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Superare l’handicap di un anno terribile

di REDAZIONE

Difficoltà e speranze delle persone con disabilità. Pandemia, l’ulteriore handicap di chi già affronta la disabilità

Ragazza seduta su una carrozzina ripresa di schiena in un contesto tutto verde

di REDAZIONE

Per le persone con disabilità fisiche e psichiche questi dodici mesi sono stati certamente più pesanti che per il resto della popolazione: centri diurni chiusi, permanenza in famiglie con difficoltà nella quotidianità, un lockdown pesantissimo per chi ha bisogno dell’aiuto e della relazione in presenza come dell’aria da respirare... Le strutture pubbliche hanno cercato di fare la loro parte, anche se è emersa una volta di più l’esiguità delle risorse impiegate per queste persone fragili. E non è stata certo facile questa traversata del deserto, come denuncia la Fish. Abbiamo parlato con alcune realtà del Terzo settore impegnate nell’accoglienza e nel sostegno alle persone con disabilità, oggi rinfrancate da una campagna vaccinale che fa sperare in un futuro prossimo migliore. La grande sfida (anche con la maiuscola) è ora quella di reinventarlo confidando nel contatto fisico, nella presenza, nella relazione, in condizioni di sicurezza.

Pandemia, l’ulteriore handicap di chi già affronta la disabilità
«Abbiamo più volte sfiorato il disastro», afferma il coordinatore della Fish

«Se non abbiamo sfiorato il disastro, poco c’è mancato». Il coordinatore territoriale di Fish Veneto, Flavio Savoldi, va diretto al punto. Del resto, nell’anno trascorso alle prese con la pandemia, non sono poche le istanze che ha raccolto il referente scaligero della Federazione italiana per il superamento dell’handicap. Da qui il giudizio negativo, che esprime ripercorrendo alcune tappe: dal lockdown alla chiusura dei centri diurni; dall’assottigliamento dei servizi socio-sanitari alla loro rimodulazione, non sempre tenendo conto delle esigenze degli utenti, con difficoltà (pure di tipo economico) che si ripercuotono sui disabili e sui familiari che se ne prendono cura. Non ultima, l’incertezza legata alle modalità di somministrazione del vaccino per proteggere i disabili dal virus Sars-CoV-2.
A livello nazionale non va meglio. Nei giorni scorsi la federazione ha diffuso un manifesto per denunciare come i significativi risultati raggiunti sui terreni dell’inclusione sociale, lavorativa e scolastica si stiano sgretolando, restituendo dopo lo tsunami Covid un’Italia sempre meno accessibile, poco accogliente e molto più egoista.
Vogliamo tutti insieme costruire un Paese in cui non si debba più dire alle persone con disabilità di restare a casa, cercando di non morire, in attesa di essere finalmente vaccinati. A casa, senza poter andare a lavorare. A casa, perdendo mesi di scuola, come altri e più di altri per via della mancanza di aiuti e sostegni adeguati previsti dalle norme”, si legge nel documento.
Non si punta il dito contro la sanità pubblica, baluardo che anzi è da difendere. Ma, secondo Savoldi, c’erano situazioni che potevano essere affrontate diversamente. Nell’emergenza, le attività da portare avanti nei centri diurni non erano indifferenti: «Preparare i pulmini per il trasporto in sicurezza, implementare il personale, sanificare i locali con un impegno sia dal punto di vista finanziario che del lavoro umano. Laddove la frequenza è stata possibile, è stato grazie all’opera del Terzo settore e della cooperazione sociale che ha grandi meriti e svolge un lavoro encomiabile», fa notare.
Tuttavia, c’è un altro orizzonte verso cui guardare, che fa capo alle istituzioni: «Abbiamo visto le famiglie lasciate senza servizi alternativi o aggiuntivi, la sofferenza delle persone private della loro quotidianità, perché recarsi in un centro diurno ha un particolare significato per chi ha una disabilità intellettiva».
La pandemia ha fatto affiorare e diventare evidenti altre situazioni, conseguenza di tagli alle risorse e visioni poco lungimiranti. «Già da tempo premevamo sull’assessorato ai Servizi socio-sanitari della Regione perché ritenevamo fosse in corso una riduzione estremamente significativa dei servizi erogati alle persone e dei servizi di sollievo per le famiglie, chiedendone il potenziamento. Alla definizione di servizio essenziale non corrispondevano prestazioni adeguate», denuncia.
Scendendo nel dettaglio, incalza: «Abbiamo sottolineato come bisognasse potenziare le impegnative di cura domiciliare perché aumentava il numero dei richiedenti. Nella realtà si riduceva l’importo che di conseguenza finiva per essere suddiviso tra un numero maggiore di persone. Laddove gli importi venivano mantenuti, sono datati almeno di dieci anni». Per esemplificare riporta il caso di un malato di distrofia muscolare che oggi riceve per le cure domiciliari la stessa cifra di un decennio fa. Peccato che nel frattempo sia cambiato il mondo, specie sul fronte della salute...
Altro tema riguarda le vaccinazioni contro il Covid, tra ritardi e mancanza di comunicazione adeguata, nonostante il ministero abbia stabilito da subito la precedenza per i soggetti con disabilità grave. Le convocazioni procedono a rilento, talvolta innescate da azioni “fai da te”, più che da attenta pianificazione: «Dati non ne abbiamo, ma sembra che nella nostra provincia circa il 50% delle persone con disabilità grave sia stato vaccinato. Molti altri non sanno se, quando e dove riceveranno il vaccino», aggiunge, segnalando che fino a pochi giorni fa lo stesso sito dell’Ulss 9 Scaligera non forniva esaustive indicazioni.
Una serie di situazioni che, una di seguito all’altra, hanno fatto sentire i disabili dimenticati, messi ancor più da parte dalla società, relegati nel silenzio delle proprie abitazioni.
«I responsabili regionali conoscono bene il mondo della disabilità, non sono assessori improvvisati. Conoscono gli interventi di cui ci sarebbe necessità nel nostro territorio. Ma c’è qualcosa che diventa quasi ostacolo insormontabile – conclude –. Mettere mano alle politiche di bilancio non è semplice, si toccano interessi particolari e precostituiti, ma bisogna avere il coraggio di farlo».
Marta Bicego

