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Terzo settore, ultimo nella considerazione...

Zero fondi, zero attenzioni, zero coinvolgimento: situazione grave. Ci si è scordati completamente del Terzo settore... oppure no

Parole chiave: Coronavirus (96), Terzo Settore (19), Economia (128), Provvedimenti emergenza Coronavirus (1), Pandemia (35)
Gruppo di persone visto dall'alto forma un grande punto di domanda

La pandemia rischia di fare un’altra vittima, seppur metaforica: il Terzo settore, spina dorsale del welfare italiano. La chiusura generalizzata ha paralizzato l’attività e le entrate di quasi tutte le realtà operative, ma la cosa più grave è stato l’atteggiamento delle pubbliche istituzioni – dallo Stato alle Regioni, fino a molti Comuni – in queste settimane. Nessun fondo stanziato per venirne in soccorso, nessuna norma di sostegno, nessun coinvolgimento nel progettare un dopo che inevitabilmente creerà nuove modalità di azione (si pensi appunto alla cura e all’accudimento delle persone) e un aumento dei costi. È vero: il Terzo settore faceva già molto con poco. Ma con niente c’è solo la prospettiva di chiusura per tante realtà. È questo che si vuole?

Ops... si sono completamente dimenticati del Terzo settore...

Zero fondi, zero coinvolgimento, zero attenzioni

È andata così. Tra le tantissime cose da fare che questa colossale e inaspettata crisi sanitaria e sociale-economica ha generato – mettere gli italiani in quarantena, tenere in piedi l’Alitalia, cercare soldi in Europa, darne all’Alitalia, accordarsi con i partiti su cosa fare, finanziare l’Alitalia, programmare il dopo-virus, statalizzare l’Alitalia – ci si è scordati completamente del Terzo settore.
Càpita. Ci sono le casse integrazioni e i braccianti che mancano, i settori che vogliono ripartire e le esigenze dello jogging, le librerie da riaprire e le autocertificazioni da compilare, le elezioni da spostare e le nomine negli enti pubblici da fare (Dio non voglia che ce ne dimentichiamo! E infatti non se ne sono dimenticati, tra amici di Di Maio da piazzare e l’ex ministra Trenta sfrattata da casa di lusso da sistemare)… Alla fine si arriva esausti, può succedere che ci si dimentichi dell’assistenza ai disabili, del volontariato, delle cooperative sociali, degli asili nido, insomma di quel welfare territoriale che tiene su molti fili della nostra società.
E invece di soldi al Terzo settore ad oggi non se ne parla. Si ricapitalizzano banche decotte e linee aeree zombie, si promettono garanzie pubbliche e soldi all’economia, si allargano le maglie di redditi di cittadinanza e di bonus vari… ma niente per questo mondo che con poco fa sempre tanto. Si abitui a farlo con niente, no?
Ci siamo posti il dubbio. Si sono dimenticati (càpita, appunto. Magari il ministro competente non è tanto competente) o lo fanno apposta? Perché tra l’altro soffia una brutta aria in certe stanze di Palazzo. Tanta voglia di Stato, di pubblico. Forse anche la tentazione di stringere la canna dell’ossigeno finanziario per togliersi il peso ideologico della sussidiarietà: vuoi mettere l’occasione d’oro di spazzare via in un colpo solo tutta l’istruzione paritaria su cui si litiga da decenni?
Però no, vogliamo vedere positivo. È un caso, ora si rimedia a tutti i livelli istituzionali. L’enorme crisi che sta investendo il Terzo settore (leggete gli articoli in queste pagine) troverà conforto nel futuro prossimo, il più prossimo possibile. Magari cominciando a liquidare quel 5 per mille arretrato che è frutto della volontà dei contribuenti italiani e che è ancora impantanato nelle pieghe del bilancio statale. Magari consultando gli operatori del settore nel costruire il futuro. Perché se le modalità dovranno cambiare – ad esempio nell’accudimento delle persone, nelle distanze o altro – lo si faccia assieme a chi lavora sul campo e tenendo conto dei costi aggiuntivi che quelle necessarie scelte comporteranno. A Roma come a Venezia.
In cauda venenum. Sarebbe ora di ripensare questa “etichetta”, Terzo settore. Fa tanto scomparto di ipermercato, anello del Bentegodi, medaglia di bronzo. Chiamiamolo in altro modo, più attraente. Magari Alitalia...
Nicola Salvagnin

