Se la Terra frigge (e frigge) dobbiamo tagliare le emissioni. Oggi, non domani
di ADRIANA VALLISARI
L’esperto: noi contro un muro. Dobbiamo inchiodare, non rallentare
di ADRIANA VALLISARI
Domanda: se vi dicessero che per arrivare a zero emissioni di anidride carbonica, onde evitare di aumentare ulteriormente la temperatura globale del pianeta, bisognerebbe piantare qualche pala eolica nel vostro Comune di residenza, direste di sì? O sareste fra quelli che si oppongono strenuamente, i cosiddetti nimby (dall’inglese, not in my backyard, non nel mio cortile)? L’enorme questione della transizione ecologica, che ci impone di abbandonare i combustibili fossili per smettere di immettere in atmosfera gas che modificano il clima (ancor di più di quanto abbiamo già fatto), non si può certo ridurre alla domanda pala sì/pala no. Però dà un’indicazione sulla questione culturale sottostante, che è intrecciata a quella politica, economica e sociale: quanta consapevolezza abbiamo del fatto che il cambiamento climatico è irreversibile e che il tempo per correre ai ripari stringe?
Tecnologie pulite La crisi climatica è un fatto accertato e la causa sono le emissioni antropiche di gas a effetto serra in atmosfera, a partire dall’epoca della Rivoluzione industriale in poi. La transizione energetica sarà fondata sull’energia elettrica. E ne servirà tanta. Ci occorreranno molte più fonti “pulite” per produrla rispetto a quante non ne abbiamo oggi. In attesa di nuove scoperte tecnologiche, occorre applicare quelle già esistenti per de-carbonizzare, ovvero rimpiazzare l’elettricità prodotta dalle fonti fossili con quella generata da fonti rinnovabili, che non inquinano e non si esauriscono. Detta in termini semplici: bisogna passare dal carbone e dal gas naturale a pannelli fotovoltaici, pale eoliche, sonde geotermiche e così via. È una rivoluzione verde che va governata; perché va bene la buona volontà del singolo che installa i pannelli sul tetto di casa o che decide di passare all’auto elettrica (se ne ha la possibilità economica), ma per affrontare un problema dalla portata planetaria occorre una regia globale. È quello che hanno provato a fare le varie Conferenze delle parti (Cop), che si tengono ogni anno e ogni cinque sono decisorie: la Cop21 di Parigi 2015, con l’accordo che impegna 195 Stati a mantenere l’innalzamento della temperatura sotto i 2 gradi centigradi e – se possibile – sotto 1,5° rispetto ai livelli pre-industriali; e la Cop26 di Glasgow del 2021, che ha sancito l’impegno a raggiungere entro il 2050 la cosiddetta carbon neutrality, cioè le emissioni zero. Indicazioni e impegni che vanno però tradotti in azioni concrete nei singoli Stati, investendo nella transizione non solo a parole, ma supportando nei fatti questa radicale trasformazione del sistema.
