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Don Gianluca Colato: «Per essere credibili dobbiamo stare con la gente senza paura»

di STEFANO ORIGANO

L'esperienza del sacerdote veronese che a Cerea dirige la Fondazione Madonna di Lourdes

Don Gianluca Colato: «Per essere credibili dobbiamo stare con la gente senza paura»

di STEFANO ORIGANO

Don Gianluca Colato, sacerdote veronese di 56 anni e prete da 31, a Cerea ha dato vita a una iniziativa che cerca di rispondere alle domande di aiuto, anche le più disparate, che provengono dal territorio. L’opera è partita con i primi lavori nel 2002 grazie al lascito di una cascina dismessa, nel 2007 ha iniziato le prime accoglienze; è costituita come Organizzazione non lucrativa di utilità sociale e si chiama Fondazione Madonna di Lourdes Onlus.

– Don Colato, come ha avuto origine l’opera che dirige?

«La nostra terra è il cielo: non è difficile guadagnarsi il paradiso: dare da bere, dare da mangiare, vestire chi è nudo, Gesù è un maestro che non insegna geografia o matematica, è un maestro che insegna a vivere e parla della vita eterna. Ci ha consegnato un compito da svolgere. Come a scuola. Titolo del tema: Il giudizio universale. Svolgimento: dar da bere, da mangiare, da vestire… Il voto sarà positivo o negativo in base a quanto abbiamo messo in pratica. 

Che bravo che è Gesù, ci dà il titolo, svolge anche il tema, resta solo da mettere la buona volontà, Lui suggerisce tutto. Però ci interrogherà su questa pagina, su quello che abbiamo fatto o non abbiamo fatto. È difficile dar da bere, visitare un ammalato, dar da mangiare? Lo possiamo fare tutti! In questa pagina del Vangelo e in altre come quella del buon samaritano, quando il dottore della legge chiedeva cosa bisogna fare per avere la vita eterna, Gesù insegna che bisogna prendersi cura con amore del prossimo. Abbiamo preso spunto da queste pagine perché è con l’amore che usiamo su questa terra che possiamo già pregustare il paradiso. Questo è quello che vogliamo fare per “avere un bel voto” quando incontreremo Gesù».

– Perché la dedica alla Madonna di Lourdes? 

«Dico sempre che, come tutte le donne, anche la Madonna ha tanti vestiti, ma è sempre la stessa. Lourdes è stata meta di tantissimi pellegrinaggi per me e per molti che mi hanno accompagnato e ho potuto vedere molti miracoli. Inoltre penso sempre a questa storia: “Si sussurra in cielo che presentandosi un grande peccatore alle porte del Paradiso, san Pietro l’abbia respinto, ma questi non si mosse e volle che Pietro parlasse con Dio Padre. Alle sue insistenze Pietro parlò con il Signore, il quale gli disse di non farlo entrare. Nel giro quotidiano in Paradiso un giorno il Signore scorse il grande peccatore comodamente seduto sotto un albero. Allora chiamò subito san Pietro e ne chiese la ragione, questi balbettando sussurrò all’orecchio del Signore: ‘Sembra che le chiavi d’entrata le abbia anche tua Madre…’”. Una mamma farebbe di tutto per un figlio indipendentemente da quello che combina, per cui chi meglio di Maria può assistere e proteggere noi e questi miei ragazzi?».

– Quali ostacoli avete dovuto superare e quali sostegni vi hanno convinto ad andare avanti?

«Nei momenti più difficili, credo di aver trovato sempre persone che mi hanno dato fiducia e aiuto per continuare, ho avuto anche segni importanti nonostante qualcuno insistesse dicendo: “Sei sicuro? E i soldi dove li trovi? E se poi non funziona? E dopo di te chi porterà avanti...?” e sono serviti a farmi capire che nonostante tutto e tutti dovevo continuare; sono stati incontri preziosi per tracciare la strada: “Dio aprirà una via dove sembra non ci sia”. Le domande servono per capire i problemi, ma la fede supera gli ostacoli: quello che sembra difficile subito, se ci credi e ti fidi, poi diventa facile».

– Quali persone l’hanno guidata, sostenuta, aiutata?

