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Appello al governo: giù le mani dal Terzo settore!

Fondi "smagriti" e tagliati: ma colpirlo è danneggiare tutti. «Caro Stato, il Terzo settore va protetto, non penalizzato» è l'appello del mondo delle cooperative sociali al governo Conte

Uomo che taglia il ramo (scultura moderna nel parco pubblico della città di Amsterdam)

Nessun incremento dei fondi per il 5 per mille; ulteriore taglio di 10 milioni di euro per la riforma del Terzo settore; dimezzamento delle risorse economiche destinate a sostenere il Servizio civile. La Legge di bilancio che il governo Conte bis deve approvare entro la fine dell’anno va a colpire pesantemente il mondo del welfare. Ovvero quello che ogni giorno fornisce servizi preziosi per la vita delle persone, dagli anziani ai disabili. Una miopia politica che, con la scusa della coperta troppo corta, rischia di penalizzare un intero settore. Il tutto nell’assordante silenzio generale. Ecco pertanto l’appello del mondo della cooperazione.

Caro Stato, il Terzo settore va protetto, non penalizzato
È l’anima del welfare italiano, ma l’ultima Legge di bilancio...
A rilento e con delle sorprese poco gradite: procede così la riforma del Terzo settore, codificata nero su bianco dalla legge 106 del 2016 per riordinare un campo cruciale e delicato del nostro Paese, quello del non profit. Un universo composto da 350mila enti (associazioni, cooperative, fondazioni, ecc.), che danno lavoro a un milione di addetti e catalizzano la buona volontà di cinque milioni e mezzo di italiani.
Di mezzo ci si è messo pure il rimpasto di Governo, passato da gialloverde a giallorosso: un cambio che non ha facilitato l’accelerazione dell’iter, ancora piuttosto impantanato. A distanza di tre mesi dalla crisi estiva non è stato ancora nominato il sottosegretario delegato a seguire la riforma; tocca al ministro del lavoro Nunzia Catalfo designarlo: il mondo del Terzo settore aspetta e intanto non ha un interlocutore chiaro con cui interfacciarsi.  
Non è solo questo a mettere in agitazione, però. A dare uno scossone al percorso di rivoluzione del Terzo settore – che prevede, fra le altre cose, l’introduzione di un Registro unico e una revisione profonda dei Centri di servizio per il volontariato – è stata la pubblicazione della Legge di bilancio. Il testo finale, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro la fine dell’anno, contiene delle novità che hanno fatto sobbalzare gli operatori delle varie realtà sociali. E anche a Verona la preoccupazione si tocca con mano.
«Nella Legge di bilancio dello scorso anno il Governo aveva operato dei tagli sulla dotazione finanziaria per circa tre milioni; ora, nel testo mandato alle Camere, questo taglio ammonta per il 2020 a 10 milioni di euro, con una riduzione dei capitoli di spesa riguardanti i progetti innovativi delle associazioni di promozione sociale e di volontariato, che passa dai 39 milioni dello scorso anno a 34 milioni – evidenzia la presidente di Federsolidarietà Verona, Erica Dal Degan –. Si aggiunga poi che il Fondo destinato a sostenere l’introduzione del Registro unico del Terzo settore, già decurtato lo scorso anno di due milioni, nel 2020 non sarà reintegrato; anzi, nel 2022 subirà un nuovo taglio del valore di cinque milioni».
Cifre a cui guarda con apprensione Federsolidarietà, che nella nostra provincia raggruppa 106 cooperative sociali del Terzo settore, con un fatturato complessivo di 173 milioni di euro e quasi seimila persone occupate (circa 400 delle quali sono lavoratori svantaggiati).  
C’è poi un altro tema caldo: il mancato incremento del fondo per il 5 per mille, non previsto nella legge di Bilancio, ma richiesto a gran voce. Nel 2017, infatti, era stato superato il tetto dei 500 milioni di euro raccolti da associazioni, onlus, ong ed enti di ricerca attraverso il 5 per mille delle imposte dei contribuenti (una scelta volontaria, che non comporta un aggravio di spesa per chi la compie). Bene, la quota che superava i 500 milioni se l’è tenuta lo Stato, con la promessa di restituirla poi ai destinatari prescelti. Un impegno che ora è sparito, dato che non vi è traccia dell’annunciato incremento di 25 milioni di euro del fondo per il 5 per mille.
Un’ulteriore mancanza che fa storcere il naso a chi opera quotidianamente in questo ambito – vasto: va dalla gestione degli asili nido all’assistenza ad anziani e disabili, solo per fare qualche esempio – è il dimezzamento delle risorse per il Servizio civile, che dà la possibilità ai giovani tra i 18 e i 28 anni di impegnarsi per un anno a favore della propria comunità. «Il fondo per il Servizio civile universale non solo non avrà i 70 milioni aggiuntivi promessi dal ministro per le Politiche giovanili Vincenzo Spadafora per l’anno 2019, ma per i prossimi anni vede una drastica riduzione di risorse, come dimostra il fatto che i 53mila giovani in servizio nel 2018 saranno ridotti a meno della metà a partire dal 2020. Sarebbe questa l’attuazione della riforma?», s’interroga Dal Degan.
Ci sono tanti aspetti da chiarire, dunque. Il 31 dicembre è ormai alle porte: vedremo se il Governo tornerà sui suoi passi o se si prospetta un 2020 amaro per chi si spende, e tanto, nel sociale.  
Adriana Vallisari

