Com'è dura essere donne in certe parti del mondo
di Adriana Vallisari
Perseguitate o private dei diritti in Afghanistan, Iran, India...

di Adriana Vallisari
Che fortuna essere donna, in Occidente, nel 2025. È il pensiero che serpeggiava nella platea del recente incontro organizzato da Coldiretti Donne Verona sul tema della condizione femminile nel mondo. Un pensiero inevitabile, ascoltando il resoconto della fotografa freelance bergamasca Silvia Alessi, ospite della serata, e soprattutto guardando le sue fotografie, così incisive e dirette, che testimoniano le battaglie per la libertà (spesso solo di esistere) di donne in varie parti del pianeta.
A contestualizzare la situazione ci ha pensato Stefano Verzè, esperto di geopolitica e collaboratore di Verona fedele; all’incontro, introdotto dalla presidente di Coldiretti Donne Verona, Franca Castellani, e moderato dalla giornalista Laura Peloso, è intervenuto anche il vescovo di Verona Domenico Pompili.
«Non mi considero un’attivista, ma faccio fotografia da diversi anni e ho approfondito alcune tematiche specifiche legate alle donne», ha detto Alessi, i cui scatti, pluripremiati, sono stati pubblicati su prestigiose riviste internazionali. Con la sua macchina fotografica ha girato il globo, in particolare l’Asia, cogliendo degli aspetti particolari, come quello dei capelli delle donne, diventati un simbolo di ribellione dopo la triste vicenda di Mahsa Amini, la giovane iraniana uccisa nel 2022 dalla Polizia morale per una ciocca che usciva dal velo.
«Essendo di formazione parrucchiera, mi è stato più facile avvicinare queste donne, abbattendo le barriere linguistiche e culturali – ha raccontato –. Per esempio, sono stata nel Kurdistan iracheno, dove ho ritratto delle soldatesse peshmerga, il partito politico che fa propaganda contro il regime iraniano. In una caserma al confine con l’Iran le ho fotografate nelle loro baracche: sono ragazze normali, che ridono e scherzano dentro un dramma; i capelli che escono dal velo per loro sono un segno di libertà».
Libertà, già. «In Iran, retto da un’autorità teocratica, dove la massima autorità civile è religiosa, c’è una cultura maschilistica e patriarcale, duramente repressiva di ogni forma di dissenso, che vede nella donna l’emblema del male, da colpire e sottomettere – ha spiegato Verzé –. Ma la società iraniana è effervescente: le donne si ribellano, ci sono incontri clandestini per leggere libri, ascoltare musica, provocazioni continue quotidiane anche per strada, nonostante i rischi che corrono (arresti della Polizia morale, frustate, morte...). È l’intera società civile femminile dell’Iran che si sta ribellando a questo sistema di potere politico».
Non va meglio in Afghanistan, dove il ritorno dei talebani, nel 2021, ha fatto sì che venissero ristretti i diritti delle donne. «Mi sono imbattuta nella storia di Deborah Rodriguez, una volontaria americana che aveva fondato la prima scuola per estetiste della capitale afghana, offrendo a tante donne un’opportunità di indipendenza economica – ha raccontato la fotografa –. Col ritorno dei talebani la scuola si è spostata in Pakistan, in un luogo protetto, che ho visitato per una settimana: Deborah mi ha aiutato a convincere le rifugiate che gli scatti che avrei fatto avrebbero mostrato al mondo che loro esistono e hanno il diritto di lavorare. Hanno capito e posato col velo e i phon in alto, come fossero delle armi di difesa; un anno dopo sono andata in Afghanistan, dove i talebani hanno chiuso tutti i saloni di bellezza, e ho fotografato 10 donne che hanno dei saloni abusivi a Kabul».
Il confine tra Pakistan e Afghanistan è molto poroso, ha spiegato Verzé. «Quella afghana è una comunità tribale Pashtun, retta dalla criminalità e dalla corruzione, da violenza e terrorismo; ecco perché il Pakistan ha adottato misure dure sull’immigrazione: è un buco nero, con una miriade di gruppi terroristici locali e internazionali che fanno del Pakistan un Paese altamente a rischio».
L’obiettivo di Alessi ha immortalato anche le donne indiane più ai margini: quelle che hanno subito degli attacchi all’acido, rimanendo sfigurate, e quelle albine, vittime di scherno. «Laddove si colpiscono le donne, si colpiscono anche le minoranze – ha concluso Verzè –. Per evitare che succeda questo, l’umanità ha bisogno di un grande salto culturale, che sia espressione anche di una trasformazione politica: in Europa abbiamo fatto passi da gigante, ma non dobbiamo mai dimenticarci che la democrazia è minoritaria e i cambiamenti non sono mai naturali e spontanei».
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento