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Terzo settore, situazione critica: «Aiutateci o rischiamo di chiudere»

di ADRIANA VALLISARI

Tomas Chiaramonte (Adoa): momento difficile, serve un sostegno concreto 

Parole chiave: Adoa (20), Terzo settore (19), Welfare (13)
Terzo settore, situazione critica: «Aiutateci o rischiamo di chiudere»

di ADRIANA VALLISARI

Assistono oltre 30mila persone sul territorio diocesano. Hanno dimensioni diversificate: da quelle composte solo da alcuni volontari a enti con oltre 500 lavoratori. Tutte, però, svolgono attività preziose nei settori sociale, socio-sanitario e assistenziale, formativo e di inserimento lavorativo. Contribuiscono a migliorare la vita di persone con deficit fisici e psichici, offrono servizi per anziani non autosufficienti e svolgono attività caritative e di impatto sociale. È la rete delle 42 realtà aderenti all’Associazione diocesana opere assistenziali, che si è ritrovata l’8 aprile per il sesto cantiere Adoa. Per l’occasione, intervistiamo il segretario generale di Adoa, Tomas Chiaramonte.

– Come stanno gli enti associati, dopo due anni di Covid?

«“Se non permetteremo al fuoco di bruciarci, esso ci temprerà”: ce lo siamo ripetuti spesso in questi due anni di pandemia in cui siamo riusciti a garantire i servizi ai più fragili anche a costo di assumerci oneri enormi e responsabilità altrui. I nostri enti hanno retto il col- po grazie a una motivazione profonda che è andata oltre ogni calcolo economico, alimentata nella fraternità dei legami e radicata nella responsabilità sociale per il territorio e per le comunità che serviamo. Trascorsi due anni, però, la pressione esercitata dalla scarsità delle risorse immesse nel sistema a sostegno degli enti territoriali, a dispetto delle enormi perdite subite, e dalla carenza di personale per alcuni si sta facendo insostenibile».

– Non siete soliti lanciare allarmi: ma se domattina spariste, cosa succederebbe?

«Mi auguro che ciò non avvenga mai; lo dico come figlio, padre e cittadino, ma la possibilità dell’estinzione è meno lontana di quel che si possa pensare. L’impressione è che l’opinione pubblica stia facendo un grave errore, dando quasi per scontata l’esistenza degli enti del Terzo settore, pensando che, comunque vada, arriverà qualcuno a salvarli: la Chiesa, lo Stato o chi per essi. Se domani chiudessimo, si verificherebbero almeno due conseguenze: nell’immediato, le persone non autosufficienti si riverserebbero negli ospedali, provocando il collasso del sistema e un aumento vertiginoso della spesa pubblica; nel medio periodo, le realtà non profit e del Terzo settore cattolico a “trazione” pastorale verrebbero soppiantate da società di capitali profittevoli causando con ciò un impoverimento del tessuto economico, lavorativo, sociale e pastorale delle comunità».

– Rispetto ad altri comparti, sembra che lo Stato periodicamente si dimentichi del Terzo settore. Che ruolo rivendicate?

«Il Terzo settore, in realtà, per tasso di crescita occupazionale e incremento dei fatturati è già, da diversi anni, il primo settore dell’economia italiana. Infatti conta più di 700mila addetti, aumentati tra il 2001 e il 2011 di quasi il 40%, ossia nove volte di più rispetto all’incremento degli addetti delle imprese negli altri settori dell’economia, e di oltre 270mila tra lavoratori esterni e temporanei, numero triplicato in dieci anni. Vanno aggiunti poi oltre 4,7 milioni di volontari, che caratterizzano il Terzo settore come il comparto capace di generare il più alto tasso di valore aggiunto all’economia in generale».

L'intervista completa è sul numero di Verona fedele in edicola, rivendita e abbonamento.

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