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Così i bambini stranieri sono accolti in “casa Italia”

Vi raccontiamo cinque esperienze di integrazione avviate nelle nostre parrocchie per aiutare i figli di immigrati a integrarsi meglio a scuola e nella comunità

Parole chiave: Pastorale migranti (1), Integrazione (10), Scuola (90), Stranieri (11), Migranti (8), Immigrazione (22), Cestim (7), Parrocchie (64)
Primo paiano su mani di bimbo che scrive

C'è un volontariato attivo che si dà molto da fare all’ombra dei campanili veronesi: è quello che da anni opera per favorire l’inclusione dei minori figli di stranieri. Grazie a doposcuola dedicati, si favorisce l’apprendimento dell'italiano, lavorando in sinergia con le scuole. Conoscerlo è indispensabile per i bambini che giungono nel nostro Paese coi ricongiungimenti familiari, ma pure per i figli di immigrati che hanno bisogno di affinare la lingua dello studio per non restare indietro. 

Minori, l’integrazione fiorisce all’ombra dei nostri campanili
L’impegno delle parrocchie per i figli di stranieri
Le buone prassi di integrazione scolastica fioriscono all’ombra dei campanili. C’è un volontariato attivo che da anni si spende per favorire l’inclusione di studenti figli di immigrati, aiutandoli a superare lo scoglio di una lingua non propria e a non restare indietro con gli studi, oltre che a favorirne l’inserimento nella società. Un mondo molto attivo, con diverse parrocchie in prima linea, ancora troppo poco conosciuto.
Da Poiano, frazione di duemila abitanti nella periferia est di Verona, a Villafranca, il Comune più popoloso della provincia, con i suoi 35mila residenti, sono molte le esperienze che, da anni, puntano ad abbattere le distanze. A darne il giusto rilievo ci ha pensato l’incontro “Immigrazione e scuola”, organizzato di recente dal Centro pastorale immigrati della Diocesi. La sala congressi della Casa San Giovanni Paolo II (ex Cum) ha ospitato una folta platea di volontari, insegnanti (anche di religione) e operatori dei servizi sociali interessati alla riproducibilità delle esperienze attivate nelle parrocchie. «Un’iniziativa per comprendere che non siamo travolti dal fenomeno migratorio, ma che si può stare nella situazione attuale coltivando una visione positiva – ha sottolineato il direttore di Migrantes, don Giuseppe Mirandola –. La migrazione non è solo quella della traversata drammatica del Mediterraneo in barca: a Verona ci sono 110mila cittadini immigrati residenti, ovvero famiglie, persone che lavorano e studenti, perciò la riflessione sul tema deve essere più ampia».
Uno dei fattori decisivi di successo (o fallimento) dell’integrazione è la conoscenza dell’italiano. Un elemento che incide moltissimo sui banchi di scuola. «La padronanza della lingua dello studio è fondamentale: esistono da tempo sinergie possibili fra scuola, privato sociale e parrocchie, che permettono di dare risposte soddisfacenti ai bisogni di apprendimento di questi alunni – sottolinea Carlo Melegari, coordinatore del tavolo di lavoro –. Le iniziative a cui guardare sono tante e collaudate, vanno solo esportate con determinazione: il mondo della parrocchia è un soggetto importante della società civile che finora ha contribuito e che rimane una risorsa da ampliare ulteriormente».
A Verona, su 134mila studenti, 19.931 (ovvero il 14,9%) non hanno cittadinanza italiana; quelli con un retroterra migratorio alle spalle sono ancora di più. «In classe tra i figli di italiani e i figli di stranieri c’è una disparità, che si misura con un maggior abbandono degli studi, performance più basse e ritardi scolastici, per esempio perché al momento dell’inserimento si preferisce retrocedere di una classe l’alunno», evidenzia Matteo Danese, direttore del Cestim, realtà che da più di vent’anni svolge attività di integrazione scolastica.
Gran parte delle scuole ha un protocollo di accoglienza, ovvero una serie di procedure che fanno in modo che l’inserimento sia il meno traumatico possibile, con mediatori culturali e supporti linguistici aggiuntivi. Dal 2001 ad affiancare gli istituti nella sfida della multiculturalità esiste la rete “Tante tinte”, volta a promuovere la diffusione dell’intercultura e delle pratiche dell’accoglienza del minore straniero e della sua famiglia nei plessi di ogni ordine e grado.  
Le difficoltà le registra soprattutto chi entra a scuola in corso d’anno, a iscrizioni e classi già completate. «Ci sono casi-limite di alunni di 15 anni rifiutati dalle scuole: ne abbiamo avuto diversi in questi anni, ma gli istituti si stanno attrezzando per garantire a tutti il diritto-dovere allo studio», riferisce Danese.
Altro aspetto evidente è il divario sempre più ampio fra le scuole con alte percentuali di studenti di origine straniera e quelle con una maggioranza di alunni italiani. «Gli istituti non sono tutti uguali e anche a Verona ci sono delle differenze sostanziali, specie nei quartieri di Borgo Roma, Golosine e Borgo Venezia, dove gli studenti italiani migrano altrove – sottolinea il direttore del Cestim –. Così però si creano disparità che pagheremo in futuro come disuguaglianze e conflitti sociali… Una buona e piena integrazione si può ottenere solo se tutti collaborano: istituzioni, famiglie, privato sociale e volontariato».
Un rinforzo prezioso lo portano avanti il Cestim, che ogni anno segue oltre duemila figli di immigrati, e le varie realtà che organizzano il supporto allo studio tramite i doposcuola. «Negli ultimi vent’anni la scuola veronese si è fatta le ossa ed è più preparata, però registra delle criticità: il grande turn over di personale non aiuta e le risorse per attivare laboratori linguistici per i neo arrivati sono ancora insufficienti – sintetizza Danese –. L’utenza è cambiata: i nuovi arrivi, con bisogni linguistici importanti, sono soprattutto quelli dei ricongiungimenti familiari (i più numerosi provengono da Cina, Pakistan, India e Sri Lanka, ndr), ma sono numericamente inferiori rispetto ai ragazzi di seconda generazione, nati in Italia, che hanno bisogno di affinare la lingua dello studio e veder valorizzato il loro bagaglio di competenze per superare il divario con i coetanei».
Adriana Vallisari

