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Dentro questi piatti il sapore della vittoria

di MARTA BICEGO

A prepararli sono i giovani con disabilità intellettiva della start up “Good Food” di Valemour

Dentro questi piatti il sapore della vittoria

di MARTA BICEGO

Condividere un pasto, un’opportunità, una visione. Ha tante possibili declinazioni (anche gustose) il progetto che Valemour, generatore d’impresa della Fondazione Più di un sogno, ha pensato per assicurare formazione e inserimento lavorativo a un gruppo di giovani con disabilità intellettiva. Perché “Good Food” ha tanti ingredienti a comporre la sua ricetta: un pizzico di coraggio nell’avviare un’attività che procede oltre le difficoltà della pandemia; la giusta dose di determinazione nel trovare il posto adatto in cui ciascuno possa esprimere al meglio le personali potenzialità e dare il proprio contributo nella società; infine, una spolverata di speranza.

L’iniziativa è stata servita in vista del 21 marzo, Giornata mondiale sulla sindrome di Down: per l’occasione il CoorDown, Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down, ha raccolto la sfida della pandemia e della crisi sociale per affermare che l’inclusione porta benefici nel contesto lavorativo e nella società in generale. Obiettivo sostenuto col video in cui l’artista inglese Sting interpreta la canzone originale The Hiring Chain, su cui è incentrata la campagna. Musica, parole, immagini compongono la narrazione della catena virtuosa dell’inclusione lavorativa: le ragazze e i ragazzi protagonisti del video e della canzone mostrano che quanto più le persone con disabilità vengono viste impegnate al lavoro, tanto più sono riconosciute come dipendenti di valore. Superate le basse aspettative e i pregiudizi, scaturiscono opportunità di nuove assunzioni. E qualcosa, nel profondo, cambia. Stesso meccanismo che desidera innescare la start up “Good Food” con la possibilità di ordinare e ricevere gustosi pranzi da consumare sul luogo di lavoro o a casa: cibo da asporto, buono e che fa bene, di cui potranno usufruire aziende e privati. A prepararlo sono ogni mattina le mani di sei giovani chef, sotto la supervisione della cuoca Caterina Pegorari e dell’educatrice Irene Bossio, nel nuovo laboratorio cucina sito a Zevio. Il progetto si realizza grazie al concreto supporto per l’acquisto dell’attrezzatura da parte di Banco Bpm e al decisivo coinvolgimento di Fondazione San Zeno di cui la direttrice, Rita Ruffoli, ricorda quanto «la possibilità di dare una forma alle proprie capacità attraverso un mestiere, significhi prima di tutto trovare un posto nella società. Un lavoro, vero, dà valore a ciò che siamo e a quanto possiamo offrire a noi e agli altri».

Come spiega Marco Ottocento, ideatore di Valemour, «“Good Food” è un’opportunità che diamo ai ragazzi più fragili e con disabilità intellettiva più complessa, che hanno maggiori difficoltà a trovare un inserimento lavorativo al di fuori dei nostri spazi. Per loro cerchiamo il posto adatto, in ambiente protetto, rendendoli parte di un processo produttivo reale e dando loro un’occupazione inclusiva e appagante». Come luogo, la scelta è ricaduta su una cucina ben attrezzata di 200 metri quadri, in cui la tecnologia dell’atmosfera controllata garantisce ai lavoratori il giusto tempo per le lavorazioni e il mantenimento delle proprietà organolettiche degli alimenti, aumentando la conservazione del prodotto e la riduzione dello spreco alimentare. Le pietanze, servite in piccole vaschette monodose, possono essere conservate per 15 giorni e questo permette di organizzare al meglio le preparazioni, rispettando i tempi dei giovani cuochi. Bancone di prova è stato, nel 2019, l’incontro con l’azienda Aquest, del gruppo Wpp, di San Giovanni Lupatoto con la quale è stata sperimentata per la prima volta e prosegue una convezione ex art.14 per l’inserimento lavorativo di giovani con disabilità intellettiva fornendo un servizio di ristorazione aziendale. Sulla base di questa esperienza, l’idea si è consolidata in una start up che crea un punto d’incontro tra mondo profit e non profit, realizzando un’economia che guarda sì al profitto, ma in particolare al bene comune.

«Lo scorso anno abbiamo dovuto affrontare sfide difficili e abbiamo anche pensato di bloccare questo nuovo progetto così impegnativo – rivela Ottocento –. Poi abbiamo scelto di proseguire perché siamo sicuri che le imprese veronesi possano trovare in “Good Food” un doppio servizio utile per offrire ai collaboratori un buon pranzo e al tempo stesso creare un cambiamento di prospettiva per l’inserimento lavorativo di persone con disabilità». Tra pentole e fornelli, vestendo le casacche da cuochi, i ragazzi e le ragazze coinvolti nel progetto si sentono adulti e realizzati prima di tutto come persone: «Si sentono orgogliosamente lavoratori. Tendiamo a vedere il disabile intellettivo chiuso in un centro diurno. In realtà abbiamo bisogno che questi giovani siano inclusi nella comunità. La pandemia ci ha ricordato che dobbiamo vivere più pensando al noi che all’io, in una società nella quale nessuno dev’essere lasciato indietro». Il traguardo da raggiungere, conclude, è quello della massima interdipendenza possibile: «Il nostro prodotto non è il cibo nella scatola o la borsa colorata, ma è il frutto dell’assecondare i bisogni dei nostri ragazzi. Mostrare quello che realmente sanno fare, è un passo verso un cambiamento di cultura. Così nel noi, staremo bene tutti».

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