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Uno spiraglio di pace per una Libia divisa e invasa da altre potenze

di ANDREA DI FABIO

Dopo un decennio dalla fine di Gheddafi e continui scontri. Il Paese è allo stremo ha perso il 78% del proprio Pil in 10 anni

Parole chiave: Gheddafi (1), Scontri (1), Libia (2)
Uno spiraglio di pace per una Libia divisa e invasa da altre potenze

di ANDREA DI FABIO

A dieci anni dall’inizio del conflitto, la Libia prova a fare un primo passo fuori dalla crisi. Dopo i negoziati iniziati a seguito del cessate il fuoco firmato nell’ottobre 2020, i 75 membri del Forum di dialogo politico libico (Lpdf) – un organo creato dall’Onu con l’obiettivo di coinvolgere tutti gli schieramenti – hanno eletto a febbraio Mohamed Ahmed al-Manfi e Abdul Hamid Dbeibah alla guida, rispettivamente, del Consiglio presidenziale e del nuovo governo di unità nazionale: le due istituzioni hanno il compito di traghettare il Paese verso le elezioni fissate per il prossimo 24 dicembre.
Il 15 marzo l’esecutivo, il primo unitario dal 2014, ha giurato di fronte al Parlamento. Sulla carta dovrebbe sostituire i governi che negli ultimi anni si sono divisi il controllo della Libia: quello di Fayez al Serraj, con sede a Tripoli; e quello di Tobruk, che faceva riferimento al maresciallo Khalifa Haftar.
Il premier Dbeibah ha scelto una squadra ampia per garantire la rappresentanza geografica di un territorio frammentato: il nuovo esecutivo sarà composto da 27 ministri, 6 sottosegretari di Stato e 2 vice-primi ministri, e le donne occupano il 30% delle cariche.
Il riconoscimento delle nuove istituzioni potrebbe rappresentare la via d’uscita da un decennio di guerre, violenza e anarchia: pochi Paesi riflettono la tragedia della Primavera araba come la Libia. Le proteste del 2011 – sostenute dalla Nato – hanno portato alla caduta del quarantennale regime di Muammar Gheddafi, inaugurando però un periodo di forte instabilità, durante il quale governi regionali, gruppi armati e potenze straniere hanno combattuto aspramente per assicurarsi il controllo di un territorio strategico, ricco di risorse naturali e situato nel cuore del Mediterraneo.
Dopo le prime fasi del conflitto, i Paesi occidentali hanno progressivamente voltato le spalle alla popolazione libica, mentre i tentativi delle Nazioni Unite di giungere a un accordo di pace sono naufragati uno dopo l’altro: in meno di dieci anni si sono succeduti sei inviati speciali senza ottenere alcun successo.
L’incapacità di trovare consenso per la creazione di un nuovo governo si è tradotta in una frammentazione interna sempre più profonda, culminata nella divisione del Paese in due amministrazioni: il Governo di accordo nazionale (Gna) con sede a Tripoli; e la Camera dei rappresentanti di Tobruk, nella regione orientale della Cirenaica, sostenuta dall’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar. Il coinvolgimento militare di potenze straniere con obiettivi strategici divergenti ha reso ancor più difficile la risoluzione del conflitto: a fianco di Haftar si sono schierati Russia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti; mentre a sostegno del Gna sono scesi in campo Turchia e Qatar.
Dopo anni di guerra, il processo di pace ha compiuto un primo timido passo in avanti il 23 ottobre 2020, quando le Nazioni Unite hanno annunciato il raggiungimento di un accordo per un cessate il fuoco permanente. Il patto è stato siglato dalla Commissione militare congiunta 5+5 (formata da cinque ufficiali del Gna e cinque del Lna) a Ginevra, in Svizzera. La firma dell’accordo è stato il preludio per il raggiungimento del compromesso di febbraio su un esecutivo di unità nazionale, che traghettasse il Paese verso nuove elezioni.
Se gli ultimi sviluppi fanno sperare in una possibile risoluzione pacifica della guerra, la situazione sul campo continua a rimanere complessa: sul nuovo governo gravano quattro pesanti incognite.
