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Il discorso del vescovo Domenico alla città di Verona

di REDAZIONE
Dalla basilica di san Zeno, al termine delle visite-lampo nei 14 vicariati, un'esortazione al "bene comune"

Il discorso del vescovo Domenico alla città di Verona

di REDAZIONE

«Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon mattino». Per ben tre volte il Salmo 127 (126) ricorre all'espressione "invano"per affermare chela casa, la città, il lavoro, i figli avranno consistenza solo se Dio accompagna lo sforzo umano. Detto in parole povere: è vano affrontare i problemi comuni come fossero un’impresa individuale; è inutile pensare di risolvere i problemi di una città ricorrendo al confronto muscolare; è ingannevole la ricerca di consenso e l’uso strumentale di fenomeni complessi come la povertà o l’immigrazione; è velleitario pensare di amministrare un territorio senza una visione, senza un’idea condivisa di bene comune, senza l’ascolto attento e amorevole della gente; è illusorio, infine, ritenere che la denatalità, l’educazione dei figli, il disagio degli adolescenti, l’emergenza abitativa per le giovani coppie siano problemi privati e non una questione pubblica, collettiva, che riguarda il comune destino.

L'attività umana non basta a se stessa. Occorre qualcosa di "oltre", di gratuito, di eccedente: occorre un “bene comune”. Al termine della visita-lampo nei 14 vicariati posso dire di aver intravisto innumerevoli “volti” di persone che fanno lievitare il “bene comune”: quelli che si impegnano ogni giorno nelle istituzioni e nel volontariato; quelli che come imprenditori hanno cura di far crescere collaboratori e clienti; quelli che insegnano e si impegnano per integrare figli e famiglie, anche di immigrati; quelli che nel mondo della salute si prendono cura dei malati; quelli che si fanno carico dei disabili e delle diverse forme di dipendenza per aiutare la società a non implodere.

Dinanzi alla crisi permanente di oggi, sotto la spinta dei due vettori del cambiamento che sono la sostenibilità e la digitalizzazione, ci ritroviamo come di fronte ad un bivio: decidere ancora una volta che è la libertà – e con essa la democrazia e l’iniziativa personale, il pluralismo, la sussidiarietà, la solidarietà, la pace – la carta vincente per affrontare le nuove sfide della fase post-pandemica o scivolare impercettibilmente verso quell’esonero dalla responsabilità, che invoca misure forti dall’alto e dall’esterno, subendo il fascino di modelli che non amano la libertà. La scelta è tutt’altro che scontata e a costo zero: solo sovra investendo sulle persone e la qualità delle nostre relazioni personali e istituzionali possiamo pensare di farcela. Non in astratto, ma molto concretamente, con un massiccio e consapevole investimento nell’educazione. Non è affatto detto che ce la faremo, ma i risultati arriveranno se torneremo ad interrogarci su quel bene inestimabile che è la libertà. Dopo gli anni dell’io e della concorrenza, per sfuggire alla rabbia e all’aggressività crescenti viene il tempo del noi e della collaborazione. Al di là del suo grembo relazionale, infatti, la vita umana si impoverisce perdendo pezzi preziosi di realtà. Impoverisce il suo cuore e la sua ragione. La sua intelligenza. Il suo pensiero, il suo spirito. E così impoverisce il mondo, perdendosi nell’incuria e nell’indifferenza. San Zeno che è il “genius loci” di Verona è rappresentato sempre con una singolare canna da pesca. Ci aiuti a “pescare” dentro di noi quell’attitudine relazionale che costruisce non invano il “bene comune”.

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