«Dovrei ringraziare tante persone: benefattori che hanno investito, non solo economicamente; il sindaco di Cerea di allora che ha dato fiducia a un pretino giovane; chi ha scommesso con me per questo progetto senza farsi tante domande, ma lavorando insieme. A livello economico grazie a tante persone che hanno donato e donano anche il poco, ma che condiviso fa molto e a qualche contributo di Cariverona e Regione Veneto».

– Quali sono gli ambiti che caratterizzano la vostra attività?

«Inizialmente abbiamo accolto mamme sole con bambini e zingari; attualmente accogliamo persone con disabilità lieve, situazioni di disagio sociale, persone che hanno fatto uso di sostanze e dopo un percorso riabilitativo non sono ancora in grado di avere un’autonomia e magari non hanno familiari che li possono accogliere o accudire, qualche ragazzo migrante, un giovane down, qualche persona agli arresti domiciliari. L’accoglienza è di  diverse tipologie: povertà di “tasca” e di “testa”. Abbiamo 34 stanze per ospiti residenziali autosufficienti che hanno bisogno di essere accuditi, soprattutto chi inizia ad avanzare con l’età. Siamo una grande famiglia con tutto quello che comporta con componenti di diverse generazioni. Oltre alla parte residenziale c’è un laboratorio per le attività dedicate all’inserimento lavorativo. Alcune ditte del territorio ci forniscono lavori di assemblaggio che sono svolti dai nostri utenti e da ragazzi di altre associazioni con cui collaboriamo. È in essere una convenzione con il Sil (Servizio di integrazione lavorativa dell’Ulls 9) e con l’Uepe (Ufficio per l’esecuzione penale esterna) di Verona. Questo progetto di inserimento lavorativo ha l’obiettivo di educare i ragazzi sull’atteggiamento da tenere nelle situazioni di lavoro: cura, attenzione, rispetto degli orari e dei colleghi, eseguire gli incarichi con continuità, stimolarli a migliorare le proprie capacità e per qualche caso orientarli possibilmente a inserimenti lavorativi presso altre aziende. Agli ospiti residenziali e a quelli diurni forniamo giornalmente il servizio mensa.

Un altro progetto attivo da oltre un anno è la casa “Dono di Maria” che ospita attualmente 15 persone con disabilità psichica. Questo progetto che richiede assistenza h24 è reso possibile grazie alla collaborazione con la Cooperativa Don Angelo Righetti, che fa parte della rete di associazioni con le quali collaboriamo. Facciamo rete inoltre con la Cooperativa Anderlini di Cerea, la Cooperativa Girasole di San Pietro di Legnago, la Casa Volante di Legnago (associazione di genitori che si occupa del “dopo di noi”), la Piccola fraternità di Legnago e la Fondazione Franchin di Montagnana. Insieme collaboriamo per aiutare i ragazzi con l’inserimento occupazionale, il teatro, la musica. Noi abbiamo gli spazi, le associazioni vengono da noi con i loro operatori e così, unendo le forze, riusciamo a fare belle cose, rimanendo comunque ognuno con la propria identità».

– Quale spiritualità vi anima e come intendete la carità?

«“Da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli”: la nostra spiritualità nasce dal servizio concreto, prendiamo esempio da san Francesco credendo nella Provvidenza e aggiungiamo l’esempio di un altro santo, san Benedetto: preghiera e lavoro».

– Quanti sono i volontari e come si sono accostati a questa iniziativa?

«Attualmente collaborano e risiedono in comunità 10 persone, ci sono anche 10 dipendenti che lavorano in cucina, lavanderia e nel capannone con i ragazzi coadiuvati da un gruppo di volontari che si alternano, chi abbastanza assiduamente chi meno. All’inizio alcuni parrocchiani di Cerea, dove ho svolto più recentemente il mio ministero sacerdotale, hanno creduto a questo progetto, qualcuno è arrivato in aiuto anche dalle parrocchie dove ero stato precedentemente, poi si sono aggiunti altri volontari un po’ per passaparola. Alla fine rimane chi si affeziona della comunità o meglio delle persone. I dipendenti che ci sono attualmente possono garantire che non lo fanno solo per “lavoro” ma per scelta, per passione per l’uomo, per un credo cristiano. Lo stesso per i volontari. Non è sempre facile, ma per chi ci crede tutto si supera. Sono le nuove vocazioni».

– Quali sono i progetti futuri?

