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Informazione e prevenzione contro “L’invisibile violenza finanziaria”

di REDAZIONE

La tematica è stata affrontata in un convegno promosso dal Gruppo ApiDonne di Apindustria Confimi Verona

Informazione e prevenzione contro “L’invisibile violenza finanziaria”

di REDAZIONE
Ha diverse declinazioni la violenza: può essere fisica, psicologica, sessuale. Esiste anche la violenza economica e rappresenta, a tutti gli effetti, un ostacolo alla libertà della persona. Se n’è parlato nella tavola rotonda “L’invisibile violenza finanziaria” promossa dal Gruppo ApiDonne di Apindustria Confimi Verona presso la Sala Convegni del Banco BPM, in via San Cosimo a Verona. L’evento, patrocinato dal Comune di Verona, rientra tra le iniziative promosse dagli Assessorati Parità di Genere e Pari Opportunità in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La tematica è stata affrontata da varie prospettive, spaziando dall’ambito legislativo alla gestione del rischio nel contesto economico-sociale fino alle ricadute psicologiche che la violenza economica può avere nei soggetti fragili. Fermarsi alla definizione di violenza – intesa come uso della forza fisica in modo brutale e irrazionale per imporre la propria volontà e costringere alla sottomissione – è riduttivo, secondo Marisa Smaila, presidente di ApiDonne. Come Gruppo di donne imprenditrici, ha spiegato, «crediamo fortemente che la libertà dell’individuo debba passare dalla conoscenza, perché solo conoscendo è possibile attuare scelte consapevoli». Finalità dell’incontro, ha proseguito, «non è dare giudizi, pregiudizi o opinioni in tema di violenza o dipendenza economica, insegnare cosa è giusto o meno fare». L’obiettivo è invitare alla riflessione: «Affinché, anche solo una di noi, si chieda se ha scelto la propria vita senza condizionamenti esterni ma soprattutto ad avere la consapevolezza che, solo se indipendenti economicamente, possiamo scegliere ogni giorno la nostra vita».
Moderate da Ludovico Mantoan dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti di Verona, si sono alternate diverse voci. «Per le donne, fare impresa è un’opportunità a tutti gli effetti, motivo di piena affermazione professionale e non solo come semplice auto-impiego», ha ricordato Vincenza Frasca, presidente del Gruppo Donne Imprenditrici di Confimi Industria. A supporto, intervengono i numeri: «Sono 1 milione e 342mila le imprese femminili nel nostro Paese nel 2021 secondo Unioncamere e nel settore industriale si è osservato un aumento di quelle guidate da donne di 600 unità rispetto al 2020». Si tratta per lo più di micro realtà (da o a 9 addetti), concentrate prevalentemente nel settore dei servizi come sanità e assistenza: «Welfare che spesso trova nell’imprenditoria femminile una carica innovativa dei servizi offerti. Occorre dunque incentrare politiche per lo sviluppo dell’impresa giovanile femminile, investimento necessario per il futuro della crescita del Paese», ha evidenziato. Punto dolente è la longevità dell’imprenditoria “in rosa”: a cinque anni sopravvive solo il 68% delle attività. «Una delle maggiori barriere è l’insufficienza o totale mancanza di risorse economiche all’interno dell’impresa o esterni come finanziamenti bancari, venture capital. Molto spesso gli strumenti non sono neppure conosciuti dalle imprenditrici o non compresi a causa del troppo tecnicismo che caratterizza tali misure. «Al di là degli aiuti contenuti nella legge di bilancio e nel Pnrr, degli interventi presenti e futuri – ha rimarcato Frasca –, ciò di cui necessitano le imprese femminili, e non solo, è il recupero del rapporto banca e impresa che si è perso nel tempo e ha visto nel “rapporto digitale e cartolare” il modus operandi in luogo di quello umano». In risposta, il Gruppo Donne di Confimi Industria ha stilato un manifesto per le imprenditrici delle pmi, che sarà portato a Bruxelles.
Ha introdotto il tema del rischio e della sua gestione Barbara Gaudenzi, docente del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi di Verona e socia del Club Inner Wheel Club Verona Bee Lab. Concetto antico, ha detto, quello del rischio che «spesso ha valenza solo negativa di “evento avverso”, mentre talvolta è collegato a potenziali opportunità». Ad esempio negli investimenti finanziari o nei progetti di crescita aziendale. Uomini o donne possono essere avversi o propensi al rischio in base a fattori individuali, psicologici, sociali o ambientali. «Il rischio è collegato all’analisi, implicita o esplicita, delle due variabili che lo caratterizzano – ha aggiunto –: la probabilità di accadimento dell’evento e la sua gravità in termini di perdite o danni, che lo rendono entità misurabile, a differenza dell’incertezza». Analisi e gestione del rischio sono processi oggettivi, basati anche sulla percezione soggettiva del rischio, sia in un’impresa che in un contesto sociale quale la famiglia. «Ognuno di noi affronta quotidianamente decisioni nella propria vita familiare e nelle imprese. In azienda, saper valutare e gestire i rischi nei piani finanziari è essenziale per apparire solidi e affidabili».
In generale, sono necessarie informazione e prevenzione per Giuseppina Vellone, psichiatra psicoterapeuta responsabile del progetto Casa di Deborah. La violenza economica, ha dichiarato, «è un fenomeno subdolo di cui si discute molto solamente negli ultimi anni. Da un’indagine espletata su un campione di mille donne italiane è risultato che il 12% di queste subisce violenza economica in famiglia». Di cosa si tratta? Di azioni messe in atto al fine di controllare, monitorare, limitare o addirittura negare l’utilizzo e l’accesso alle risorse economiche di un’altra persona. «Il controllo economico del partner porta la donna ad uno stato di dipendenza e di continue giustificazioni, a prescindere dal fatto che essa sia o meno lavoratrice», ha chiarito, precisando che in Italia il 69% delle donne vittime di violenza economica lavora. «Queste dinamiche disfunzionali sono molto diffuse in tutte le tipologie di coppie, indipendentemente dalle fasce di reddito, e purtroppo il 34% delle vittime fatica a riconoscere la gravità della situazione e il 44% dichiara di non averne mai sentito parlare prima», ha sintetizzato Vellone. La violenza arriva da lontano, secondo la psicoterapeuta: «In alcuni casi parte proprio dallo stile di attaccamento sperimentato nelle prime fasi della vita, ma la radice più significativa si innesta negli stereotipi sociali di una cultura patriarcale. Si può fare qualcosa? Assolutamente sì. Bisogna fare prevenzione e informazione».
A chiudere gli interventi è stata infine la testimonianza di Maria Antonietta Bergamasco, pedagogista e welfare officer di Quid Impresa Sociale i cui progetti sono mirati al riscatto. «Il meccanismo oppressivo della tratta ingenera da un debito contratto per raggiungere una terra promessa e una possibilità altra di vita; è un meccanismo che svela il suo inganno solo all'arrivo nel paese di destinazione», ha descritto. Qui interviene il lavoro di rete svolto da piccole e grandi realtà, tra istituzioni, servizi e imprenditoria sociale: «Aiuta ogni anno decine di donne, e di uomini, a riscattarsi, opponendo a vicende di violenza e privazione percorsi di indipendenza, riscatto, rinascita».
(Fonte: Comunicato stampa)

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