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«O cambiamo le nostre emissioni o il clima cambierà tutti noi»

di ADRIANA VALLISARI
L'esperta Elisa Palazzi: le soluzioni ci sono ma vanno adottate tutte quante subito 

«O cambiamo le nostre emissioni o il clima cambierà tutti noi»

Invertire la rotta per arginare il riscaldamento globale del pianeta, contenendo l’aumento delle temperature sotto 1,5°C entro il 2030. Come? Riducendo le emissioni che alterano il clima, investendo con più decisione sulle fonti di energia rinnovabile e abbandonando gli inquinantissimi combustibili fossili. È la “ricetta” per contenere la febbre del pianeta Terra, secondo l’ultimo rapporto dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, che raduna gli scienziati di 195 Stati. L’adattamento a condizioni climatiche diverse da quelle attuali – ben più estreme – da solo non basta.
Ce lo conferma pure la climatologa Elisa Palazzi, docente di Fisica del clima all’Università di Torino, che la scorsa settimana è stata ospite di “Open – Il Festival della cultura d’impresa” organizzato a Verona da Vecomp Academy. «Se ci si adattasse soltanto agli effetti già presenti del cambiamento climatico investendo energie, denaro e sforzi, ma continuando a emettere gas climalteranti in atmosfera, nessuno sforzo sarebbe sufficiente, perché il clima continuerebbe a cambiare sotto la spinta delle nostre “forzanti” antropiche», ci spiega. Mitigazione e adattamento devono andare di pari passo. «Solo se le si applica entrambe e contemporaneamente sono efficaci – prosegue la docente –. Ad esempio, i paesaggi rurali contribuiscono sia all’adattamento che alla mitigazione, assorbendo e immagazzinando il carbonio, tamponando gli effetti del cambiamento climatico e consentendo agli agricoltori di diversificare i propri mezzi di sussistenza».
Gli effetti visibili
«L’aumento medio della temperatura di 1,2°C nell’ultimo secolo, attribuibile con certezza alle attività umane, può sembrare poca cosa per noi, ma dal punto di vista climatico è un valore enorme – aggiunge –. Anche se si stanno verificando in fretta, questi cambiamenti ci sembrano lenti, se paragonati alle tempistiche della nostra quotidianità, quindi ne avvertiamo meno l’urgenza». Questo fino al 2022, per noi italiani: l’anno scorso, infatti, abbiamo toccato con mano le ripercussioni che la crisi climatica può avere sulle nostre vite. «Abbiamo assistito a quattro eventi estremi: il distacco di un pezzo del ghiacciaio della Marmolada, l’alluvione delle Marche, la secca del Po e la stagione estiva prolungata, con bagnanti in spiaggia a ottobre», esemplifica Palazzi.
Cubetti di ghiaccio...
«La criosfera, cioè la zona del pianeta in cui l’acqua è presente allo stato solido, è molto sensibile alle variazioni di temperatura – continua la professoressa, che studia in particolare le montagne, ambienti-sentinella del cambiamento climatico –. Ce ne accorgiamo tirando fuori dal freezer un cubetto di ghiaccio: mettendolo sul tavolo, vediamo che fonde; ma se alziamo la temperatura della stanza in cui ci troviamo, fonde prima. Questo è quello che sta succedendo coi ghiacciai del nostro pianeta, termometri naturali che ne misurano lo stato di salute». La fusione di questi serbatoi d’acqua ha comportato un innalzamento del livello del mare, al ritmo di 4 millimetri all’anno, in media. Risultato? Inondazioni più frequenti, mareggiate più distruttive, migrazioni di massa in alcune isole del Pacifico; in certi luoghi del mondo cambieranno le cartine geografiche e diminuirà la biodiversità terrestre e marina: «Ogni anno, già ora, perdiamo tra le 11mila e le 58mila specie presenti sulla Terra, che non riusciamo nemmeno a catalogare».
... e siccità prolungata
Anche nella nostra area mediterranea assistiamo a situazioni inedite. «In contemporanea si hanno sia prolungati periodi di assenza di precipitazioni, sia situazioni di nubifragi e alluvioni – continua la climatologa –. Può sembrare un apparente contrasto, invece sono due facce della stessa medaglia, perché l’aumento globale della temperatura sta modificando il ciclo dell’acqua». L’Italia, oltretutto, si trova in un punto caldo del clima, ovvero un luogo del pianeta che si è scaldato di più e più in fretta. «Sono mutate le fasce climatiche, così come le avevamo studiate a scuola – rileva la ricercatrice –. L’aumento della temperatura a livello globale ha cambiato la circolazione atmosferica, in particolare quella sub-tropicale; l’anticiclone africano, che ne è la manifestazione, arriva da sud alle nostre latitudini, spingendosi fino alle Alpi: persiste portando una cappa di caldo e siccità e, quando si ritira, il contrasto di masse d’aria diverse genera precipitazioni intense e concentrate».
Correre ai ripari
«C’è già la roadmap per restare a un livello di sicurezza climatica: si tratta di rispettare gli impegni globali presi, a partire dall’accordo di Parigi, per cui dal 2015 ogni Paese si è impegnato a ridurre le proprie emissioni, con delle revisioni ogni 5 anni – dice Palazzi –. Questi impegni permetterebbero alla temperatura del nostro pianeta di non superare una certa soglia (1,5°C) e di evitarci di vivere in un mondo più caldo di 2-3° rispetto al livello pre-industriale». Un esempio di scenario possibile? Abitare in Stati in cui il termometro si fermerà sopra i 45°, con effetti immaginabili sulla salute. Le tecnologie ci aiuteranno moltissimo, nel passaggio a un mondo senza combustibili fossili, responsabili del riscaldamento a livelli incontrollabili. «Sappiamo che sono migliorabili, ma talvolta, pur di non affrontare l’elefante nella stanza, troviamo delle minuzie che ritardano le soluzioni già esistenti», sottolinea. La teoria è chiara, da tempo; occorre passare alla pratica. «Basta usare gli strumenti già a nostra disposizione: la vastità di energie rinnovabili che abbiamo, se usate correttamente insieme a una piccola frazione di nucleare, basterebbe a soddisfare il nostro fabbisogno energetico senza scomodare i combustibili fossili, che sono il passato – conclude –. Nessuno risolverà il problema al posto nostro, dobbiamo farlo noi, come ci hanno insegnato i ragazzi, che hanno innescato una rivoluzione positiva: è una questione trans-generazionale di cui ci dobbiamo tutti occupare».

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