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Quelle pillole piene di... niente che fanno tanto bene

L’effetto placebo: una lunga storia. Un libro indaga questo fenomeno 

Parole chiave: Effetto Placebo (1), Salute (63), Medicina (7)
Quelle pillole piene di... niente che fanno tanto bene

Pigliate ‘na pastiglia, siente a me... suona il ritornello di una orecchiabile canzone di Renato Carosone. A far bene al paziente, è ormai assodato, non sono solamente compresse e iniezioni: molto dipende dall’attenzione del medico, da un ambiente favorevole. Da quello che si può, in estrema sintesi, riassumere nel cosiddetto “effetto placebo”. Il termine, dal latino “io piacerò”, indica ogni sostanza o terapia priva di principio attivo che può provocare effetti paragonabili a quelli di farmaci realmente efficaci. Le aspettative di cura e guarigione sono influenzate, insomma, da fattori non sempre riconducibili alla sfera razionale dell’uomo. Quando stiamo male, quindi, vogliamo a tutti i costi guarire. Ancora meglio se in fretta. E, talvolta, l’efficacia della terapia non si misura con l’evidenza scientifica del trattamento: può bastare un placebo a persuadere il malato.

Nulla di nuovo secondo Giorgio Dobrilla, autore del volume Cinquemila anni di effetto placebo (edizioni Edra) che ha presentato nei giorni scorsi all’Accademia di Agricoltura, scienze e lettere in un incontro promosso nella sede di via Leoncino dalla storica istituzione e dall’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri di Verona. Quella del placebo è infatti una storia che attraversa i millenni, intorno alla quale c’è però parecchia incompetenza, ha esordito il primario emerito di Gastroenterologia all’ospedale regionale di Bolzano. A descrivere le interazioni tra la mente e il corpo aveva iniziato la medicina preistorica la quale, intuitivamente, si basava su elementi indiretti: l’istinto, il comportamento degli animali, l’assunzione di rimedi vari. «La scrittura storica scritta, iniziata 3mila anni fa, ci dà informazioni su patologie precise: lebbra, morbillo, colera, reumatismo. Già molto prima dell’avvento di Cristo le nozioni esistevano e sono state tramandate, per esempio nella stele del Codice di Hammurabi dove il Dio del Sole affida al re babilonese dei criteri medici», ha spiegato il noto divulgatore scientifico.

Il suo excursus storico è proseguito sfiorando prima la medicina magica sacerdotale delegata a sacerdoti, sciamani e capi tribù attraverso preghiere, sacrifici, rituali, amuleti e talismani; poi le pratiche empiriche che si basavano su credenze e sperimentazione da parte dei guaritori; fino alla medicina fondata sulle prove, che si avvale di studi clinici controllati. «Come placebo, sono state utilizzate cose incredibili: escrementi di coccodrillo, sperma di rana, zoccoli d’asino… L’umanità si è servita di tutto per stare meglio, soprattutto sotto la guida di santoni», ha proseguito Dobrilla. Compresa la triaca: farmaco di antiche origini (attribuito a Mitridate Eupatore o ad Andromaco, che era il medico di Nerone) da somministrare come antidoto contro i veleni e prodotto con la carne delle vipere adeguatamente trattata. Arrivando all’Ottocento, ha citato l’intruglio che il dottore di Napoleone formulò come rimedio contro il mal di pancia: peccato che la cura miracolosa contenesse nella ricetta originale “acqua di fonte grammi 50, stessa ripetuta, stessa distillata, niente altro grammi 100. Il tutto mescolato con cura”. Un placebo d’antan, per certi versi. Da intendere quale «sostanza priva di attività farmacologica specifica, ma di possibile efficacia sui sintomi se data a un soggetto che sia vigile e desideroso di ricevere un trattamento. Non è unicamente la sostanza, ma sono la situazione tranquillizzante del medico, il conforto di un amico o un sacerdote, un gesto di attenzione, un ambiente suggestivo a fare la differenza», ha continuato, specificando che i cambiamenti favorevoli nel corpo o nel complesso corpo-mente sono correlati al significato simbolico che il soggetto attribuisce a tali azioni.

Fondamentali sono infine la consapevolezza e la vigilanza: «Tre capsule solo più efficaci di una. L’iniezione di un placebo liquido è più efficace di una compressa o di una capsula. La compressa piccola è considerata più efficace di una grande. Tra una capsula e una compressa, risulta più efficace la prima», ha elencato, non trascurando una stoccata sulla effettiva validità dell’omeopatia. Persino l’occhio vuole la sua parte. «I colori hanno una rilevanza nella intensità della risposta da parte dei malati: il celeste per l’ansia, il giallo per la depressione, il rosa per l’inquietudine. Ma quello che conta di più – conclude Dobrilla – è l’adesione alla terapia consigliata da parte del paziente». Pigliate ‘na pastiglia… sì. Ascoltando prima di tutto quel che suggerisce il medico.

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