Ecco le buone prassi che fanno scuola
VILLAFRANCA DI VERONA
Quando si parla di doposcuola parrocchiali, la realtà più longeva è l’associazione “Il Quadrifoglio” di Villafranca; istituita nel 1989, ha tagliato il traguardo dei trent’anni di attività. «È sorta per sollevare dal disagio i minori a rischio – ricorda il presidente Daniel Reggiani, insegnante –. All’inizio l’attività era itinerante: le prime volontarie, affiancate dalle suore canossiane, entravano nelle case; poi è arrivata la sede fissa e da anni ormai ci troviamo negli spazi dell’ex asilo parrocchiale». Sono 40 i bambini seguiti dai 35 volontari, per la maggioranza donne, con qualche innesto di studenti che sperimentano qui l’alternanza scuola-lavoro. «Il nostro scopo è l’affiancamento di minori frequentanti la scuola primaria e agiamo sulla scia dell’I care di don Milani – prosegue il presidente –. Il Comune e i docenti ci segnalano i casi, che sono in costante crescita». Gli interventi servono a regalare qualche ora di serenità ai bambini, in un ambiente controllato. Si fanno attività di alfabetizzazione, accompagnamento scolastico, laboratori di mediazione culturale, giochi e ovviamente l’immancabile merenda, offerta da privati e aziende locali. «Solo mettendoci in rete con altre realtà del territorio riusciamo a garantire il servizio: l’unico contributo economico che riceviamo viene dal Comune, che ci riconosce un servizio sostitutivo; se dovesse erogarlo direttamente, all’ente pubblico il doposcuola costerebbe moltissimo», conclude Reggiani. [A. Val.]
SAN NICOLÒ ALL’ARENA
«Invece di limitarvi a parlare, perché non fate qualcosa di pratico?». Dalla provocazione dei sacerdoti della parrocchia di San Nicolò all’Arena, vent’anni fa è sorto il gruppo “Ragazzi del mondo”. «Dal sì di alcuni ragazzi è nata un’esperienza duratura», riconosce Paola Turrini, insegnante e coordinatrice delle attività del doposcuola. «Prima gli studenti si limitavano ad accompagnare al parco i figli degli immigrati; poi hanno capito che occorreva fornire un aiuto mirato – continua –. Così è partito il doposcuola, tenuto da ragazzi di 16-17 anni e strutturato su due pomeriggi settimanali».
Non solo un sostegno per i compiti, ma anche occasione di socialità. «La nostra forza è la relazione ricca tra giovani volontari e bambini: i primi imparano a insegnare, a relazionarsi con persone di altri Paesi e a prendersi cura dell’altro; i secondi trovano ragazzi poco più grandi di loro pronti a insegnare individualmente, senza ansia e frustrazioni».
Oggi la parrocchia conta 60 giovanissimi volonterosi che ruotano a staffetta per seguire 30 bambini tra i 6 e i 14 anni. «Alcuni figli di immigrati che erano stati accolti qui si propongono come volontari, perché hanno sperimentato sulla propria pelle l’utilità del servizio – spiega Turrini –. Negli anni, poi, c’è stata una maggior apertura nella scelta delle superiori: all’inizio i nostri allievi andavano solo agli istituti professionali, adesso invece siamo invitati spesso alle loro lauree». [A. Val.]
ACLI VERONESI
Molti conoscono le Acli per il servizio di patronato, ma una delle missioni delle associazioni cristiane dei lavoratori italiani è l’azione sociale sul territorio. «Da 6 anni abbiamo attivato il progetto “Nessuno escluso” in tre quartieri del Comune di Verona, coinvolgendo anche i parroci», esordisce Martina Tommasi, responsabile dell’ufficio progettazione delle Acli di Verona.
Destinatari sono gli studenti fra i 6 e i 17 anni. L’obiettivo è combattere l’evasione scolastica e favorire l’integrazione dei minori in disagio socio-economico o familiare, oppure a rischio marginalità ed esclusione sociale. Sono stati 98 quelli seguiti nell’a.s. 2018/2019: 38 a Borgo Nuovo, 45 a Borgo Roma e 15 a San Massimo. «Operiamo con volontari e operatori retribuiti, che lavorano per ridurre il tasso di insuccesso scolastico, ma soprattutto per promuovere percorsi di crescita positiva dei giovani a rischio devianza, responsabilizzando le famiglie», aggiunge.