A che punto siamo? «Le tecnologie ci sono, basta applicarle», sottolinea Marco Giusti, ingegnere veronese molto impegnato nella divulgazione scientifica di queste tematiche, tra i relatori della “Settimana Verde” organizzata a Villa Buri. C’è un dato da tenere a mente: la temperatura media globale del pianeta è aumentata di 1,25 gradi dal 1850 a oggi. E da oltre un milione di anni il nostro pianeta non era così caldo. «L’innalzamento delle temperature comporterà un aumento di frequenza e di intensità degli eventi estremi, come le ondate di calore e la siccità – spiega –. Prendiamo ad esempio le ondate di calore: con un grado in più di temperatura media globale, e ci siamo già dentro, l’evento che accadeva una volta ogni dieci anni succederà 3 volte ogni 10 anni e con un’intensità di maggiore di 1,2 gradi; se andiamo a +1,5 gradi ce l’avremmo quattro volte in ogni decennio e con un’intensità di +2 gradi, e così via; analogamente avverrà per la siccità, che cambierà la produzione alimentare e comporterà spostamenti delle popolazioni per necessità», illustra. Più il termometro salirà, più dovremo adattarci a condizioni diverse dalle attuali, è bene saperlo. «In termini di consapevolezza, non vedere nell’immediato gli effetti delle emissioni è paragonabile al ricevere una multa un mese dopo che si è percorso tutti i giorni la stessa strada a una velocità troppo elevata», aggiunge. Solo che la multa che ci aspetta se non invertiamo la rotta, è uno stravolgimento del mondo per come lo conosciamo finora. Per ora, sembrano esserne consapevoli solo i giovanissimi che protestano con i Fridays for future. «Già un anno fa l’Unep, l’organismo dell’Onu per la protezione ambientale, ha avvertito che la finestra dell’opportunità di rimanere entro l’innalzamento di un grado e mezzo delle temperature globali si sta chiudendo e con le misure attualmente in vigore non ci stiamo riuscendo – spiega –. La scelta che abbiamo davanti, come umanità, è di fare la transizione energetica in 15 anni oppure in 150 anni, come stiamo facendo ora. In 150 anni, però, vuol dire aumentare di 7 gradi la temperatura media globale: una cosa che è fuori da ogni immaginazione possibile della vivibilità del pianeta. E cambia anche se faremo scelte da cittadini consapevoli, negoziando e aiutando gli ultimi, o se prenderemo decisioni a buoi scappati dalla stalla».
No ai complotti È da anni che l’Ipcc, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, creato nel 1988 dall’Onu allo scopo di studiare il riscaldamento globale, mette in guardia l’umanità. Ogni cinque anni 800 scienziati di tutto il mondo – tre per ogni Stato – vagliano tutti gli studi pubblicati nel quinquennio precedente e ci dicono cosa sta succedendo, come ci si proietta in avanti e cosa possiamo fare per contenere l’aumento delle temperature e le relative conseguenze. «Siamo al sesto report dell’Ipcc, l’ultimo è uscito nel 2021: ha analizzato 14mila studi e li ha sintetizzati in cinquemila pagine, che rappresentano la voce corale della comunità scientifica; quindi quando sentite dire che gli scienziati non sono concordi sul cambiamento climatico è una bugia: i negazionisti non hanno nessun fondamento scientifico», avverte Giusti. Per fermare il riscaldamento globale occorre azzerare le emissioni di CO2. E lo dobbiamo fare non solo perché altrimenti certe isolette del mondo finiranno sott’acqua, ma perché siamo tutti sulla stessa barca, per citare ancora una volta papa Francesco.
Agire con rapidità Quindi? Prendere consapevolezza di questo come cittadini, aver chiaro come stanno le cose, senza negarle o rimanere schiacciati dall’eco-ansia, è già qualcosa. Poi bisogna puntare con decisione alle emissioni zero. «Indietro non si torna più, ma si può continuare a peggiorare o provare a cambiare le cose: dobbiamo pensare in termini biblici, perché le azioni di oggi ricadranno sulle future generazioni – avverte l’esperto –. I prossimi anni saranno decisivi per restare entro il grado e mezzo di aumento delle temperature e quindi rispettare il “carbon budget residuo”, ovvero la quantità-limite di anidride carbonica che i Paesi possono immettere nell’atmosfera». C’è un tema serio di negoziazione, intergenerazionale e tra gli Stati. Ecco perché si parla di destino comune: occorre collaborare per forza per trovare una soluzione. «Il problema non è tecnico, gli ingegneri e i fisici l’hanno già risolto: il problema è politico, sociale, culturale, educativo, informativo – conclude –. Per farcela in 15 anni la soluzione è come uno sgabello a tre gambe e sta in un mix di azioni: cambiare i consumi in modo da essere consapevoli che non viviamo in un pianeta dalle risorse infinite; migliorare l’efficienza energetica degli edifici (per esempio, fare il cappotto alla casa e sostituire le caldaie con le pompe di calore); eliminare i combustibili fossili per lasciare spazio alle rinnovabili (convertendo l’industria e i trasporti). Se siamo in autostrada ai 130 km all’ora e c’è un tir di traverso, non basta più togliere il piede dall’acceleratore quando mancano 200 metri, bisogna frenare con decisione: siamo nella stessa situazione».
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