LA LETTERA

«Aiutateci e coinvolgeteci: teniamo in piedi il welfare italiano»

Dal Degan (Federsolidarietà): siamo trattati come serie B... 

Erica Dal Degan x sito

Sia dal tavolo nazionale che regionale, il Terzo settore è stato escluso dalla cabina di regia. E questo è successo nella fase uno e, parzialmente, nella preparazione della fase due. Non sono stati garantiti fondi sufficienti per salvaguardare tutti i nostri servizi, o comunque non vi è ancora la certezza che ciò avverrà.

Infanzia
Le scuole dell’infanzia, gli asili nido sono chiusi dal 23 febbraio; molto spesso sono gestiti da piccole cooperative, ma indipendentemente dalla dimensione, molte dovranno chiudere la propria attività se, come sembra, dovranno riaprire non prima di settembre e soprattutto con entrate e uscite altalenanti. Il personale è a casa in Fis (cosi si chiama la nostra cassa integrazione) e percepisce l’80% dello stipendio, anche se sembra che poi in busta paga sarà circa il 65-70% quello che il lavoratore si ritroverà rispetto a prima. Le cooperative non possono certo farsi carico della differenza, visto che devono pagare gli affitti dei locali, le utenze e tutto il resto.
Nonostante tutto ciò, molte cooperative hanno iniziato fin dai primi giorni ad essere promotrici di azioni mirate al sostegno delle famiglie; canali Youtube aperti per promuovere attività, laboratori di teatro e di arte a distanza, di poesia e di lettura. Tutto questo per il bene del servizio, dei bambini e delle famiglie.

Disabilità e salute mentale
Su queste materie devo dire che il livello territoriale, insieme agli altri enti gestori e alla direzione dell’Ulss 9, si è subito attivato per essere di supporto alle famiglie, con il sostegno telefonico, psicologico e – da metà marzo – con qualche attività domiciliare. Anche qui, abbiamo collocato un po’ di personale in Fis, anche se molti dipendenti hanno dato la disponibilità per andare a “coprire” le malattie degli altri soci nei servizi residenziali… Perché anche i nostri operatori socio-sanitari e gli infermieri nel frattempo si ammalavano! O venivano assunti negli ospedali lasciando i nostri servizi scoperti da un giorno all’altro! Chiedo: i nostri utenti sono di serie B?
Per non parlare degli artt. 47 e 48 del Decreto “Cura Italia”, che avrebbe previsto una parte di riconoscimento economico per chi opera nella disabilità, ma che è stato l’articolo più emendato in assoluto. L’art 48 ha ricevuto più di 100 emendamenti, perché fondamentalmente gli enti pubblici vorrebbero stanziare le risorse di loro competenza che erano destinate a bilancio per le persone con disabilità, ad altre voci di spesa!
In tutto questo la Regione Veneto ci ha chiesto di andare ad aiutare le case di riposo in difficoltà, inviando il personale che non stava lavorando poiché il servizio era chiuso. Lo abbiamo fatto e lo stiamo ancora facendo, con profondo spirito di servizio verso la comunità così come è nostra abitudine fare.