«Oggi la Grande Sfida è quella di tornare a sperare»
Nicolis: dopo un annus horribilis riabbattiamo gli steccati

«La Grande Sfida è sempre stata quella di potersi incontrare, di abbattere recinti, di uscire dagli stereotipi. Ma l’incontro fisico era ed è il momento clou. Già, ma come fare se arriva un lockdown e se quei recinti fisici si richiudono?».
È la domanda che ha assillato fin da subito Roberto Nicolis, il creatore e l’anima di questa iniziativa che per 26 edizioni ha insegnato ai veronesi (e non solo) il valore della normalità della diversità fisica e/o psichica che viene definita handicap.
«Ci siamo mossi subito; ci siamo impratichiti nell’uso delle nuove tecnologie, tanto che oggi possiamo vantare l’utilizzo di una web tv. Abbiamo inventato esercizi, giochi, attività ricreative per i nostri amici che non potevano più frequentare i Ceod, abbiamo attivato il canale on line in ogni modalità possibile per non spezzare il cordone ombelicale che ci lega a loro. Ci siamo raccordati con i centri e le associazioni. Ci hanno dato una mano amici illustri come Sara Simeoni o Andrea Lucchetta... Non abbiamo trascurato nessuna relazione. E forse possiamo pensare oggi che il peggio sia alle nostre spalle».
Nicolis lo dice pensando anzitutto al fatto che queste persone più fragili stanno per essere vaccinate tutte. Che la filiera di solidarietà è rimasta intatta. Che il distacco fisico – che è il riflesso peggiore del virus sul mondo della disabilità – sta terminando. E quindi si può rilanciare: «Quest’anno il tema della Grande Sfida è: “Noi speriamo. Tu in cosa speri?”. Non è essere ottimisti a prescindere, pensare che tutto andrà bene, negare l’evidenza; ma avere un pensiero che sappia andare oltre. Far capire che solo assieme possiamo realizzare le nostre speranze».
Certo, nulla sarà esattamente come prima, «dobbiamo inventarci cose nuove, idee e proposte in linea con i tempi, nuovi spazi comunque più larghi».
Un esempio è la comunità alloggio di Cadellara di Colognola, presso gli Stimmatini, «un’occasione particolare per trascorrere del tempo insieme sperimentando l’autonomia (preparare i pasti, gestire gli spazi, tenere l’ordine, condividere le scelte delle attività, programmare le attività ed i momenti ricreativi), dedicare spazio alle relazioni e alla dimensione spirituale, in un clima di accoglienza e aiuto reciproco». Poi a metà settembre La Grande Sfida International in piazza Bra, in presenza, così come l’ormai tradizionale tour della manifestazione in alcuni Comuni della provincia.
Cosa chiedere, allora, a istituzioni e persone? «Di non dimenticarci, e mi rivolgo anzitutto a tutto quel mondo del volontariato che ci è sempre stato vicino. A tutti ricordo l’opportunità di finanziarci attraverso la scelta del 5 per mille. Infine rimbocchiamoci tutti le maniche per recuperare il tempo perduto e, soprattutto, le regressioni che questa pandemia ha provocato e continua a fare. Dobbiamo ributtare giù quegli steccati che ha contribuito ad innalzare e contro i quali ci adoperiamo da un quarto di secolo. Insieme, presto in presenza».
Nicola Salvagnin

Superare l’handicap di un anno terribile
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