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«Fare spazio alle madri e alle donne (reali) per uscire dallo spiraglio della violenza»

di LUCA PASSARINI

La teologa Lucia Vantini e il ruolo del mondo femminile nella Chiesa e nella società

«Fare spazio alle madri e alle donne (reali) per uscire dallo spiraglio della violenza»

di LUCA PASSARINI

Si è da poco concluso un 2023 segnato da tante notizie di conflitto tra popoli e tra persone, lasciando lo spazio a un anno nuovo, con il suo carico di speranze. Ne abbiamo parlato con Lucia Vantini, docente di Filosofia e Teologia prevalentemente allo Studio teologico San Zeno e all’Istituto di Scienze religiose “San Pietro Martire” di Verona; presidente del Coordinamento delle teologhe italiane, nei mesi scorsi è stata inviata a parlare al Consiglio dei cardinali riguardo il ruolo della donna nella Chiesa.

– Papa Francesco, pur dedicando gran parte del Messaggio per la pace 2024 alla sfida portata dall’intelligenza artificiale, ha affermato in un passaggio che la questione alla base di tutto rimane sempre riconoscere e accogliere “l’altro nella sua inalienabile dignità”: si ritrova in questa espressione? Come vede oggi la nostra società umana a questo riguardo? E quella italiana?

«Come ogni espressione portatrice di una visione del mondo, anche questa nasconde in sé la ricchezza della realtà con le sue pluralità, differenze, contraddizioni e tensioni, per cui è un’espressione che deve rimanere aperta. Mi piacerebbe allora che altro non fosse un nome – l’altro –, ma un aggettivo da declinare nel genere, nel numero, nelle lingue e nelle culture. Allora altro/a diventerebbe un aggettivo con cui proteggere ogni essere dalla nostra arroganza e con cui restituire dignità a ogni frammento di mondo: una dignità appunto “inalienabile” perché non può essere né comprata né venduta né regalata né pretesa. Occorre però non limitarsi a riconoscere questo: per noi l’inalienabile deve diventare l’irrinunciabile, cioè qualcosa a cui non vogliamo né possiamo rinunciare quando parliamo, agiamo, facciamo scelte nell’ambito dell’intelligenza artificiale, ma anche più in generale nell’ambito della scienza, della tecnica, della cultura e della politica. In Italia, ma non solo, serve una formazione a tutto questo. Finora si è ragionato attraverso la paura, generando inevitabilmente da un lato resistenze identitarie e dall’altro disaffezione al discorso delle differenze».

– La realtà assume forse toni ancora più drammatici se ci concentriamo sulla relazione uomo-donna. Come vede la situazione, quali passi sono stati fatti e quali sfide riconosce per il futuro?

«Le relazioni tra i sessi sono sempre state complesse e incerte nel loro esito d’amore, di giustizia, di collaborazione, ma indubbiamente qualcosa è cambiato per sempre da quando le donne hanno smesso di dare credito al patriarcato, cioè hanno smesso di credere alla loro inferiorità rispetto agli uomini, alla loro incapacità di portare qualcosa di buono nello spazio pubblico o nel mondo del lavoro, a un destino “naturale” che le confinava in casa nella dedizione di una cura senza giustizia. La libertà femminile ha inevitabilmente toccato la vita degli uomini, con un impatto simbolico e pratico senza precedenti. Alcuni hanno compreso che quella libertà serve a costruire un mondo comune; altri si sono sentiti minacciati finendo per rianimare – in tanti modi differenti – anacronistiche gerarchizzazioni tra i sessi. Il futuro dipenderà dal coraggio femminile di trasmettere un senso condiviso di questa esperienza di liberazione, ma anche dal coraggio maschile di sottrarsi a un gioco truccato e a tutti i suoi privilegi, per ripartire da quel senso di parzialità e di limite che ancora non riusciamo a insegnare ai bambini».

– E nella Chiesa, cosa e come si sta muovendo riguardo a questo?

«La Chiesa cattolica non può pensare di tenersi fuori dalle questioni di genere. Ci vogliono competenza ed esperienza in questo campo – questo non andrebbe mai dimenticato e c’è lavoro da fare –, ma almeno si riconosca che la buona notizia non è neutra, senza storia, senza mediazioni giuste e purtroppo anche ingiuste. La speranza cristiana è universale: è per tutte, per tutti e per tutto (la creazione tutta entrerà nella libertà della gloria delle figlie e dei figli di Dio, anche se ora geme ed è in travaglio, Rm 8,22-23). È la speranza di un dolore guarito, di una schiavitù liberata, di una corruzione che diventa gloria, di una morte che si trasforma in vita. Tuttavia i dolori, le schiavitù, le corruzioni, le morti non sono tutte uguali e c’è bisogno di una lingua e di una pratica di differenza/e per poterne rendere conto e per poter vivere una reale prossimità. Proprio nell’omelia di apertura di questo 2024 trafitto dalle guerre e dalle logiche del consumo con cui sacrifichiamo vite e ambienti, papa Francesco ha detto che la Chiesa ha bisogno di dare spazio alle donne se vuole “essere generativa attraverso una pastorale fatta di cura e di sollecitudine, di pazienza e di coraggio materno” e che “il mondo ha bisogno di guardare alle madri e alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono. E ogni società ha bisogno di accogliere il dono della donna, di ogni donna: di rispettarla, custodirla, valorizzarla, sapendo che chi ferisce una sola donna profana Dio, nato da donna”. Sono belle parole, ma desidererei tanto che questa giusta attenzione alle donne uscisse da una concezione romantica del femminile e servisse alle donne reali che abitano le nostre comunità aprendo percorsi nuovi, senza limitarsi a fare da cassa di risonanza a ciò che già c’è. A essere dono, infatti, sono anche e soprattutto le donne che hanno il coraggio della critica, della profezia, della trasformazione».

– Nelle settimane scorse ha parlato al Consiglio dei cardinali proprio riguardo il ruolo della donna nella Chiesa. Come è andata?

«Abbiamo parlato di questi temi. Non ero sola, ma con suor Linda Pocher e con don Luca Castiglioni. Ci era stato chiesto di approfondire il cosiddetto principio mariano-petrino del teologo Hans Urs Von Balthasar, un concetto che spesso ritorna nelle argomentazioni di papa Francesco. È l’idea di una Chiesa maschile sul piano delle istituzioni, ma femminile sul piano spirituale. In chiave strettamente teologica, abbiamo mostrato che, soffermandosi sui principi, Balthasar non aveva affatto in mente questa strana complementarità tra i sessi dove si assegna a lui il ministero e a lei il carisma. In quell’occasione, ho cercato di esprimere ciò che nel Coordinamento teologhe italiane sappiamo bene e condividiamo da sempre: certe idealizzazioni del femminile, anche quando motivate dalle migliori intenzioni, finiscono per cancellare le donne reali, le estromettono come soggetti politici e le emarginano come voci profetiche. Grazie alla casa editrice Paoline, da quella giornata di confronto esce per fine gennaio un piccolo libro con i nostri tre contributi e con prefazione di papa Francesco. Avrà come titolo una domanda: Smaschilizzare la Chiesa?». 

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