Sanità
Abbiamo chiuso gli ambulatori perché le attività previste non rientrano nel protocollo salute.
Il Terzo settore silenzioso, continua ad andare avanti stringendo i denti, nonostante lo Stato si dimentichi della nostra esistenza. Perché?
Mi siano consentite alcune considerazioni generali.
• Serve un fondo nazionale di sostengo al Terzo settore. Il fondo deve essere costruito da una parte di finanziamenti a fondo perduto, perché è necessario e urgente “risarcire” almeno in parte gli enti dai mancati introiti dell’autofinanziamento; e da una seconda parte destinata al sostegno anche pluriennale di un programma di rilancio e innovazione delle organizzazioni e delle reti. Durante questa emergenza stiamo registrando un grande impulso delle cooperative non profit a modificare la forma dei loro interventi. Sostanzialmente non si fanno più le cose che si facevano prima o comunque non si fanno più nel modo in cui si sono fatte fino a ieri. Si tratta di innovazioni che rimarranno anche dopo la fase emergenziale.
• I Comuni e la Regione non ci avevano riconosciuto il rinnovo del contratto avvenuto nel 2019. Lo dichiaravamo prima con forte preoccupazione, adesso assume una rilevanza ancora più importante e determinante. 
• Un appello ai sindacati: aiutateci a salvaguardare tutto ciò che di buono abbiamo creato in questi anni a Verona e nel Veneto.
• Il welfare italiano è tenuto assieme dal Terzo settore. Di questo in troppi non se vogliono rendere conto. Non siamo “meri fornitori”! Cos’abbiamo fatto di male per meritarci un simile trattamento?

Erica Dal Degan
Presidente Federsolidarietà Verona

«Prepararsi per la fase 2 senza naufragare nella fase 1»

Il Csv: uno tsunami sul volontariato, cosa troveremo nel dopo-virus?

Chiara Tommasini x sito

Il futuro? Una pagina bianca da scrivere. Non è tempo per i pessimismi, col piede ancora nell’emergenza Coronavirus e la prospettiva di una ripartenza da disegnare. Tuttavia nel Terzo settore, quello che il presidente del Consiglio Conte definì “cuore pulsante” della società, si raccoglie il sentimento della preoccupazione.
Si parla di liquidità necessaria a ridare energia alle imprese, ma il non profit come ne uscirà? È uno degli interrogativi che Chiara Tommasini, presidente del Centro di servizio per il volontariato (Csv), mette sul tavolo del confronto. La crisi di liquidità per alcune associazioni potrebbe essere già qui: «Quello primaverile era storicamente periodo di raccolte fondi, banchetti, appuntamenti associativi. Questi eventi di prossimità sono sempre stati occasione di reperimento fondi e volontari, ma quest’anno mancheranno del tutto. Il volontariato dovrà far fronte a minori entrate e riflettere su forme nuove di comunicazione, contatto, sollecitazione. Chi lo avrà fatto, avrà probabilmente sfruttato in modo positivo quelle opportunità che la crisi ha generato», segnala.
Per certo il Coronavirus ha innescato più velocità. C’è chi si è rimboccato le maniche: «Una sessantina di associazioni di protezione civile, attive a supporto dei centri operativi comunali, col coinvolgimento di circa un migliaio di volontari a settimana», elenca. A queste si aggiungono quanti si occupano di pubblica assistenza di soccorso; reti associative di supporto alla persona in situazioni di marginalità estreme, dalla Caritas con gli empori solidali ai Centri aiuto vita fino alla Ronda della carità; infine quanti supportano i servizi sociali dei Comuni nella distribuzione di farmaci e viveri.
Guardando la geografia solidale del Veronese, a essere attivo è un 15% di enti del volontariato. «Tutto il resto è fermo dal 3 aprile», sintetizza. Per necessità, lo stop si è abbattuto sulle associazioni di volontariato che si occupano di disabilità, anziani nelle case di riposo, sostegno ai malati di Alzheimer e Parkinson; sui circoli ricreativi, negli ospedali. «C’è chi si è reinventato con modalità on line e di supporto telefonico. Per fortuna in questi giorni siamo riusciti a far ripartire buona parte dei progetti di servizio civile», prosegue. Ossigeno sì, ma non sufficiente: «Sul Terzo settore si è abbattuto uno tsunami».
La questione si sposta, è inevitabile, sul dopo Covid: «Non soltanto quando e come si ripartirà, ma cosa troveremo alla ripartenza. Non è detto che il mondo che abbiamo lasciato prima dell’emergenza sarà uguale. È probabile subentreranno altre fragilità, da andare a individuare con maggior difficoltà. Si dovrà ricostruire il tessuto sociale che faceva della vicinanza della relazione con l’altro uno dei capisaldi», indica. Il nodo è nel come riorganizzare queste energie fondamentali per la società: «Non potranno più essere attività della singola struttura, ente o realtà. Servirà un lavoro di concerto tra istituzioni e Terzo settore in maniera molto ragionata, in sinergia e con forza. Nessuno si salva da solo: se prima si parlava di fare rete, adesso è il momento di creare delle cabine di regia. Il problema va affrontato insieme. Avremo tutti bisogno di tutti, ciascuno nel proprio ruolo».
Governo non escluso. «Dai primi decreti sembrava che il Terzo settore fosse stato dimenticato. In seguito qualche chiarimento è arrivato, almeno per il volontariato. Parliamo però di un mondo con caratteristiche specifiche, diverse da quelle del profit, che in parte non si è mai fermato e ha bisogno, al pari degli altri, di supporto e sostegno», precisa. Qualche proposta c’è: «Sicuramente la liquidazione veloce dei due anni del 5 per mille per dare liquidità agli enti.
Il pagamento dei servizi per gli enti attivi, tutelandoli dal punto di vista della sicurezza. La proroga delle convenzioni in essere. La sospensione di mutui, prestiti, canoni d’affitto delle sedi associative. La destinazione di fondi per il servizio civile. La creazione di un fondo specifico per volontariato e associazionismo», sintetizza. Il ragionamento si amplia alla sopravvivenza del non profit: «Quando si ripartirà, la fascia anziana della popolazione over 65 sarà in difficoltà a dedicarsi al volontariato, almeno non nell’immediato; chi è in età lavorativa avrà altro a cui pensare. Di conseguenza, una criticità da affrontare potrebbe essere la mancanza di volontari. Abbiamo un tessuto associativo costituito da moltissime realtà medio-piccole che si dovranno reinventare e come Csv dovremo essere bravi a supportarle. Saranno queste le più spaesate alla ripartenza – conclude –. Perciò un aiuto a livello istituzionale, con tavoli di coordinamento o coprogettazione, sarà fondamentale per ripartire. È un dialogo che abbiamo già avviato, rimane da capire con che tempi e in quali modi».
Marta Bicego