«Così si taglia la cultura della solidarietà»
Dal mondo delle cooperative sociali un appello al governo Conte
Progettare servizi senza avere certezze: le scelte della politica si traducono in questo, per le realtà che operano nel sociale. Ovvero concrete difficoltà che si prospettano all’orizzonte, se il quadro non cambierà.
A cominciare, ad esempio, dal mancato rimpinguamento del “surplus” ai fondi del 5 per mille, soldi che i cittadini scelgono di destinare come segno di fiducia a chi apprezzano e intendono sostenere, apponendo una firma in sede di dichiarazione dei redditi. Una sigla che si traduce in fondi preziosi per chi opera nel Terzo settore. «L’incertezza ci costringe a tener conto di questa entrata in maniera più prudenziale: finora il 5 per mille è stato uno strumento che ci ha permesso di non chiudere mai la porta alle richieste emergenti, consentendoci di dare nuove risposte ai bisogni del territorio, ampliando i nostri servizi classici», osserva Francesco Tosato, direttore dei servizi generali della cooperativa sociale Monteverde di Badia Calavena e consigliere del consorzio Sol.co, che riunisce 20 cooperative sociali veronesi.  
La cooperativa, di tipo A, è attiva dal 1986 in Val d’Illasi e negli anni si è allargata abbracciando il bacino dell’Est veronese e della Lessinia. Conta un centinaio di utenti nell’area disabilità, fra persone che frequentano i centri diurni, che sono impegnate nei laboratori rieducativi per disabilità lievi oppure coinvolte in progettualità territoriali. Nell’area minori e famiglia, invece, i beneficiari delle attività della cooperativa sono circa 1.500, fra prese in carico dirette e minori incontrati nelle scuole. Un’ottantina sono i lavoratori che ruotano attorno a questa realtà, che sulla comunicazione legata al 5 per mille si è spesa molto, con ottimi ritorni: nel 2017 ha visto aumentare del 39% i fondi legati a questa voce.  
«Di anno in anno queste risorse ci permettono di mantenere o sviluppare servizi, ad esempio dando vita a nuovi laboratori che portano fuori dai centri diurni le persone con disabilità lievi oppure ideando progetti per bambini con disturbi specifici dell’apprendimento, o ancora avviando dei percorsi di autonomia abitativa e percorsi educativo-formativi sperimentali per bambini e adulti con autismo – riconosce Tosato –. Viste le ultime decisioni di bilancio a Roma, però, ci troviamo in difficoltà a programmare nel medio periodo». Si temono insomma riflessi negativi, in un quadro in cui le altre forme di entrata pubblica sono sempre più risicate. E di chiedere uno sforzo in più alle famiglie non se ne parla.
Un’altra nota dolente, che preoccupa gli addetti ai lavori, è il taglio dei fondi per il Servizio civile. Dalla Monteverde sono passati finora una trentina di giovani che hanno scelto di avvicinarsi al mondo del lavoro imparando un mestiere dall’alto contenuto umano. «Ogni anno inseriamo dalle 3 alle 5 figure: tagliare lì significherebbe ridimensionare l’efficacia della nostra azione nei servizi per i minori e nei centri diurni: è un brutto messaggio che passa, perché è come se la politica dicesse che non riconosce il valore del volontariato svolto sotto forma di Servizio civile», punta il dito il responsabile. Senza contare che spesso questo è un primo passo per un successivo inserimento lavorativo.
Una china pericolosa, avvertono gli operatori. «Tagliare risorse economiche e dimezzare il servizio civile dimostra una miopia che non coglie il valore della partecipazione della comunità al Terzo settore – conclude Tosato –. Sia chiaro: ci indigniamo non per una mera questione economica, ma perché queste scelte politiche incidono sulla cultura della solidarietà e del bene comune. Non c’è più il settore pubblico contro il settore privato: è tempo di parlare di quello che si può fare insieme per far crescere la comunità, a partire da chi è più fragile ed è il primo a essere danneggiato da scelte poco lungimiranti».
Valentina Soave

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