«Il nostro impegno si riassume in questo: nelle attività che ho brevemente descritto, nell’accoglienza, nell’ascolto, nella preghiera. Non dobbiamo salvare il mondo, dobbiamo amarlo. Non penso ad espandermi in altre zone, ma di concentrare qua, in questo piccolo paese, la nostra missione. Riusciamo ad essere famiglia, seppur grande, finché ci possiamo conoscere, avere complicità, volerci bene. Tra i nostri progetti futuri c’è anche quello di fare delle camere su dei vagoni ferroviari che ci sono stati donati. Anche le cose che sarebbero scarto possono diventare opportunità. La nostra grotta di Lourdes era una discarica ed è diventata un santuario, d’altronde anche il Salvatore è nato in una stalla. Questa nostra casa era un rudere dismesso ed ora è un luogo di accoglienza». 

– E l’impatto della vostra presenza sul territorio?

«Come tipologia di comunità siamo atipici. Le altre realtà sono specializzate, con una finalità ben delimitata cioè o per disabili, per tossicodipendenti, per anziani ecc. Noi a offriamo accoglienza a 360 gradi, naturalmente da valutare in base alle necessità che le persone richiedono e alle nostre capacità di affrontare le problematiche che si presentano. Non siamo convenzionati con l’ente pubblico per scelta, perciò possiamo agire abbastanza autonomamente senza grossi vincoli. Certamente le organizzazioni accreditate hanno personale più specializzato, il nostro è “speciale”; gli altri non possono permettersi di ospitare a zero retta, noi possiamo decidere in base alle possibilità della persona e alla disponibilità dei volontari. La Provvidenza non ci ha mai abbandonato e inoltre credo che la Madonna non deciderà mai di fare fallimento proprio qui. Invece sono tanti che ci vogliono bene e ci aiutano perché questa idea è grande e piace a Dio, a Maria e agli uomini e donne di buona volontà».

– Come coniuga questo impegno con gli altri incarichi?

«È un grosso impegno, ed è sempre in crescita, per cui assorbe molto del mio tempo. Ringrazio il compianto vescovo di Verona padre Flavio Roberto Carraro che ha capito la mia voglia di mettermi in gioco con queste persone attraverso un’opera di carità e mi ha concesso di svolgere il ministero anche nella piccola parrocchia di Santa Teresa in Valle».

– Quanto è importante il riconoscimento istituzionale di questa iniziativa e quanto operare senza  troppi vincoli?

«È importante che la Chiesa riconosca queste opere e investa in esse, nel senso delle persone, lasciando alla comunità la propria identità, ma invogliando giovani, seminaristi a collaborare per un’eventuale scelta di vita. È importante lavorare per le persone, ascoltare le loro vite, prendersi carico dei loro problemi, fare il possibile per loro, soprattutto dare attenzione e cercare di capire tante situazioni difficili. Troppa istituzione non fa bene, spesso blocca quel che si potrebbe fare».

– Lei è sacerdote da più di 30 anni, cosa vorrebbe dire ai giovani seminaristi e a coloro che sono giunti al traguardo dell’ordinazione sacerdotale?

«Direi loro, prendendo spunto dai nostri vecchi, che “la carità l’è la mejo ciapà” (“la carità è la meglio compresa”), perché credo che per essere credibili dobbiamo stare con la gente, capire le loro esigenze, metterci nelle scarpe degli altri anche se non è facile camminarci. Mi piacerebbe far passare il messaggio che non siamo istituzioni con tanti riti e poi porte chiuse, ma siamo aperti all’uomo, vicini ai poveri. Chiedo loro di investire sui giovani, guardando a questa società che è cambiata e continua a cambiare velocemente. Talvolta siamo fermi sul territorio, ci ripariamo dietro le istituzioni e le regole, mentre non dobbiamo aver paura di affrontare i problemi, di avere uno sguardo rivolto anche ai lontani, a chi non frequenta, a chi è separato o ha altri motivi per cui spesso viene messo al bando proprio dalla Chiesa che si dice “misericordiosa”».

– Un pensiero conclusivo e un messaggio che lancia ai nostri lettori…

«Non possiamo salvare il mondo, ma possiamo amarlo. Diceva madre Teresa che non servono grandi cose ma mettere amore in quello che si fa. A noi piacciono le sfide e l’opportunità che ho avuto con questa comunità mi permette, con chi mi segue, di accettarle e metterci la fede in Dio e l’amore per l’uomo». 

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