«Un fondo per le paritarie o rischiano tutte la chiusura»

La Fism: le entrate si sono dimezzate

Ugo Brentegani x sito

Se già in tempi “normali” le scuole paritarie dovevano tirare per la giacca lo Stato e ricordargli che coprono buona parte del servizio educativo, figuriamoci durante una pandemia. Mesi di chiusura forzata rischiano di mettere in seria difficoltà questi istituti, che si sostengono con i contributi pubblici e le rette dei genitori. «Le entrate sono dimezzate: solo nel mese di marzo abbiamo registrato oltre un milione di euro di mancati incassi nelle nostre 177 scuole», conferma Ugo Brentegani, presidente di Fism Verona, associazione che assiste le scuole dell’infanzia non statali e nidi di ispirazione cristiana.
A seconda dei bilanci, le rette sono state ridotte fino al 65%; la quota restante viene comunque richiesta ai genitori, perché indispensabile a coprire i costi fissi; tra questi, il principale è il personale. «Il 95% dei nostri duemila lavoratori è a casa con gli ammortizzatori sociali, ma gli oneri contributivi e l’anticipo dello stipendio restano in carico agli istituti – spiega Brentegani –. Sappiamo che molte famiglie sono nella stessa situazione, perciò è indispensabile che, oltre alla detraibilità fiscale delle rette, lo Stato istituisca subito un fondo straordinario per le paritarie, altrimenti le scuole rischiano la chiusura».
Alcuni Comuni hanno anticipato (taluni rimpinguato) le somme a convenzione. «Anche la Regione si sta muovendo per accelerare i pagamenti, ma occorrono misure strutturali a livello nazionale – conclude Brentegani –. Nel frattempo, stiamo vagliando la possibilità di incontrare i bambini in piccoli numeri a luglio e agosto: in base alle prossime indicazioni governative, cercheremo un accordo coi sindacati». [A. Val.]

