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Simonetta a cui la malattia ha aperto gli occhi alla vita

di ADRIANA VALLISARI

Una diagnosi nefasta, la pittura come sollievo e speranza

Parole chiave: Avvento (11), Natale (46)
Simonetta a cui la malattia ha aperto gli occhi alla vita

di ADRIANA VALLISARI

Spesso la vita ci mette di fronte a un prima e un dopo. A fare da spartiacque dell’esistenza può essere una malattia, con una diagnosi nefasta che investe la quotidianità e travolge tutto. Un buco nero che, espresso sulla tela di una pittrice, ha colori cupi; solo a distanza di tempo la tavolozza può cambiare toni e virare verso quelli più luminosi, quando si supera la paura di perdere la vita.

Proprio ai suoi amati colori pastello è tornata Simonetta Borsatti, 56 anni, di Mozzecane, mantovana d’origine. La pittura l’ha aiutata a esternare paure e sentimenti e a ritrovare la forza di affrontare le asperità della vita con serenità. È con lei che iniziamo questo viaggio nelle “Storie di Natale”, racconti di rinascita e di speranza che vi proporremo per tutto l’Avvento.

Simonetta è sposata da 32 anni con Giuseppe e ha due figli, Nicolas e Tomas, di 29 e 25 anni. «Mi sono sempre dedicata alla famiglia, cercando di essere presente dove c’era bisogno; per motivi di salute ho accudito i miei suoceri, che non ci sono più, e mia nonna, facendo tutto con il cuore», racconta. Accanto agli impegni familiari, ha sempre coltivato la passione per il disegno; da dieci anni dipinge, dopo aver frequentato un corso per apprendere la tecnica a olio. Nel 2017 aveva esposto le sue opere in zona Ponte Pietra, in città; l’11 e il 12 dicembre prossimi, invece, i suoi lavori saranno visibili al pubblico a Povegliano, all’interno dello studio fisioterapico San Martino (in piazza 4 Novembre). Sono tele che ha realizzato negli ultimi due anni, usando la mano sinistra e reinventandosi.

– Andiamo con ordine: cosa le è accaduto?

«Un sabato come un altro mi stavo dedicando a cuocere qualcosa, erano le 11 del mattino. A un certo punto mi sentii strana, avvertivo un formicolio alla gamba e al braccio destro... Telefonai immediatamente a mio marito e mi sdraiai sul divano fino al suo arrivo; decidemmo di andare al pronto soccorso di Villafranca. Era la prima volta che mi succedeva; io sono sempre stata una persona sportiva, con stili di vita sani, perciò ero molto preoccupata. Dopo una lunga attesa, mi sottoposero a un elettrocardiogramma e poi fui dimessa; la colpa fu data alla menopausa. Dopo quattro giorni, però, mi si presentarono altri episodi simili, l’ultimo molto forte. Stavolta mi accompagnò in ospedale mia mamma e fui visitata subito: un dottore, un angelo mandato dal cielo, capì subito che i sintomi dipendevano dalla testa. Mi fece fare una Tac e mi spiegò che dovevano rifarla per capire se c’era un’emorragia; ero molto preoccupata e piangevo. “C’è qualcosa che non va, devi fare una risonanza col liquido di contrasto in fretta”, mi disse dopo la seconda Tac quel medico, guardandomi negli occhi».

– Da lì a pochi giorni ricevette la notizia che avrebbe cambiato la sua vita...

«Fu una neurochirurga dell’ospedale di Borgo Trento a darmela. “Simonetta, hai un tumore al cervello: si chiama astrocitoma anaplastico, è infiltrante e dobbiamo operare subito. Stai avendo delle crisi epilettiche, comincia subito a prendere queste pillole”, mi disse. Io scoppiai in un pianto inconsolabile, anche mio marito. Non sapevamo a cosa andavamo incontro, credevo di impazzire. L’operazione sarebbe stata dopo una ventina di giorni. A un certo punto decisi di dipingere di getto, dopo aver letto un libretto di meditazioni ispirate agli arcangeli, regalatomi da un’amica».

– Come arrivò all’operazione?

«È incredibile: con la pace nel cuore e la serenità. “Ecco, mio Dio, sono pronta comunque vada, so che tu sarai con me”, mi dissi. L’8 aprile 2019 rimasi in sala operatoria dalla mattina alla sera; stetti male due giorni, ma capii che ero viva. Non sentivo più la parte destra del mio corpo: avevo l’occhio e la bocca storti e non riuscivo a parlare... Questo è quello che dovetti affrontare, ma sempre con positività e voglia di vivere».

– Com’è stato il recupero e che ruolo ha avuto la pittura?

«È stato duro, perché ho fatto 27 radioterapie e un anno di chemioterapie. Anche se stavo male, però, non mi sono mai lamentata, sentivo sempre qualcuno accanto a me. Non ho recuperato perfettamente la mobilità del braccio e della gamba e l’abilità linguistica, ma non importa, non bisogna mai mollare. Spesso ho delle amnesie per quanto riguarda le parole e sto ancora facendo fisioterapia al Centro polifunzionale “Don Calabria”, ma penso che l’importante sia essere vivi. Se sono sempre positiva è grazie alla pittura: senza questa passione, non so come ne sarei uscita».

– Ha sfogato le paure sulla tela?

«Sì, nei venti giorni precedenti all’operazione dipingere mi ha aiutato ad accogliere quello che mi sarebbe accaduto. I primi quadretti infatti sono pieni di ansia e di terrore; poi, giorno dopo giorno, le forme sono diventate morbide e i colori più caldi. Dopo l’operazione mi resi conto che non avrei più dipinto con la mano destra, ma la voglia di riprovare c’era, tanto da iniziare a farlo con le dita della mano sinistra. Un giorno provai e mi venne fuori un angelo, allora presi coraggio. In questi due anni ho imparato a dipingere quello che sento, mettendo tutta me stessa. Tre anni fa stavo molto attenta ai colori, ero tanto precisa e mai avrei dipinto come ora: libera di gioire ogni volta che tengo in mano il pennello».

– In questo cammino ha riscoperto anche la fede?

«Ho riscoperto che noi non siamo soli, che bisogna affidarsi a Dio e alla Madonna. Se ho superato il tunnel che mi si è presentato, lo devo al buon Dio che ho pregato tanto. Quand’ero allettata passava un prete per distribuire la Comunione: lì mi sono sentita sorretta, amata e aiutata, mai sola. Ora offro a Gesù ogni dolore e ogni difficoltà, per aiutarlo a portare la croce. Rivolgo tutte le mie richieste a Lui, che non sono molte, ma una in particolare la desidero nel mio cuore: ho deciso di vivere per fare del bene alle persone che ne hanno bisogno, a quelle tristi e scoraggiate. Vedendo i miei quadri spero che la gente pensi a quanto la vita sia breve: non dobbiamo lasciarla andare senza assaporarne ogni secondo».

– L’Avvento è il tempo ci accompagna alla nascita di Gesù. Lei come lo vive e quali desideri ha?

«È un periodo di speranza e il mio cuore prova un bene immenso per tutti. Quello che mi è successo ha fatto riflettere molte persone e, al contempo, si sono molto rafforzati i rapporti in famiglia. Io che ho sempre aiutato tutti, ora ho bisogno degli altri... Perciò desidero il bene per tutte le persone che mi stanno vicino. “Chi semina amore, raccoglie amore”, quindi cerchiamo di essere positivi, di volerci bene, perché la vita ci sfugge via...».

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