La prima riguarda la figura del nuovo premier. Secondo indiscrezioni riprese da diversi media, Dbeibah – che è uno degli uomini più ricchi della Libia – sarebbe al centro di episodi di corruzione. A febbraio il capo dell’esecutivo avrebbe versato delle tangenti nelle tasche di alcuni membri del Lpdf per assicurarsi il loro voto. I dettagli della vicenda sarebbero inclusi in un rapporto confidenziale sviluppato dalle Nazioni Unite. La pubblicazione del dossier, prevista per i prossimi giorni, rischia di delegittimare la figura dello stesso Dbeibah, che finora ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda, minando le fondamenta del percorso di riconciliazione.
La seconda incognita riguarda la natura stessa del conflitto, trasformatosi in una guerra per procura combattuta non solo a Tripoli o Tobruk, ma anche a Mosca, Ankara e Abu Dhabi. Le potenze coinvolte hanno investito molto nella guerra in termini di risorse militari ed economiche: un accordo tra le parti che non garantisse un tornaconto rischierebbe di vanificare anni di sforzi e quindi di compromettere la stabilità del Paese nel medio-lungo periodo. Secondo le stime dell’Onu, i mercenari stranieri presenti attualmente in Libia sarebbero circa 20mila unità: la loro presenza è considerata una delle principali cause della prosecuzione del conflitto e un pesante ostacolo sulla via della pace.
Paesi come Turchia, Russia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Qatar non hanno mai rispettato l’embargo internazionale sulla fornitura di armamenti in vigore dal 2011. L’ultimatum per un ritiro delle forze militari internazionali – previsto per il 23 gennaio 2021 nel quadro dell’accordo tra le due controparti firmato nell’ottobre 2020 – è di fatto passato inosservato, nonostante le proteste di Nato e Stati Uniti.
A rendere particolarmente impervio il cammino del nuovo esecutivo è anche la profonda militarizzazione del Paese. Per avere qualche chance di successo, il dialogo politico-istituzionale dovrà coinvolgere anche le componenti militari attive nel conflitto. A oggi, nonostante i passi in avanti fatti dal Lpdf, i rapporti all’interno del Comitato militare congiunto 5+5 rimangono tesi. Se il governo di unità nazionale vuole avere un futuro, è chiamato a mettere in cima alla lista delle priorità un accordo stabile e duraturo che miri a ricompattare le fila dell’esercito libico.
In queste settimane le tensioni tra le parti sono di nuovo salite alle stelle per la riapertura della strada costiera tra Misurata e Sirte, dove prosegue il difficile lavoro di sminamento. Sono i primi passi di un lungo e difficile percorso di normalizzazione interna, che dovrà necessariamente passare per una progressiva smilitarizzazione del territorio fino ad arrivare al ripristino della legalità e della giustizia per i crimini di guerra commessi in questi dieci anni.
La quarta incognita riguarda, infine, la mole di lavoro che il nuovo governo è chiamato ad affrontare. La guerra, la corruzione e la cattiva gestione hanno causato il collasso dei sevizi essenziali: solo la metà delle centrali elettriche del Paese è funzionante; le infrastrutture idriche, soprattutto nell’area di Tripoli, sono state manomesse dall’esercito di Haftar e numerosi ospedali sono stati distrutte o danneggiati dai combattimenti. Secondo l’Onu, un milione di persone necessita di assistenza umanitaria e gli sfollati interni sono circa 300mila, con la pandemia ad aggravare ulteriormente la crisi.
Dal punto di vista economico, il Pil (che dipende quasi esclusivamente dalla rendita del settore petrolifero) è precipitato di circa il 40% solo nel 2020, mentre il prodotto interno lordo pro capite è sceso di 78 punti percentuali in dieci anni. Il deterioramento delle condizioni fiscali ha imposto al governo di Tripoli una revisione della spesa pari al 22%, tagliando in particolare i salari pubblici del 20% a partire dall’aprile 2020. Secondo la Banca Mondiale, poi, la struttura che regola la spesa pubblica nell’amministrazione della capitale è una delle meno efficienti al mondo.
La nascita di un nuovo esecutivo è solo il primo di una lunga serie di passi che la Libia dovrà compiere per lasciarsi definitivamente alle spalle un decennio di caos, coinvolgendo non solo gli attori locali ma anche le potenze straniere. Il ruolo e la volontà dei Paesi occidentali e della comunità internazionale saranno fondamentali per garantire un ritorno alla pace e per provare a scrivere un futuro diverso per milioni di persone.

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