«Riprogettare i servizi per minori e disabili»

La coop Monteverde: serve il 5 per mille

Francesco Tosato x sito

È sui più fragili che gli effetti del Coronavirus lasceranno traccia nel medio-lungo periodo. Guarda oltre l’emergenza, la cooperativa sociale Monteverde, realtà di riferimento nell’Est veronese per un centinaio di persone con disabilità e oltre un migliaio di minori.
«Le nostre sedi sono chiuse ormai da due mesi e in questo tempo sospeso cerchiamo di mantenere viva la rete di relazioni – riferisce Francesco Tosato, direttore dei servizi generali –. Quando riapriremo nulla sarà come prima: perciò, anche insieme al consorzio Sol.co, che riunisce una ventina di cooperative sociali, stiamo pensando a come riprogettare i servizi».
Due mesi di stop dei centri diurni sono un’era geologica per chi è disabile: il rischio è una regressione dai progressi conquistati nell’arco di anni. «Senza contare che così è venuto meno il sollievo alle famiglie, ormai allo stremo – sottolinea Tosato –. L’unica attività che ci è consentita, in accordo con l’Ulss, è quella delle visite domiciliari, ma non per tutti è possibile».
Per il dopo si stanno studiando nuove soluzioni, come il lavoro differenziato per gruppi ristretti. «Coi minori abbiamo iniziato a fare degli interventi a distanza, mentre per i bambini e ragazzi con autismo stiamo valutando un parziale uso della sede – continua –. Intanto, una parte del nostro personale (i lavoratori sono un’ottantina, ndr) si è reso disponibile a creare dei contenuti video da divulgare agli utenti, mentre si è già messa in moto la macchina organizzativa per la nostra lotteria e per la campagna del 5 per mille: mai come quest’anno saranno indispensabili per far ripartire i servizi». [V. Soa.]

Fermi patronati e Caf Le Acli: non possiamo aiutare

Slittati i termini per le dichiarazioni fiscali

Italo Sandrini x sito

Uffici chiusi, servizi agli sportelli sospesi se non per quel minimo d’attività che è possibile portare avanti da remoto.
Questo l’effetto Covid sulle Acli provinciali di Verona, secondo il presidente Italo Sandrini.
«Le limitazioni a circolazione e apertura al pubblico hanno gravemente penalizzato patronati e Caf. Doposcuola e centri estivi inevitabilmente non riusciranno a ripartire, se non con difficoltà enormi», segnala. Il problema non riguarda le dichiarazioni dei redditi, slittate in avanti nei termini. Piuttosto, incalza, «il supporto che gli utenti avrebbero ricevuto per capire come muoversi e accedere a eventuali agevolazioni e bonus previsti dai decreti legge che si sono succeduti. Penso alla fascia di persone meno abbienti, destinate ad aumentare, e alla miriade di professionisti con partita Iva, già poco tutelati rispetto ai dipendenti».
Quanto è accaduto era impossibile da prevedere, riconosce. «Oggi si vive alla giornata, manca l’esperienza su come programmare il futuro. Al Terzo settore, in generale, andrebbe riconosciuta invece maggiore dignità. Confido che disastri come questi spingano a compiere scelte più vere», sottolinea, con un affondo alle istituzioni europee che non hanno saputo dare soluzioni concrete.
«Il dramma è – chiosa – che, a un problema straordinario, ti senti dare risposte ordinarie. Manca la capacità di ricevere le soluzioni che servirebbero. Per le Acli, che sono nate proprio per tutelare chi non ha diritti, è il momento di far sentire la propria voce con più coraggio. Mi aspetto un colpo di orgoglio, di testimonianza vera». [M. Bic.]

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