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«Ripartiamo per aiutare persone meno fortunate di noi»

di PAOLO ANNECHINI
Gelmino Tosi e Daniela Brunelli in Sierra Leone per Cuamm-Medici per l'Africa 

«Ripartiamo per aiutare persone meno fortunate di noi»

di PAOLO ANNECHINI
Gelmino Tosi e Daniela Brunelli nel mondo missionario veronese non hanno bisogno di molte presentazioni. Medico lui, ora in pensione, collaboratrice nella scuola lei, pure in pensione. Hanno fatto della cooperazione internazionale uno dei punti fermi della loro vita, prima senza figli e poi con i figli (la loro figlia Rebecca è rientrata da poco da un periodo di cooperazione internazionale in Sud Sudan). Hanno iniziato 30 anni fa, appena sposati, in Tanzania, all’ospedale di Njombe, poi nel 2019 in Sud Sudan, in una situazione difficilissima, e adesso sono ripartiti per la Sierra Leone, sempre con un progetto sanitario Cuamm-Medici con l’Africa, presso l’ospedale distrettuale di Pujehum. Qualche giorno prima della partenza li abbiamo incontrati nella loro casa ad Avesa.
– Daniela, con che spirito partite stavolta?
«Partiamo sempre con lo stesso spirito, che è quello di aiutare persone meno fortunate di noi. Siamo in pensione, abbiamo i figli oramai grandi e autonomi, ci siamo detti che era tempo di ripartire e questo progetto don Dante Carraro, direttore del Cuamm, ce lo ventilava da un po’ di tempo».
– Cosa andrete a fare?
«Gelmino andrà a fare il medico, come ha sempre fatto; io avrò il compito di gestire una guest house per medici specializzandi che, attraverso il Cuamm, scelgono di passare sei mesi della loro specializzazione presso l’ospedale di Pujehum in un progetto riconosciuto nel loro percorso. Il mio compito non sarà né quello dell’affittacamere, né quello della babysitter di giovani medici, ma quello di riempire di senso un’esperienza che per loro sarà prettamente sanitaria ma che il Cuamm, don Dante in primis, non vuole che sia solo tecnica e specialistica».
– Per esempio?
«Seguire questi giovani medici specializzandi nella vita anche al di fuori del tempo che passano in ospedale. Noi su questo abbiamo un po’ di esperienza, fatta in Tanzania 30 anni fa e in Sud Sudan 4 anni fa: finito il tempo giornaliero passato in corsia, il contesto africano particolare, qual è certamente quello della Sierra Leone, non offre le possibilità di una qualsiasi città italiana o europea. E allora che fai? Ti rifugi in camera attaccato a internet che spesso non c’è o impieghi il tuo tempo in maniera diversa? Ecco, il mio compito sarà quello di far fare a questi medici esperienze di contatto con il contesto, perché possano capire davvero dove si trovano e il perché di tante cose che magari stando nelle corsie del reparto sfuggono o non acquistano la giusta visione».
– Una su tutte? «Perché la Sierra Leone, Paese ricchissimo, è tra i più poveri del mondo? Perché in Sierra Leone si muore ancora di morbillo o per una semplice diarrea? Cercare di far capire loro il perché, il “cosa ci sta dietro” ad alcune cose che vedono in corsia».
– Gelmino, il suo compito quale sarà?
«Avrò due incarichi: sarò il tutor di questi specializzandi e mi inserirò nell’ospedale gestendo un progetto particolare che il Cuamm vuole sviluppare, legato alle patologie emergenti anche in Africa, come le cardiopatie e il diabete. Mi ricollego a Daniela: la Sierra Leone è al 182° posto su 189 nella classifica dei Paesi in via di sviluppo. L’indice di mortalità materna è di 1.120 ogni 100mila nati vivi, quello di mortalità neonatale di 78,5 ogni mille nati vivi. Queste cifre si avvicinano a quelle naturali e sono impressionanti perché è come se il sistema sanitario non esistesse. Lavorare nel mondo sanitario in Sierra Leone vuol dire compiere innanzitutto una missione, che è quella di salvare vite».
– Quali sono i numeri dell’ospedale di Pujehum?
«L’intervento del Cuamm nel distretto sanitario di Pujehum vuol dire ospedale e sei centri di salute periferici per migliorare la qualità dei servizi di urgenza ostetrica e neonatale. Si fanno 12mila parti assistiti all’anno, di questi quasi mille nella struttura ospedaliera, e di questi 450 parti cesarei. 14mila sono le visite prenatali, di queste 2.585 nell’ospedale. Senza parlare delle campagne vaccinali a tappeto per i bambini».
– Cos’è che vi fa ripartire?
«Tante considerazioni, come diceva Daniela: siamo in pensione, i figli sono grandi e autonomi, sentiamo il mondo della cooperazione internazionale, del volontariato, della missione da sempre come il nostro mondo. Tra queste considerazioni c’è anche quella che l’Africa dal punto di vista sanitario non sta certamente progredendo. O meglio, i ricchi possono curarsi, ma la gente... Se confronto le speranze di 30 anni fa in Tanzania e la situazione sanitaria di oggi in gran parte dell’Africa, è evidente che qualcosa non è andato come doveva andare. È scandaloso morire per dissenteria, eppure capita a centinaia di migliaia di africani ogni anno. Di chi è la responsabilità? Si aprirebbe un argomento ampio e articolato. Ma è questo che ci stimola sempre a rimetterci in viaggio».
– E allora buon viaggio e buon lavoro!
«Grazie!». 

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