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Dal Paraguay in Italia per diventare infermiere

di MARTA BICEGO
Arrivato minorenne, il doposcuola per impratichirsi dell’italiano 

Dal Paraguay in Italia per diventare infermiere

di MARTA BICEGO

Lui, si può proprio dire, ce l’ha fatta: ha superato le difficoltà, che non sono state solamente quelle della barriera linguistica. Eppure, quando la madre che da tempo viveva a Verona gli ha proposto di trasferirsi in Italia dal Paraguay, non aveva la minima intenzione di partire. La nostra città, sbirciata attraverso le immagini di un motore di ricerca, pareva troppo antica agli occhi di un sedicenne. Oggi, però, Matias Areco è felice di questa scelta. Ha tanti amici, una casa, frequenta il secondo anno della facoltà di Infermieristica ed è a un passo dal suo sogno di lavorare in ambito sanitario.
Al suo arrivo nella nostra città, era agosto 2016, visto che conosceva solamente lo spagnolo e il guaranì (i due idiomi ufficiali del suo Paese di origine), è stato subito inserito nei corsi del Cestim. Trascorreva la mattina a scuola, sui banchi del liceo scientifico a indirizzo in Scienze applicate; il pomeriggio andava a lezione di italiano, con percorsi individualizzati, confrontandosi con altri studenti che come lui provenivano da terre lontane; la sera tornava a casa, a studiare per mettersi in pari con le materie.
«Sono stati anni molto impegnativi», ripete il ventiduenne volgendo il pensiero al passato, ma gli hanno permesso di conoscere ragazzi provenienti da diverse parti del mondo, con le loro culture. Matias, cresciuto fino all’adolescenza con la nonna, ha sempre avuto ben chiaro nel suo orizzonte che cosa voleva fare «da grande». Un progetto difficile da realizzare dov’è nato: avrebbe comportato spostarsi dal suo piccolo villaggio in una grande città oltre a sostenere costi elevati per frequentare l’università. Per questo ha deciso, incoraggiato anche dagli amici, di mettersi in viaggio verso l’Europa per ricongiungersi con la madre. Per avere quel futuro migliore che, con tenacia, si sta costruendo. Al prezzo però di non poca fatica. «Mentre ero in quarta superiore – rivela Matias – è venuta a mancare mia mamma». Non si è perso d’animo e si è rimboccato le maniche: ha trovato un’occupazione in un locale per essere indipendente economicamente; si è diplomato al liceo con buoni risultati; ha superato il test d’ingresso che gli ha aperto le porte alla professione sanitaria.
«Se mi guardo indietro, è stata una grande sfida. A diciannove anni ho preso in mano la mia vita e, posso dire, di avercela fatta. Sono più forte ed è solo grazie al mio impegno», riconosce. Non nega di aver avuto alcuni momenti in cui ha pensato di mollare tutto e salire su un aereo, con un biglietto di sola andata per il Paraguay. «Grande incoraggiamento l’ho avuto da mia madre, che mi ha sempre spronato a impegnarmi», continua. Affiancarla nel percorso della malattia, ci tiene a precisare, l’ha motivato ancora di più a insistere, con maggiore determinazione. Gli ha fatto capire di aver intrapreso la strada giusta, malgrado tutte le problematiche che ha incontrato con la burocrazia, il permesso di soggiorno, il dover trovare una sistemazione in affitto e sostenerne il costo, il conciliare l’università e il lavoro serale. Tuttavia, si confida, «nel dolore e nelle difficoltà ho trovato la forza di andare avanti. E sono arrivato fino a qui». Matias intende continuare a studiare, innanzitutto per ultimare il triennio e diventare infermiere, quindi per conseguire la laurea magistrale. Senza lasciare quella Verona che, pochi anni fa, guardava con disinteresse e con la quale ora è legato in maniera speciale. Guarda pure con interesse alla facoltà di Medicina: «Non è detto che non provi a fare il test – si lascia sfuggire –. Vorrei tentarlo a luglio, vedremo...». 

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