Oltre alle 16 ore settimanali di doposcuola, le Acli offrono pure percorsi in classe sul tema della discriminazione e del contrasto al bullismo, più uno sportello di ascolto con una psicologa. «Siamo partiti a Borgo Nuovo, organizzando pure delle iniziative per le mamme straniere, fortemente isolate – dice la referente –. La partecipazione di ragazzi di nazionalità non italiana è stata rilevante: il dato più significativo riguarda Borgo Roma (75,5%); lì, negli spazi della parrocchia di Tomba Extra, si è lavorato molto anche sul problema sentito delle baby gang». [A. Val.]
SAN GIUSEPPE FUORI LE MURA
È fra le più recenti esperienze di integrazione, quella della parrocchia di Borgo Venezia, quartiere cittadino dove è alto il numero di residenti di origine straniera. Il doposcuola è portato avanti da una ventina di volontari di età differenti, adulti e giovani, che da tre anni si sono dati una veste associativa e si tengono aggiornati con periodici incontri di formazione.
«Offriamo questo servizio due volte alla settimana, il mercoledì e il sabato pomeriggio, accogliendo dai 30 ai 35 bambini, indicatici dagli insegnanti», informa la coordinatrice Arianna Ceccarelli, di origine argentine ma residente in Italia ormai da 33 anni. «Rispetto alle esperienze in atto possiamo dirci dei neofiti, perché il nostro doposcuola è ancora in divenire; tuttavia è la testimonianza che con un po’ di buona volontà è possibile fare buone cose nelle parrocchie», aggiunge.
Dopo tante ore trascorse sui banchi di scuola non è sempre facile convincere gli alunni a tornare seduti per i compiti e riacquistare la concentrazione necessaria. «Per questo cerchiamo di favorire un clima di gioia e di divertimento: all’attività educativa associamo letture, teatro, musica, danza, giochi e animazioni, utili a far acquisire competenze e ad accrescere l’autostima dei partecipanti», spiegano i volontari. Grazie alla disponibilità delle associazioni sportive locali, inoltre, è stata data la possibilità ai ragazzi di giocare gratis a calcio. Un goal a favore dell’integrazione. [A. Val.]
POIANO
Un quartiere cittadino di appena duemila abitanti e una piccola comunità di origine africana.
A Poiano il progetto di inclusione scolastica pomeridiano è nato nel 2011, dall’entusiasmo di alcuni ventenni coinvolti da Sofia Fenzi, una loro coetanea che nel 2010 aveva compiuto un viaggio estivo in Kenia.
Là aveva aiutato i bambini di strada di Nakuru ad andare a scuola. «Quando Sofia è tornata ha voluto dare una mano alla comunità nigeriana che abita vicino alla parrocchia, facendo nascere l’attività di supporto scolastico insieme ad Alessandra Andriolli, un’insegnante della scuola elementare di Poiano», ricostruisce Alberto Bersani, coordinatore del doposcuola “Noi Poiano”.
Sofia Fenzi è morta nel marzo scorso, all’età di 28 anni. Il progetto a cui aveva dato vita è però proseguito, portato avanti da tanti volontari. «Siamo studenti e lavoratori, radunati tramite passaparola e col gruppo Facebook: operiamo su turni, in base alla disponibilità di ciascuno», chiarisce Bersani.
Il doposcuola si tiene una volta alla settimana: il sabato, dalle 14.30 alle 16.30, negli spazi adiacenti alla parrocchia di Poiano. «Sono 15 gli studenti, tutti appartenenti alla locale comunità africana, seguiti da altrettanti volontari – spiega –. Li aiutiamo nello studio e li coinvolgiamo in giochi, prevedendo anche un momento per la merenda; a tutti, poi, abbiamo garantito l’iscrizione al Grest». [A. Val.]

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