Domenica 11 maggio mons. Giuseppe Pasotto (nella foto), stimmatino, Vescovo titolare di Musti, Amministratore apostolico del Caucaso dei Latini con sede a Tbilisi, in Georgia, ha celebrato in un santuario Madonna di Lourdes gremito di gente, la Messa di ringraziamento per i suoi 25 anni di ordinazione episcopale. Originario di Bovolone, sacerdote stimmatino dal 1979, è partito missionario in Georgia nel 1994. Nel 1996 è diventato Amministratore apostolico e il 6 gennaio 2000 nella basilica vaticana di San Pietro, Giovanni Paolo II lo ha consacrato vescovo. 

– Mons. Pasotto, un bilancio di questi 25 anni di episcopato nel Caucaso…

«Fare un bilancio è molto difficile. Mi vengono tre semplici riflessioni: primo, sono stato contentissimo, amo questa Chiesa e credo che, come tutte le Chiese, valga la pena amarla; secondo, in questi 25 anni il Signore mi ha messo accanto persone che si sono coinvolte con me, che hanno sognato con me e anche sofferto con me nelle decisioni fatte, nelle cose che abbiamo vissuto; terzo, una Chiesa, quella di Georgia,  benedetta anche da due viaggi del Papa (Giovanni Paolo II nel 1999, Francesco nel 2016, ndr) che noi abbiamo sempre sentito come conferma del cammino intrapreso».

– Come avevate iniziato nel 1994?

«Con una grande attenzione alla povertà: il primo momento, quando io e padre Gabriele Bragantini siano arrivati, è stato veramente difficile. La Chiesa cattolica non aveva niente, avevamo solo un piccolo appartamento a Tbilisi, che il Nunzio ci aveva messo a disposizione; c’era solo una chiesa aperta, tutte le altre chiuse o occupate, una situazione sociologica disastrosa. Noi abbiamo condiviso la vita con e tra la gente. Il primo momento è stata l’attenzione ai bisogni, alla povertà che era davvero grande e da subito ci siamo attivati per far partire la Caritas. Il secondo momento è stata l’attenzione alla pastorale, mettendo in movimento le strutture, dalle parrocchie ai consigli pastorali, alle varie commissioni. Il terzo momento è stato l’impegno culturale dentro la società e la cultura georgiana. Da quando è nata la nostra università si sono creati ponti, si è creato un confronto con chi è dall’altra parte e questo aiuta tutti». 

– Gioie e difficoltà…

«Le gioie sono tante perché la vita della Chiesa dona gioia. Ci sono anche tanti problemi e tante sofferenze vissute. Riferendomi all’immagine del Buon Pastore, una delle fatiche è far capire che i recinti servono per proteggere le pecore, non per rinchiuderle in un certo posto. Dobbiamo aprire, anche non sapendo esattamente dove questo ci porta. In Georgia ho sperimentato quello che ci dice papa Francesco nell’Evangelii gaudium: è più importante far nascere processi che occupare territori. Il processo è generativo, fa nascere vita; il recinto ti fa sentire sicuro, si basa sulle tradizioni, che spesso si trasformano in fatica e chiudono alle possibilità che ci sono oggi».

– Com’è la Chiesa cattolica oggi in Georgia? 

«Non siamo cresciuti numericamente, ma questo non è mai stato il nostro obiettivo, anche per questioni legate al proselitismo di altri e ad un rapporto anche giuridicamente non sempre facile con il mondo ortodosso. In questi anni abbiamo fatto enormi passi in avanti nel dialogo con il mondo georgiano. Come dicevo prima, con l’università, con la Caritas, con commissioni governative nelle quali siamo presenti: oggi abbiamo un ruolo e ci chiedono cosa pensiamo, qual è la nostra posizione. Vent’anni fa era uno scenario impensabile». 

– Dove sta andando la Georgia?

«La Georgia, per la sua storia, è un Paese che ha aspirazioni europee, guarda ad Occidente. Però oggi la politica guarda nella direzione opposta, a Oriente, alla Russia. Per questo c’è un forte conflitto, e lo dimostra il fatto che tutte le sere, da quattro mesi, dalle elezioni del Parlamento, ci sono manifestazioni in piazza. Tutte le sere! Temo però che la protesta non cambi nulla, e questo sarebbe un grande problema».

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