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I rifugi di montagna sentinelle del cambiamento climatico

di ADRIANA VALLISARI
Una Terra sempre più calda: in quota i dati per monitorare la situazione 

I rifugi di montagna sentinelle del cambiamento climatico

di ADRIANA VALLISARI
Il cambiamento climatico? C’è, e sulle nostre montagne si vede. Lo scioglimento dei ghiacciai alpini dovuto all’aumento delle temperature è l’immagine che chiunque, anche chi non è addetto ai lavori, associa a qualcosa che non va. Perché in quota la crisi del clima è evidente e si percepisce di più: si manifesta con l’aumento delle temperature, la variazione del regime delle precipitazioni e una maggior frequenza degli eventi meteorologici estremi. Pure sulle montagne veronesi l’inverno “vero” è un lontano ricordo: in questi mesi di neve ne è caduta poca, e se febbraio e marzo non cambieranno il passo, fra un po’ di tempo ci ritroveremo a parlare ancora di siccità in pianura; inoltre, la neve rimasta è stata (o sarà) mangiata dall’innalzamento termico, con temperature più alte anche di 10 gradi rispetto alla media del periodo.
Un problema che riguarda tutti, non solo chi ama fare passeggiate in Lessinia o indossare gli sci da fondo. I nostri monti risentono dei cambiamenti climatici in modo più marcato, perché l’Italia si trova in un “hot spot” climatico, dove cioè gli impatti sono più pesanti che altrove. Ecco perché le montagne, per queste caratteristiche e per la loro posizione lontana da fonti inquinanti, rappresentano i luoghi ideali per fare ricerca sul clima e le sue variazioni. Il progetto “Rifugi sentinella del clima e dell’ambiente”, la prima rete montana di monitoraggio meteoclimatico interconnessa messa in piedi dal Cai (Club alpino italiano) e Cnr (Centro nazionale ricerche), punta a mettere in rete i rilievi che verranno effettuati d’ora in avanti con sofisticate centraline. Dalle Alpi agli Appennini, arrivando fino all’Etna, sono 21 i rifugi sentinella collegati; fra questi c’è anche il veronese “Gaetano Barana” al Telegrafo, sul Baldo, cima che a 2.147 metri d’altezza domina il lago di Garda. Dotato, come gli altri, di webcam e strumenti per misurare umidità relativa, pressione atmosferica, temperatura, radiazione solare e direzione del vento, anche il rifugio Telegrafo contribuirà al monitoraggio; i dati, raccolti e trasmessi in tempo reale, si possono consultare sul sito rifugisentinella.cai.cnr.it
«Le montagne sono la parte più debole dell’Italia, quella che risente maggiormente dei cambiamenti climatici: veniamo da un 2023 che è stato classificato come l’anno più caldo, a livello globale, da quando ci sono le misurazioni – ricorda Antonio Guerreschi, presidente del Cai Verona, nella cui sede è stato presentato nei giorni scorsi il progetto –. Purtroppo il trend non migliorerà: siamo destinati a cambiamenti sempre più spinti e i rifugi sentinella ci daranno preziose informazioni sull’evoluzione del clima». Andando oltre la vocazione genetica di punti di ospitalità in quota, questi rifugi diventeranno dei piccoli centri di ricerca scientifica. E dei presidi per diffondere una nuova cultura di approccio alla montagna. «Uno dei problemi su cui dovremo confrontarci domani è l’acqua, che sta diminuendo sempre di più: non possiamo più pensare che un rifugio possa essere aperto a un numero infinito di visitatori, perché la montagna non ce la fa», sottolinea Francesco Abbruscato della sezione Cai di Mestre, vicepresidente della Struttura operativa rifugi del Cai centrale, nonché uno dei tanti gestori del rifugio Galassi, nelle Dolomiti bellunesi. Col progetto del Cai-Cnr, oltre ai dati meteorologici, anche sul Baldo si raccoglieranno le osservazioni geologiche, botaniche, faunistiche e quelle relative al buio notturno. «I cambiamenti climatici infatti hanno un impatto negativo su flora e fauna – spiega Giovanni Margheritini, componente del Comitato scientifico centrale del Cai –. Per esempio, sul monte Cimone, nell’Appennino tosco-emiliano, ci sono specie vegetali che fioriscono un mese prima del normale oppure fioriscono due volte, a fine stagione, senza però trovare gli insetti impollinatori; sul fronte della biodiversità, invece, si andrà incontro all’estinzione di specie criofile, che risultano più vulnerabili».
Il processo di osservazione e la raccolta dati in queste aree remote «ci dirà quanto male stanno andando le cose nel bacino del Mediterraneo e continueranno a peggiorare se non prendiamo provvedimenti, perché le stazioni in alta quota sono dei riferimenti per rilevare le emissioni di CO2, che cresce di anno in anno ed è un gas climalterante a vita lunga, restando 90-100 anni in atmosfera», aggiunge Paolo Bonasoni, dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna. «Dal 1980 al 2022 la temperatura media globale è aumentata di 0,8 gradi centigradi; in Italia, che è un “hot spot”, è cresciuta di 1,7 gradi centigradi, il doppio della media mondiale – spiega l’esperto –. L’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, ci dice che i recenti cambiamenti del clima terrestre sono generalizzati, rapidi e si stanno intensificando, colpendo ogni regione della Terra in molteplici modi. Stiamo vivendo un’evidente crisi climatica, ma perseveriamo nel vivere come se nulla fosse, anche se abbiamo gli strumenti e la tecnologia necessari per contenere l’ulteriore aumento delle temperature». Il sesto rapporto dell’Ipcc afferma che le opzioni per ridurre le emissioni di gas serra sono “molteplici, disponibili ed efficaci, e sono disponibili ora”: da qui al 2050 potremmo tagliare il 30% delle emissioni di CO2 nel settore industriale, il 44% in quello alimentare e quasi il 70% sia nel settore edilizio che nei trasporti su strada. «Siamo ancora in tempo per agire e contenere il riscaldamento globale: dobbiamo solo ricordarci, come dice papa Francesco, che da soli non ci si salva», conclude Bonasoni. 

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